Il partito del non voto cresce, il caso Palermo

Politica | 14 giugno 2022
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Il primo turno delle elezioni comunali che si è svolto il 12 giugno 2022 ha interessato 971 comuni , di cui 142 con popolazione superiore ai 15.000 abitanti (di questi 22 capoluoghi di provincia e 4 di regione) per un totale di 8.831.743 elettori. Le regioni maggiormente interessate al voto sono state la Sicilia con 120 comuni (due città metropolitane: Palermo e Messina) e 1.549.799 elettori e la Lombardia rispettivamente con 127 comuni e 1.044. 753. 000 elettori. Il primo dato rilevante è il calo della partecipazione che (riferito agli 818 comuni delle regioni a statuto ordinario) si attesta al 54,72%, in calo rispetto al 60,12% di cinque anni fa, con una punta massima del 68.90% in Campania ed un minimo del 45,49% in Molise.

Metà delle città capoluogo -13 su 26- va al ballottaggio, 9 sono i candidati di centrodestra eletti al primo turno, sei quelli di centrosinistra. Il centrosinistra strappa alla coalizione avversaria Lodi e Taranto, ma perde Palermo. Nelle città che vanno al ballottaggio il caso di maggior rilievo politico è Verona dove è in testa Damiano Tomasi, ex calciatore di fama e dirigente dell'associazione italiana calciatori. Con un programma incentrato su sostenibilità ambientale, lotta alla dispersione scolastica, asili nido in ogni quartiere, abbattimento delle barriere architettoniche ha fatto breccia in uno dei santuari delle Lega, approfittando anche dello scontro tra il sindaco uscente Federico Sboarina e l'ex primo cittadino Flavio Tosi. Su scala nazionale il PD è la lista più votata con il 17,2%, davanti a Fratelli d'Italia con il 10,3%, la Lega si ferma al 6,7% e Forza Italia al 4,6%, il M5S raccoglie solo il 2,1%. In Sicilia l'affluenza è in ancor più netta diminuzione rispetto ai precedenti turni elettorali e si attesta al 51,30%: la più alta a Maniace, comune etneo, con l'85,47%, la più bassa ad Acquaviva Platani, nella ex provincia di Caltanissetta, dove si sono presentati alle urne appena il 19,02% degli elettori.

Il dato eclatante è tuttavia quello di Palermo dove ha votato appena il 41,82% degli aventi diritto, quasi undici punti in meno rispetto al turno precedente. Anche Messina ha subito una flessione dei votanti di quasi il 10%, da 65.01% a 55,64: tuttavia la maggioranza degli elettori si è presentata alle urne, a differenza di quanto avvenuto nel capoluogo regionale. Messina costituisce un caso anomalo anche perché ha visto l'affermazione di Federico Basile, negli ultimi anni direttore generale del comune e candidato espresso dal sindaco uscente Cateno De Luca, che ha raggiunto contro i rappresentanti delle due coalizioni maggiori, Maurizio Croce per il centrodestra e Franco De Domenico per il centrosinistra, oltre il 45% delle preferenze. Aver battuto con il proprio candidato entrambe le coalizioni, apre la strada a De Luca- personaggio anomalo della politica siciliana che pare stia stringendo alleanza con un altro outsider come il deputato europeo ex Cinque Stelle Dino Giarrusso- per la candidatura alla presidenza della Regione.

Sullo scenario post elettorale si apre infatti immediatamente la partita di palazzo dei Normanni e di palazzo d'Orleans per i quali si voterà in autunno, verosimilmente tra ottobre e novembre. Si giocherà con regole diverse dalle comunali, a partire dal turno unico: non a caso già mentre il centrodestra festeggiava la vittoria palermitana, è andata in onda una nuova puntata dell'antico conflitto tra Musumeci e Micciché. Nel 2012 la vittoria di Rosario Crocetta fu resa possibile dalla spaccatura nella coalizione avversaria; dieci anni dopo, all'ormai esplicito “niet” di colui che siede sullo scranno più alto dell'Assemblea regionale a candidare il presidente della Regione uscente, si aggiunge la presenza di un terzo incomodo pesante come “Scateno” che finora sembra non averne sbagliata una.

Nel frattempo l'attuale opposizione lavora ad un accordo per primarie di coalizione che dovrebbero tenersi a luglio, se la debacle grillina Palermo non produrrà nuovi ostacoli all'intesa. Per quanto riguarda i comuni minori, nel catanese i colpi migliori sono stati messi a segno da Raffaele Lombardo con la vittoria della fedelissima Margherita Ferro (consigliera regionale per la parità) ad Acicatena e la riconferma degli uscenti Nino Naso a Paternò e Francesco Sgroi a Randazzo e da Luca Sammartino (approdato per ora ai lidi della Lega) con l'elezione di Marco Rubino a Sant'Agata Li Battiati e dei sindaci di San Michele di Ganzaria e Santa Maria di Licodia. Il PD porta a casa- tra l'altro – la riconferma di Giovanni Burtone a Militello val di Catania, il paese di Musumeci (e del sempiterno Pippo Baudo). Nell'agrigentino, è stato sconfitto il sindaco di centrosinistra di Lampedusa Totò Martello battuto dall'ex grillino Filippo Mannino a capo di una lista civica. Tornando a Palermo, sulla cui vicenda si è concentrata l'attenzione mediatica nazionale per la presenza determinate nella definizione della candidatura di Lagalla di Marcello Dell'Utri e Totò Cuffaro e per l'arresto di due candidati alla vigilia dell'apertura delle urne, è netta l'affermazione dell'ex rettore dell'Università ed assessore regionale Roberto Lagalla che supera il 48% dei voti espressi a fronte del 29,2% di Franco Miceli. Va segnalato però che egli ha conseguito oltre il cinque per cento in meno dei voti guadagnati della coalizione che lo sosteneva, a differenza del candidato del centrosinistra a cui favore si è espressa una percentuale- seppur non ampia- di voto disgiunto. E' poi significativa l'affermazione di Fabrizio Ferrandelli, collegato a livello nazionale a Carlo Calenda ed al cantiere del cosiddetto terzo polo, che sfiora il 15% e trascina Azione+Europa all'inaspettata conquista di quattro seggi a palazzo delle Aquile.

Altra notazione di rilievo, che contribuisce a spiegare le scintille tra il presidente dell'ARS e quello della Regione, è che Forza Italia riesce ad affermarsi come primo partito regolando alla volata Fratelli d'Italia e tenendo a debita distanza una Lega fortemente ridimensionata. La nuova DC di Cuffaro supera la soglia del 5% e riesce ad entrare in un Consiglio comunale in cui la coalizione di centrodestra riesce ad utilizzare appieno il premio di maggioranza previsto dalla legge elettorale raggiungendo i 24 seggi. 16 vanno invece alle opposizioni: 5 posti ai Democratici, 4 ad Azione+Europa, 4 al M5S, tre alla lista Progetto Palermo-Miceli sindaco. Non riesce ad entrare in Consiglio la lista di Sinistra civica ecologista che raccoglieva una serie di soggetti politici di sinistra, a partire dall'assessore alla mobilità della giunta Orlando Giusto Catania. Il dibattito su Palermo è certamente destinato a continuare a lungo.
Vorremmo invece concludere queste note con tre semplici riflessioni sul senso politico di questa tornata elettorale:
1) il calo dei votanti ha ormai superato la soglia d'allarme e testimonia il progressivo distacco dei cittadini dalla politica. Non è un fenomeno solo italiano ove si rifletta sul primo turno delle elezioni per l'elezione dell'Assemblea nazionale francese, dove l'astensionismo ha raggiunto il 52,49%. Tuttavia è il dato più basso in assoluto nella storia delle elezioni amministrative che in Italia sono state tradizionalmente le più partecipate; e ciò deve preoccupare fortemente;

2) hanno vinto le coalizioni quando sono riuscite a raggiungere al proprio interno le mediazioni e le candidature unitarie utili a sfruttare al massimo il vantaggio assegnato dalle norme elettorali. In Sicilia questo dato è reso ancor più evidente dall'improvvida decisione assunta con la legge elettorale n.17 del 2016 (governo Crocetta) che assegna la vittoria al candidato sindaco che superi il 40% (è il 50% nel resto d'Italia) ed il premio di maggioranza alla coalizione che lo sostiene allorché superi il 40% dei voti espressi. Bonaria osservazione: inutile lamentarsi della legge, in vigore già da sei anni ed ampiamente nota, all'indomani della sconfitta elettorale;

3) per quanto appaia improprio ed imprudente attribuire valore politico generale ai risultati delle elezioni comunali, la somma algebrica tra quanto avvenuto il 12 giugno, il fallimento clamoroso dei cinque referendum sul sistema giudiziario e le vicende politiche nazionali dà netto il segno della crisi del populismo nelle due versioni italiane: il sovranismo di Matteo Salvini ed il “contismo” come è dimostrato anche dall'abisso che separa le accoglienze trionfali tributate a Palermo al “padre” del reddito di cittadinanza ed il risultato elettorale del M5S.

Ci sembrano tre delle questioni nodali su cui la politica italiana sarà chiamata a decidere, in un momento drammatico per il paese chiamato a confrontarsi con conseguenze della pandemia ed i rischi di crisi economica mondiale resi più acuti dal perdurare della guerra in Ucraina.
 di Franco Garufi

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