Negli ultimi anni le donne italiane in cerca di lavoro sono aumentate. E la legge sulle quote rose ai vertici delle aziende ha dato buoni risultati. Ma l’occupazione femminile resta bassa. Le politiche indispensabili per consolidare i segnali positivi e l’attuazione delle misure già prese.
Meno lavoro per uomini e per donne
I dati sull’occupazione di febbraio, con il lieve aumento della
disoccupazione e con la forte concentrazione della perdita dei posti di lavoro
tra le donne, sono stati interpretati da molti come un’inversione di un trend in
leggera ripresa. I numeri diffusi dal ministero del Lavoro in questi giorni
sembrano suggerire, al contrario, segnali
incoraggianti sull’occupazione, ma
è prudente attendere le nuove comunicazioni dell’Istat. In generale, questi
numeri sono una manifestazione della tuttora forte instabilità del mercato del
lavoro, in cui non sono ancora evidenziabili i risultati del Jobs
act.
L’occupazione maschile, prevalentemente nella manifattura e costruzioni,
è stata la più colpita dalla crisi, passando da un tasso del 70,4 per cento nel
2008 al 64,7 per cento nel 2014, mentre l’occupazione femminile, prevalentemente
nel terziario, scuola e sanità, partendo da livelli molto inferiori e abbastanza
stabili nell’ultimo decennio, ha avuto una riduzione minore, dal 47,2 per cento
del 2008 al 46,9 per cento del 2014.
Grafico 1
Il risultato di questi trend è che si è ridotto il divario di genere
nell’occupazione, ma non grazie a un aumento dell’occupazione femminile, bensì a
causa di una più forte riduzione di quella maschile.
Il fenomeno non è solo
italiano: in un altro paese europeo osserviamo significative riduzioni nel
gender gap occupazionale dal periodo pre-crisi a oggi, prevalentemente per un
crollo dell’occupazione maschile, la Spagna (grafico 2). Negli altri paesi presi
in esame, il divario di genere nell’occupazione è stato sostanzialmente stabile,
e a livelli decisamente inferiori rispetto a quelli che caratterizzano il nostro
paese.
In questo quadro, gli obiettivi europei occupazionali si sono
allontanati sia per le donne che per gli uomini.
Scenari per il prossimo futuro
Che cosa possiamo aspettarci nei prossimi mesi (o nei prossimi anni) per il
lavoro femminile? I trend recenti mostrano evidenze con effetti potenzialmente
contraddittori.
Dal lato dell’offerta, le donne sono sempre più istruite,
ormai da anni hanno superato gli uomini in termini di percentuale di laureati e
diventano oggettivamente più appetibili per il mercato, potenzialmente hanno
maggiori prospettive di carriera.
La legge sulle quote di genere ha aumentato
la rappresentanza delle donne ai vertici in modo significativo, non solo sul piano quantitativo , ma anche sul piano
qualitativo, promuovendo un rinnovo nei meccanismi di selezione al vertice che
porta a un miglioramento della qualità dei consiglieri, uomini e donne.
La
sfida è estendere i cambiamenti al top management e fare crescere, a cascata, le
opportunità per le donne su tutta la scala della carriera. In Norvegia, paese
pioniere nell’introduzione delle quote di rappresentanza di genere, questa sfida
è stata solo parzialmente vinta, secondo i dati a disposizione. E quindi, il nostro paese deve
vigilare con attenzione perché l’obiettivo si possa realizzare.
In assenza di
politiche efficaci, la fertilità è restata bassa ed è diminuita anche tra le
immigrate, riducendo il carico di tempo da dedicare alla casa. I dati del 2014
mostrano che la domanda di servizi per l’infanzia (in particolare, di nidi) è
diminuita, per la prima volta, a causa dei costi crescenti e dell’impatto della
crisi sui redditi delle famiglie. Si rischia che i servizi pubblici diventino
accessibili solo per chi ha già un lavoro, un reddito medio-alto e istruzione
più alta, con potenziali effetti negativi sul benessere e i risultati cognitivi
dei bambini nelle famiglie più svantaggiate.
D’altra parte, è aumentato il
numero dei padri che condividono la cura dei figli. E cresce anche il
numero di uomini che chiede il congedo parentale nel settore privato (dal 2008
al 2014 si è passati, ad esempio, dall’8 a circa il 13 per cento), nonostante la
legislazione meno favorevole in Italia rispetto ad altri paesi. I padri hanno
infatti un solo giorno di congedo obbligatorio e retribuito, introdotto nel 2012
dalla legge Fornero, e secondo la norma vigente si tratta di un diritto
esclusivo, di cui i due genitori non possono godere contemporaneamente (come
invece accade in Svezia). Ciononostante, rimane il fatto che una donna italiana
dedica al lavoro domestico circa ventidue ore in più alla settimana rispetto al
suo partner, mentre nei paesi nordici la differenza è di cinque ore.
Le donne che cercano lavoro
A testimonianza di una crescente propensione al lavoro delle donne,
nell’ultimo decennio è aumentata la disoccupazione femminile: di circa sette
punti percentuali nell’ultimo anno, contro una diminuzione di circa il 2 per
cento per gli uomini (grafico 3). Più donne, oggi, si presentano nel mercato del
lavoro riducendo la percentuale delle inattive: non sono solo giovani istruite,
ma anche donne di mezza età a bassa qualifica e con carichi famigliari, che un
tempo sarebbero state scoraggiate dalle prospettive di bassi guadagni potenziali
e ora sono invece alla ricerca di una occupazione, spesso per far fronte alla
perdita o alla riduzione dei salari maschili..
Cosa trovano? Il lavoro a
tempo determinato è più diffuso tra le donne e il part-time in buona parte
involontario. Un alto numero di laureate non lavora: il tasso di occupazione
delle donne con una laurea è 73,7 per cento contro una media Ocse del 79,3 per
cento.
Nella fascia di età tra i 25 e i 54 anni, l’occupazione femminile cala
drasticamente se ci sono figli: è al 66,6 per cento per le donne senza figli,
scende al 52,7 per cento per quelle che hanno due figli e al 38,9 per cento per
chi ne ha tre o più.
Quali politiche sono state adottate per favorire il lavoro delle donne? Gli ultimi interventi sono contenuti nel Jobs act. Dei punti individuati dalla delega che
riguardano conciliazione e famiglia, sono stati emanati i decreti attuativi solo
per alcuni. E anche quei provvedimenti sono comunque all’esame delle commissioni
per la verifica della copertura.
La condizione necessaria affinché i trend
qui descritti si trasformino da segnali contradditori in evidenze positive per
il lavoro femminile è che si investano risorse in politiche che accompagnino e
sostengano i cambiamenti in atto e che si vigili sugli interventi già decisi e
in fase di attuazione affinché dispieghino pienamente le loro potenzialità. Se
ciò non si verifica, è difficile aspettarsi una convergenza verso un segno “più”
per l’occupazione femminile.(info.lavoce)
Grafico 2
Grafico 3