Il rinnovamento di Palermo stroncato dai mafiosi
Cultura | 26 febbraio 2016
Sul finire degli anni Settanta, alla vigilia della trasformazione della Sicilia nella sede della più grande base di missili nucleari della Nato in Europa, Palermo appariva attraversata da una robusta volontà di cambiamento. Alla presidenza della Regione un democristiano come Piersanti Mattarella parlava di una “Sicilia con le carte in regola” e lavorava per spezzare i legami d’affari tra la mafia e la politica. A capo della Squadra Mobile un poliziotto come Boris Giuliano applicava a Cosa Nostra i metodi d’indagine appresi negli Usa, alla scuola dell’Fbi. A Palazzo di giustizia un procuratore della Repubblica come Gaetano Costa affrontava con serietà e durezza una mafia resa ricca e potente dai traffici d’eroina e non aveva timore di ordinare l’arresto di un imprenditore venuto dal nulla come Rosario Spatola, il quinto contribuente siciliano. Appena tornato da Roma, dove aveva lavorato come parlamentare nella commissione antimafia, un giudice come Cesare Terranova si apprestava a diventare il capo di quell’Ufficio istruzione in cui cominciava a brillare la stella di Giovanni Falcone, Nell’arco di appena un anno, già nell’estate del 1980, nessuno di questi uomini era più in vita. Una campagna di sterminio, condotta senza alcun argine dagli uomini di Cosa Nostra, aveva annientato ogni progetto di cambiamento e precipitato Palermo e la Sicilia in un incubo di sangue destinato a durare anni. Nel suo ultimo libro, La città marcia. Racconto siciliano di potere e di mafia (Marsilio editore), Bianca Stancanelli ricostruisce quella stagione, indaga le ragioni della mattanza. Lo fa attraverso la storia di una fra le più dimenticate vittime di mafia, Giuseppe Insalaco, un democristiano che fu sindaco di Palermo dalla primavera all’estate del 1984. Controverso personaggio, Insalaco fece la sua gavetta nella Dc di Salvo Lima e di Vito Ciancimino. Sulla sua ascesa, vigilarono con benevolenza Michele Greco, detto il “papa”, e Stefano Bontate, il capomafia il cui assassinio, nell’aprile del 1981, segnò l’inizio della guerra voluta dai corleonesi di Totò Riina e Bernardo Provenzano. Ma appena diventato sindaco, Insalaco si ribellò ai suoi padrini, affrontò di slancio la questione dei grandi appalti che divoravano la metà del bilancio comunale, ordinò che si sospendessero gli esorbitanti pagamenti pretesi dall’impresa di Arturo Cassina, uno dei padroni di Palermo. Si intestò, insomma, una battaglia di rinnovamento, scagliandosi contro l’intreccio tra politica, affari e mafia e arrivò a testimoniare davanti alla commissione parlamentare antimafia, parlando con chiarezza dell’influenza di Ciancimino sulle scelte del Comune. Stancanelli sottolinea la curiosa coincidenza tra la «rivoluzione» che Insalaco disse di voler fare e l’avvio della collaborazione di Tommaso Buscetta con il giudice Falcone. E legge nella vicenda del sindaco-meteora le tracce di quella volontà di cambiamento che Cosa Nostra si incaricò di spegnere. Costretto alle dimissioni da un’inchiesta giudiziaria, finito in carcere con l’accusa di truffa, espulso dalla politica, ma deciso a non mollare, Insalaco venne ucciso il 12 gennaio 1988 da una squadra di killer che inanellarono una tale quantità di errori da farsi classificare come «balordi di periferia» - ed erano invece uomini d’onore della famiglia della Noce, quella che, secondo Buscetta, Riina «aveva nel cuore». Un caso? Un depistaggio? Di quel delitto, il sindaco Leoluca Orlando dice all’autrice che venne deciso «con il consenso dei salotti politici della città». Ma, secondo i pentiti, fu Riina a ordinarlo. Per descrivere il legame tra i killer della Noce e i salotti politici, Stancanelli richiama le parole dell’ex terrorista nero Massimo Carminati, il teorico del “mondo di mezzo” nell’inchiesta su Mafia capitale: «Anche la persona che sta nel sovramondo ha interesse che qualcuno del sottomondo gli faccia delle cose che non le può fare nessuno». Ed è un modo per suggerire che un filo robusto lega la Palermo degli anni Ottanta all’Italia di oggi.
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