Il potere del sistema mafia e le sue ricadute sulla collettività

Cultura | 2 gennaio 2021
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Questo secondo impegno letterario di Elio Collovà è indirizzato ad ogni tipo di lettore, sia esso addetto ai lavori o sia solo un semplice cittadino curioso di conoscere i meccanismi che alimentano le attività criminali delle famiglie mafiose.

Sostiene il sostituto procuratore antimafia, Domenico Gozzo, che il racconto di fatti e vicende di Elio Collovà viene fatto da un punto di vista privilegiato perché proviene da oltre trentacinque anni di esperienze sul campo maturate nell’esercizio di amministratore giudiziario e di consulente delle Procure antimafia della Sicilia. L’autore è testimone diretto del contesto mafioso-affaristico che ha governato Palermo dagli anni ’80 in poi; quel contesto mafioso affaristico che ha lasciato il segno indelebile nella città di Palermo devastata urbanisticamente e depressa nella libertà economica.

Quella di Elio Collovà è un’analisi spietata del fenomneo mafia, divenuto sistema e di una certo pseudo antimafia. “La mafia c’è ma non si vede”. E’ così che inizia il libro. Ed è uno incipit piuttosto forte, perché è da questo concetto che scaturisce tutto il ragionamento sulla mafia moderna, sulle sue peculiarità, sul modo di essere e sul modo con cui il si trasforma in un vero e proprio sistema che riesce ad esercitare una forza egemone sulla collettività la quale ne subisce tutte le ricadute economiche e sociali e gli inevitabili effetti degenerativi.

L’analisi compiuta dall’autore percorre un fil rouge coerente con le esperienze fatte ed acquisite sul campo da addetto ai lavori perennemente osservatore del mondo criminale e mafioso.

La mafia si evolve dice Collovà, la mafia militare prende la forma della mafia economica e finanziaria e pertanto diviene sistema   al quale la società civile deve reagire per non rimanerne vittima. La politica sembra non opporsi sufficientemente e doverosamente, il legislatore interviene solamente in occasione di eventi violenti, di attentati e stragi, al fine di tentare di dare ai cittadini la parvenza di una minima dignitosa presenza dello Stato sul territorio. Non a caso Paolo Borsellino ebbe a dire che “politica e mafia sono due poteri che vivono sul controllo del territorio: o si fanno la guerra o si mettono d’accordo”.

L’autore, nel prologo, si sofferma parecchio sulla disfatta delle istituzioni ritenute inadeguate ad affrontare il problema mafia. Il legislatore non è riuscito nel suo originario intento, preferendo contenere il fenomeno piuttosto che combatterlo apertamente con ogni mezzo.

L’Agenzia Nazionale per i beni confiscati – ottima intuizione nella sua originaria visione – ha fallito ed è finita per assolvere a logiche demagogiche del potere politico. Il sospetto invero è quello che il legislatore abbia voluto, con la nascita dell’Agenzia nazionale (che dipende dal Governo), togliere giurisdizionalità al potere giudiziario per trasferirlo al potere esecutivo.

L’autore del libro compie, nella narrazione, un’esplorazione logica che consente, attraverso il racconto di fatti veramente accaduti (molte volte tratti dall’esperienza personale), un’analisi dettagliata del sistema mafia. Cosicché si può leggere delle caratteristiche dell’impresa mafiosa e di quanto questa sia presente nella società civile e nel mercato economico.

La narrazione non manca di soffermarsi sul valore dell’impresa mafiosa sottoposta a sequestro o confisca e dei motivi per i quali tale valore muta in occasione del passaggio di testimone dal mafioso titolare o occulto all’amministratore giudiziario.

Un capitolo particolarmente importante è quello che riguarda il legame fra mafia, politica e corruzione passando per l’evasione fiscale che viene considerata causa ed effetto della nascita dell’impresa mafiosa.

Questo capitolo peraltro è arricchito dalla trascrizione – in nota – della sentenza del processo sulla trattativa Stato-mafia.

Nella trattazione del tema , quale principale antidoto nella lotta al crimine organizzato, molto spazio viene dedicato alle responsabilità dell’amministratore giudiziario, ai suoi limiti ed alla sua funzione di munus publicum.

Il tema dell’attività della criminalità organizzata da’ l’avvio alla seconda parte del libro che s’intitola “Mafia e antimafia”. L’argomento viene trattato mediante il racconto – e i correlati commenti – riguardanti fatti di diretta esperienza vissuti da Collovà nella qualità di amministratore giudiziario o di consulente della Procura antimafia.

Viene dunque trattata la storia di Ciancimino e delle sue aziende del Gas; la rapina al Monte di Pietà di Palermo; casi di malaffare nel calcio; le penose questioni che riguardano l’impiego di cantanti neomelodici nelle feste di quartiere. Infine l’Autore discute dell’Antimafia: ma quale antimafia? Quella dei fatti o quella delle parole?

Ovviamente non poteva mancare un capitolo riguardante l’incresciosa e imbarazzante questione del "caso Saguto" che costituisce il vero fulcro dell’antimafia parolaia e millantatrice, apparentemente attenta, limpida e trasparente ma, in effetti, scellerata, infame e, talvolta perfino delinquente.

Il libro si chiude – nonostante la diffidenza del titolo – con l’auspicio che la mafia possa essere battuta; tale auspicio viene proposto quasi come una certezza sostenuta dal pensiero di Giovanni Falcone che ebbe ad invocare l’assunto secondo cui la lotta alla mafia si fa diffondendo non solo principi di legalità, ma anche quelli di civiltà: quella civiltà che vuol dire lavoro, diritti umani, progresso, accoglienza e sana economia.



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