Il primato della cultura prevale al Salone del libro di Torino

Cultura | 13 maggio 2019
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Per un attimo soltanto uno sforzo di immaginazione. E se il comitato organizzatore e la direzione editoriale del 32º Salone Internazionale del Libro di Torino non avesse ordinato la chiusura dello stand di Albaforte, la casa editrice di destra, secondo talune fonti, in odore di dipendenza economica da CasaPound, cosa sarebbe accaduto?

Chiara Giannini, l’intervistatrice, autrice del volume, Io sono Matteo Salvini, sarebbe rimasta nel limbo delle figure sconosciute al grosso pubblico e l’editore di Albaforte, Francesco Polacchi, dichiaratosi fascista, astutamente nel momento topico della vicenda, non avrebbe rimpinguato le casse della sua sconosciuta società editoriale. Almeno, è questa una delle versione accreditate in sala stampa del Salone, mentre soltanto una minoranza di opinionisti, qui, categoria dominante, suggerisce l’idea della separazione tra politica e cultura, cioè il dilemma che appassionò nel secondo dopoguerra non solo intellettuali e politici, quanto gli italiani, attraverso le pagine de Il Politecnico, il periodico diretto da Elio Vittorini.

Da quelle pagine lo scrittore spiegò a Togliatti come la cultura, nella sua declinazione di arte, letteratura, dovesse marcare l’autonomia dalla politica, subendo il diniego dell’allora segretario del Partito Comunista Italiano.

Negli anni successivi, apparve chiara la motivazione della polemica introdotta da Vittorini e, sul versante opposto, la posizione difesa strenuamente da Togliatti. Infatti, nella impostazione di Zdanov, allora capo della propaganda del partito comunista dell’Unione Sovietica, la cultura doveva assecondare le scelte della politica, essere il pifferaio della rivoluzione, come con felice espressione, rifiutò la funzione Elio Vittorini.

Ora, tradotto in termini attuali, se Chiara Appendino e Sergio Chiamparino fossero stati lasciati al loro ruolo di politici, legittimo rispetto al dettato costituzionale, vincolante solamente per l’indagine della magistratura non sicuramente per il comitato organizzatore del Salone, rinunciatario, invece, a un autentico esercizio di autonomia, Francesco Polacchi e gli impiegati di Altaforte avrebbero sorbito il pessimo caffè del Salone dentro il loro box, la Giannini non sarebbe piombata, ieri, al Lingotto, brandendo il testo dell’intervista a Salvini, già in cima alle vendite!, per spingere oltre il suo libro, il ministro dell’interno non avrebbe goduto di pubblicità inaspettata e, soprattutto nessuno sarebbe corso nei corridoi della mostra a cantare Bella ciao, come è accaduto. Non perché fosse un reato cantare la canzone della Resistenza, solo non era il caso di prestare il fianco a un’operazione pubblicitaria, curata con astuzia da Francesco Polacchi, da Chiara Giannini e, forse, da qualche altro.

Di una cosa almeno ci si dovrebbe rammaricare non aver compreso, non soltanto da parte degli organizzatori del Salone, quanto dalla stragrande maggioranza di intellettuali italiani, da Walter Siti a Beppe Severgnini, da Roberto Saviano a Michela Murgia, una verità elementare: la cultura ha un ambito diverso dalla politica, non la serve e non la fiancheggia. Agisce in un territorio illimitato in cui la politica non riesce a entrare, le emozioni degli uomini, i loro percorsi, il destino, gli atteggiamenti, costumi e passioni.

Ascoltando Walter Siti, si coglie, subito la sua preoccupazione di intendere la funzione dello scrittore legata a fatti reali, quotidiani, e su quel terreno diventa difficile smarcare la cultura dall’asservimento alla politica. Il noto romanziere ricordava l’impegno di non assecondare Salvini nel disegno di egemonia della politica italiana. Opinione rispettabile, tra l’altro condivisa da chi scrive. Ma davvero è questo il compito della letteratura? Non lo crede neppure Siri, il quale parla del caso Albaforte da opinion leader, non si sogna nemmeno di affrontare l’argomento da uomo di lettere, tantomeno da romanziere.

Sul versante opposto Michele Mari definisce fastidioso rumore, non solo la polemica scoppiata intorno a Albaforte e l’espulsione dal Salone, quanto qualsiasi notizia veicolata dai mass-media.

Con Michela Murgia, invece, diventa difficile separare l’impegno antifascista dalla scrittura, tant’è, ha pubblicato, Istruzioni per diventare fascista, riedendo l’engagement, termine francese, introdotto da Mounier e adoperato da Sartre per indicare l’inscindibile nesso tra letteratura e ideologia.

Sull’intervento di Roberto Saviano al Salone sul solito e unico tema, nel quale è stato ridotto la 32ª edizione del Salone, cioè, Albaforte sì, Albaforte no, sono scomparsi, inghiottiti dalla polemica e dalla pubblicità gratuita i dati di incremento di oltre il 10% dei visitatori, le iniziative interessanti, affollate da giovani, bambini, insieme con temi di scottante attualità come l’integrazione dei migranti nella vecchia Europa, le trasformazioni sociali e del lavoro, l’inadeguatezza del modello partito del secolo scorso, ancora in vigore, lo scandaglio dei bisogni della società di oggi.

Sul filo di lana della chiusura di questa edizione ci si domanda, d’accordo con chi ritiene la nostra classe politica, inadeguata ai tempi, insieme con la intellettualità? Oppure, come suggeriscono i più accorti, bisognerà aspettare la maturazione di eventi, perché i millennials e le leve delle giovani generazioni prendano coscienza per guidare l’Italia e l’Europa fuori dalle secche?



 di Angelo Mattone

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