Il regista fucilato alle Fosse Ardeatine in un libro di Salvatore Iorio
Nato a Tripoli da famiglia originaria di Gallipoli, Emanuele Caracciolo (1912-1944) è l’unico regista cinematografico finito tragicamente a soli 31 anni - nell’elenco delle vittime dell’eccidio nazista delle Fosse Ardeatine, nel cui sacrario le sue spoglie riposano. Militante futurista, giornalista e cineasta soprannominato da Filippo Tommaso Marinetti “il futurista veloce”, fu un attivo esponente del “Secondo Futurismo” meridionale. Studiò a Napoli, dove scrisse su numerose testate e su periodici futuristi, e dove conseguì la laurea in Economia e Commercio. Nel 1936 si trasferì a Roma per seguire i corsi del neonato Centro Sperimentale di Cinematografia. Fu allievo di Blasetti e Gallone (di quest’ultimo fu aiuto per “Marionette” e “Giuseppe Verdi”). Diressse un’unica pellicola, “Troppo tardi t’ho conosciuta” (1940), surreale commedia sfondo operistico (nel cast, l’allora ventenne Doino De Laurentis) dispersa e ritrovata solo nel 2003”.
Così recita la quarta di copertina del bel volume del partenopeo Salvatore Iorio, giovane studioso già autore di una serie di contributi monografici (su Alberto Grifi, Mssimo Troisi ed altri e ancora redattore dei “Quaderni di Cinema sud” e coordinatore del web magazine “Effetto Napoli”), curatore di una antologia di scritti critici sullo stesso Caracciolo, al quale aveva dedicato anche la tesi di laurea. Dopo una meticolosa ricostruzione dell’intera attività cinematografica, Iorio dedica il secondo capitolo del libro all’unico film di Caracciolo, “Troppo tardi t’ho conosciuta”, tratto dalla commedia “Il Divo” del vulcanico siciliano Nino Martoglio (poi smarrita), ritrovato a Cuneo nel 2003 dallo storico del cinema e gestore di sale cinematografiche Lorenzo Ventavoli. Il film (il cui titolo riprende la nota aria dell’opera “Norma”) è interpretato dal tenore di Paternò (Catania) Franco Lo Giudice, che fu chiamato nel 1935 a commemorare con un giro di concerti in tutta Italia il centenario della morte del catanese Vincenzo Bellini, uno dei massimi evangelisti del melodramma.
Ma Iorio (che aveva già squarciato il silenzio su Caracciolo con il volune “Cronache Futuriste 1932-1935”) va ben oltre, spingendo l’indagine su tutta l’intensa attività critica di Caracciolo, rivalutandone - con l’aiuto di ampi estratti - la militanza nel “Gruppo Futurista Napoletano”, il pensiero spesso tutt’altro che banale e traslatamente l’esaltante stagione del ribollente movimento artistico fondato da Marinetti, che - non bisogna dimenticare - è stato l’unico che abbia trovato proseliti nel mondo intero, ma che dopo una prima fase di “tensione dionisiaca”, scrive Mario Franco nella prefazione, “anticlericale e negatore della tradizione…si trovò a convivere con la restaurazione retorica e culturale che il fascismo operò, con il culto di una ‘romanità’ da operetta, un cattolicesimo ‘religione di stato’ con Mussolini definito da Pio XI ‘uomo della Provvidenza’, con la riforma scolastica di Gentile”.
Il volume è corredato da un ricco corredo iconografico, due appendici “(Documenti e una Antologia Letteraria di Emanule Caracciolo), una filmografia (fu anche sceneggiatore, arredatore, soggettista, sceneggiatore, direttore di produzione e aiuto regista) ed una bibliografia.
Salvatore Iorio, Il futurista veloce (prefazione di Mario Franco), Edizioni Cinema Sud, Atripalda (AV), 2015, pp. 161, € 10,00.
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