Il pentito non è un infame ma un uomo coraggioso

Cultura | 24 marzo 2016
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Sia resa lode alla scuola italiana. Se c’è un luogo dove ragazzi e ragazze imparano a ragionare sulla mafia, a capirne il potere, a decifrarne i messaggi e a schierarsi dalla parte giusta è in classe, nel colloquio con i docenti, molto più che a casa, in famiglia, o nelle chiacchiere con gli amici e i compagni.

Questo dicono i risultati del questionario distribuito dal Centro studi “Pio La Torre” a 2019 studenti, quattro quinti dei quali hanno tra i 16 e i 18 anni: vivono, cioè, quella decisiva stagione della vita in cui ci si prepara a lasciare l’adolescenza e ad acquisire, con l’esercizio del diritto di voto, lo status di cittadino. C’è la prova, negli esiti del questionario, che di mafia, finalmente, si parla: a scuola più che in famiglia – ma se ne parla. Solo 134 studenti, una risicata minoranza, sostengono di non averne mai discusso con nessuno. E pazienza se, nonostante questo diffuso ragionare, si leggono (con sconcerto) nell’elenco delle risposte alla domanda “cosa è per te la mafia”, più di un “non so”, qualche “non saprei” o scarabocchi che danno conto di un’incertezza, di una confusione, di un annaspare. Le schede del questionario dicono con chiarezza che da una massiccia diffusione dell’”educazione antimafia” stanno venendo fuori novità interessanti.  

Prima di tutto, il crollo di alcuni vecchi, logori luoghi comuni che hanno rappresentato la colonna sonora dei peggiori anni della nostra vita. I pentiti? Non più infami: per il 45 per cento dei ragazzi, sono persone «coraggiose». La vecchia solfa che, per battere le cosche, ci vogliono più posti di lavoro? Il ritornello imbroglione “dateci lo sviluppo e cancelleremo la mafia”, come se Cosa Nostra non avesse dimostrato di essere un’idrovora capace di ingoiare finanziamenti per milioni di euro? Non ci credono più, questi ragazzi. Sanno che quel che serve è una battaglia limpida contro la corruzione, uno schierarsi trasparente sul fronte della legalità e un uso intelligente dell’arma più efficace: il sequestro e la confisca dei patrimoni mafiosi, perché è lì che vanno colpiti i padrini: nella roba.

C’è almeno un’altra risposta sorprendente di cui dar conto: ragazzi e ragazze, a schiacciante maggioranza (68,35%) dicono - udite udite - che evadere le tasse è un’impostura.

Naturalmente, non tutto è così incoraggiante nei risultati del questionario. Nelle risposte degli studenti ad alcune domande c’è di che impensierire una classe dirigente degna del nome. Il loro disperare dello Stato, per esempio: con la convinzione diffusa che sia infiltrato dai poteri criminali e per questo incapace di combatterli. L’idea che, nella partita tra Stato e mafia, sia il primo a rivelarsi perdente (lo pensa il 48,04% degli intervistati) o che, tutt’al più, il match finisca in parità (così il 27,24%). La vastissima sfiducia nei politici, dovunque siano eletti: nei Municipi come nel Parlamento. La curiosa diffidenza verso il mondo intero: la certezza che ognuno badi al proprio interesse (56,96 per cento sono “molto d’accordo”; il 33,78 lo sono “abbastanza”); l’idea maggioritaria che bisogni adottare molta prudenza “nel trattare con la gente”, il dubbio che la correttezza sia merce rara. Con questo carico di diffidenza e di sfiducia sulle spalle, è comprensibile che in tanti siano persuasi che la mafia non possa mai essere sconfitta: lo crede il 39,5%, mentre il 28,93 per cento non sa cosa pensare e meno di uno su tre, il 31 %, pensa che sia una guerra che si può vincere.

Amaro sentimento di resa in una generazione che, per quel che appare dalle risposte al questionario, sembra capace di uno sguardo nuovo, interessante sulla questione mafiosa. Perché, tra le ragioni della continuità del potere criminale, indica la viltà civile (il 34,37% degli studenti ha messo sotto accusa “la mancanza di coraggio dei cittadini”, giudicandola uno dei motivi di debolezza della resistenza antimafiosa). Perché individua nella “mentalità dei cittadini” un altro formidabile alleato delle cosche (così il 41,1%). Perché, a differenza di certi vecchi ministri della Repubblica, rifiuta l’idea che con la mafia si debba convivere (lo pensa solo il 2,53%).

Certo, si resta poi di sasso nel leggere che 427 su duemila, quasi uno su cinque, pensa che la via più veloce per trovare un lavoro consista nel rivolgersi a un mafioso. Ma consola sapere che appena 138 tra questi ragazzi e ragazze sono convinti che, contro Cosa Nostra, il singolo individuo non possa fare nulla. È un modo per dire che «Se ognuno fa qualcosa, allora si può far molto», come sosteneva don Pino Puglisi – non a caso, un uomo convinto che, contro la mafia, la barriera più potente sia la scuola.

 di Bianca Stancanelli

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