Il partigiano di Bagheria che salvò 200 persone

Cultura | 22 dicembre 2014
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SI CHIAMAVA Gianni Mineo, ed era nato nel 1921 a Santa Flavia, a due passi da Bagheria. Ad Arezzo, lo scorso 28 giugno, gli hanno dedicato una lapide e un parco pubblico. Con la motivazione che, assieme a Giuseppe Rosadi, un partigiano toscano, ha salvato 209 persone da una rappresaglia nazifascista. Ora uno storico non accademico, Santino Gallorini, ha dedicato a Mineo un libro: Vite in cambio, edizioni Effigi, ricostruendo una storia che sembra un romanzo. Gianni Mineo era figlio di Francesco, proprietario terriero che nel febbraio 1923 era scomparso, un ennesimo caso di lupara bianca.

 Dire Mineo, da quelle parti, soprattutto a Bagheria, lo sanno tutti che vuol dire mafia, non solo in quegli anni ma anche dopo. Ma il giovane Gianni, dopo un' infanzia trascorsa dai nonni, a 16 anni va via. Va a La Spezia, dove frequenta la scuola per diventare marinaio. Ritorna a Bagheria, fa l' impiegato al Comune e comincia a praticare il pugilato. Scoppiata la guerra, fa domanda di arruolamento nell' esercito e viene mandato a Bologna, poi è trasferito ad Arezzo: miete successi come pugile, vince i campionati militari provinciali e sfiora il titolo regionale. Incontra una ragazza e se ne innamora. Si chiama Libertà. Dopo l' 8 settembre si rifugia a casa dei genitori della ragazza. Qui riceve un biglietto da un altro bagherese. Si chiama Rosario Montedoro ed è sottotenente di fanteria. Gli comunica che è ricoverato in ospedale e rischia di essere inviato in Germania. Si incontrano e organizzano la fuga. Si nascondono dove capita ma qualche tempo dopo Gianni viene arrestato.

Lo considerano un partigiano, lui nega. Poi un repubblichino lo riconosce: «Ma questo è Mineo, il pugile- dinamite». Tra quelli che lo interrogano c' è un maresciallo che allenava i pugili e che aveva apprezzato il campioncino siciliano. Per salvarlo dalla fucilazione gli propongono di aderire alla repubblica di Salò e di fare l' informatore. Cioè la spia. Dovrà andare in cerca di renitenti e partigiani. Mineo accetta. Ma va a trovare Rosario, che è partigiano; gli racconta cos' è successo. E gli dice che non vuole fare la spia per i fascisti. S incontra con il comandante della XXII Brigata Garibaldi, Siro Rosseti, e concorda di fare il doppio gioco: fingerà di spiare per i nazifascisti ma farà la controspia per i partigiani. Un ruolo pericolosissimo. Subito dopo Mineo si troverà al centro della vicenda ricostruita nel libro di Gallorini, Nella zona opera una banda di partigiani sloveni, comandati da un giovane russo, che ha catturato un colonnello tedesco.

Il Feldmaresciallo Kesselring, comandante delle armate tedesche in Italia, viene informato e i tedeschi organizzano la rappresaglia. In località Chiassa, in provincia di Arezzo, arrestano circa 250 persone, le rinchiudono in una chiesa e lanciano l' ultimatum: se entro 48 ore il colonnello non sarà liberato, gli uomini presi in ostaggio saranno uccisi e i paesi bruciati. Il comandante partigiano Rosseti chiede a Mineo di trattare con i tedeschi. Mineo accetta, pur sapendo che potrà essere scoperto nel suo doppio gioco. Ottiene una dilazione dell' ultimatum e va in cerca del russo. Lo convince a rilasciare il colonnello. E gli ostaggi vengono liberati. Negli stessi giorni, nelle vicinanze, a Civitella della Chiana, le cose vanno diversamente.

 Il 29 giugno 1944 i nazifascisti uccidono oltre duecento persone, come rappresaglia a un attacco di partigiani in cui erano morti tre militari tedeschi. Finita la guerra Mineo farà parte dell' Anpi e vivrà il resto della vita a Novara, dimenticato. Ora, grazie alla collaborazione della figlia Caterina che ha conservato le memorie del padre, il libro riporta alla luce un personaggio fino a oggi ignorato. Presentare questo libro a Bagheria vuol dire parlare di un ragazzo proveniente da una famiglia di mafia che è andato per altre strade, ma significa anche parlare, riparlare, della Resistenza e del contributo dei siciliani e dei meridionali.

Dopo i libri di Roberto Battaglia, sulla Resistenza come "guerra di popolo", di Claudio Pavone, che ha raccontato una Resistenza composita, insieme guerra civile, guerra patriottica e guerra di classe, e quello recente di Sergio Luzzatto, che è andato sulle tracce di Primo Levi per ricostruire le prime esperienze partigiane in Piemonte, sono studi come questo di Gallorini che ci danno il senso di una Resistenza fuori dagli schemi, i cui protagonisti non sempre corrispondono alle icone ufficiali. Gianni Mineo è stato definito un "partigiano infiltrato", ma l' importante è che si sia schierato, a suo modo, dalla parte giusta.

 Ci si potrebbe chiedere: in tempi in cui lo sport preferito è cancellare la storia, a chi interessa parlare di Resistenza? Prima si diceva che, confrontandosi con il passato, bisogna evitare di buttare il bambino con l' acqua sporca. Ma pare che tanti abbiano buttato il bambino e si siano tenuti l' acqua sporca. (La Repubblica)

 di Umberto Santino

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