Il Pd vince se unito ma in Italia non podemos
Sono state elezioni regionali, ma la lettura che sin qui ne hanno dato i media è tutta centrata sulla valenza che i risultati del 31 maggio assumono per le sorti del governo Renzi e, addirittura, Per lo scontro interno al PD. Per non parlare, poi, dell'attenzione spasmodica alla vicenda ligure ed all'elezione dell'”impresentabile” Vincenzo De Luca.
Atteggiamenti comprensibili in ordine alle necessità della polemica politica e del “riposizionamento” di qualche grande quotidiano, ma che rischiano di far comprendere poco o nulla di quanto è realmente avvenuto in sette regioni, in aree metropolitane come Venezia (dove l'ex magistrato Felice Casson, sostenuto dal PD, va al ballottaggio), in una ventina di comuni capoluogo sparsi per l'Italia e in cinquantatré comuni siciliani.
Parto dall'isola: nei due capoluoghi chiamati alle urne, gli esiti sono diversi. Ad Agrigento, la confusa vicenda delle primarie del centro sinistra ha reso scorrevole la strada all'ex sindaco di Porto Empedocle e deputato regionale dell'Ud Lello Firetto; cammino che si è rivelato invece più arduo del previsto per il leader ennese Mirello Crisafulli che va al ballottaggio con l'ex piddino Maurizio Di Pietro, pur partendo da una posizione di largo vantaggio (40,72% contro 24,36%). Sarà decisivo, rispetto agli esiti finali della sfida, il comportamento degli altri due candidati, entrambi poco sopra il 17%; come sempre, nel secondo turno, l'assenza del trascinamento delle liste determina la modifica di fatto della platea elettorale e può produrre risultati inattesi.
La gran parte dei centri maggiori, da Gela a Marsala, da Barcellona a Milazzo e Bronte, vanno al secondo turno, ma la sorpresa arriva dalla patria di Crocetta, dove il sindaco uscente Angelo Fasulo è costretto ad un ballottaggio in seconda posizione rispetto al candidato del M5S Domenico Messinese; medesima la situazione ad Augusta dove la “grillina” Maria Concetta di Pietro si presenta in prima posizione con il 30,98% di voti. In qualche comune minore, ad esempio Pietraperzia il candidato pentastellato è stato eletto sindaco già al primo turno.
L'isola conferma dunque il trend di consolidamento del movimento di Beppe Grillo che, come vedremo, ha caratterizzato questo turno elettorale. Il PD ha vinto dove si è presentato unito e ha saputo costruire alleanze larghe, come a Carini con Giovì Monteleone e a Villabate con l'ex presidente della Corte d'Appello di Palermo Vincenzo Oliveri. Il centro destra va indietro, ma, a differenza del resto d'Italia, non si sono ribaltati i suoi equilibri interni: le incursioni di Matteo Salvini in diversi comuni siciliani, sempre fortemente contestate, non hanno perciò prodotto i frutti sperati.
Naturalmente questo quadro siciliano è passibile di cambiamenti significativi in relazione all'esito dei ballottaggi, conclusi i quali sarà possibile formulare un giudizio esauriente sui nuovi equilibri amministrativi in molti centri importanti. Anche nel resto del paese prevalgono i ballottaggi: solo tre capoluogo hanno eletto il sindaco al primo turno. Per tentare di individuare le tendenze di fondo che emergono dal dato elettorale delle regionali, faccio riferimento alle analisi formulate da alcuni centri di ricerca. Innanzitutto il peso dell'astensionismo: ha votato il 53,90% rispetto al 64,13% del 2010.
Si tratta di un dato omogeneo in tutte le regioni che ha una componente strutturale relativa all' insoddisfazione per l'offerta politica presente e una di carattere congiunturale connessa a diverse ragioni, tra cui soprattutto la preoccupazione per l'assenza di risposte valide al perdurare della crisi economica. La disaffezione al voto è un fenomeno da anni in crescita (vedi Roberto D'Alimonte), ma è risultata particolarmente accentuata dal clima di scontro che ha caratterizzato la campagna elettorale, non ultima l'esplosione della questione degli “impresentabili” e la crescente ostilità di massa verso provvedimenti legislativi come la riforma della scuola.
La seconda considerazione è che tutti i partiti hanno perso voti (anche se bisognerà verificare il ruolo di liste civiche e liste “del presidente”), con l'eccezione della Lega Nord. L'Istituto Cattaneo di Bologna ha fatto- a tal proposito- un raffronto tra i voti ottenuti dai quattro principali partiti (PD, Lega, M5S, FI) rispetto alle Politiche del 2013 ed alle Europee del 2014. Il PD ha perso in tutto 2.143.003 sul 2014 e 1.083.557 sul 2013. Il M5S cala di 1.956.613 rispetto al 2013 e di 893.441 sul 2014; FI cede sul 2013 1.929.827 voti e sul 2014 840.148. La Lega è in controtendenze, unica a guadagnare 402.584 voti rispetto a due anni fa e 256.803 sull'anno scorso, prendendo voti non solo a FI, ma anche al PD e al M5S.
In conclusione, a me pare che tre siano le indicazioni che, al netto della polemica politica di giornata, è possibile trarre da queste elezioni. La prima: è finita la luna di miele di Matteo Renzi con il suo elettorato. Il giovane presidente del Consiglio ha aperto troppi fronti e il caso Liguria rappresenta un serio segnale d'allarme che farebbe bene a non sottovalutare. Vedremo lunedì se la Direzione del PD saprà comprendere che è cambiata la fase e che la logica dei regolamenti dei conti finirebbe per fare precipitare la situazione. La seconda considerazione è che i Cinque Stelle si sono ormai radicati nel territorio, trasformandosi da movimento in forza politica organizzata.
Resta difficile definire le caratteristiche e le connotazioni valoriali di un movimento dichiaratamente post ideologico; ciò rende complicato predire come si muoveranno gli eletti nelle istituzioni regionali e locali. Infine, il centrodestra si avvia verso un periodo estremamente travagliato, nel corso del quale il tramonto di Berlusconi (che non sarà frenato dal “miracolato” Toti) correrà in parallelo con l'ascesa di Salvini. Il pericolo è che la proposta di cui è portatore l'erede di Bossi sposti su posizioni radicalmente“lepeniste” quello schieramento politico; altro che “destra repubblicana”, come si è in passato auspicato negli ambienti conservatori.
Se l'offerta politica italiano si strutturerà in un partito “personale”come rischia di diventare il Pd renziano e in due poli antisistema assai confusi sul terreno delle idee e dei valori e connotati solo dai “No” (all'euro, agli immigrati, e così via ), la democrazia italiana correrà il pericolo di isterilirsi. I risultati del 31 maggio non illudano: non si vedono alle porte né Syriza (le percentuali dei voti delle liste che in Liguria hanno appoggiato Pastorino lo testimoniano) né Podemos. Il tema di una sinistra capace di governare l'Italia in una prospettiva europea di crescita e di ampliamento della democrazia e dei diritti sociali e civili è ancora tutto da svolgere.
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