Il Parlamento che guarda i sondaggi e ignora le persone

6 febbraio 2021
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In un'intervista al Riformista fortemente critica sull'incarico conferito a Mario Draghi di formare il governo, Fausto Bertinotti uno dei leader storici della sinistra massimalista italiana, ha tuttavia fornito una originale ed utilissima chiave di interpretazione della crisi che abbiamo vissuto: “Il Parlamento è stato progressivamente cancellato, sostituito dal governo, che sotto lo stato d’emergenza ha accentrato su di sé tutti i poteri. Prima il governo ha sequestrato il Parlamento, poi il presidente del Consiglio ha sequestrato il governo diventando sovrano.” Questo è il vero nodo della condizione di estrema difficoltà che attraversa il Paese. 

Se fino all'estate 2020, di fronte allo sconvolgimento prodotto dalla pandemia l'eccezionalità della situazione giustificava il ricorso al governo amministrativo attraverso i DPCM, dopo l'accordo siglato in sede di Consiglio Europeo il 21 luglio che ha rappresentato la vera svolta nella recente politica europea con la decisione di emettere debito pubblico comune, anche la vicenda italiana avrebbe dovuto attrezzarsi per cogliere in pieno la straordinaria occasione che si presentava. Si è invece preferita una narrazione che assegnava alla capacità negoziale del presidente del Consiglio in carica il merito dei 209 miliardi assegnati al nostro paese nel quadro del Next Generation EU, celando la realtà di istituzioni europee consapevoli della fragilità dell'Italia e determinate ad impedire il crollo economico e sociale di uno dei fondatori dell'Unione che avrebbe trascinato con sé l'intera costruzione europea. Ha prevalso il provincialismo di un ceto politico defedato da dieci anni di propaganda populista nella duplice versione del sovranismo e dell'”uno vale uno”.

 Si è perciò continuato con una gestione della situazione fondata su necessari ma costosi scostamenti di bilancio, si sono rinviate le scelte necessarie ad affrontare la crescente ed ogni giorno più drammatica crisi economica del Paese che stava ormai assumendo le dimensioni di una crisi sociale senza precedenti. Una caduta della capacità di governo di cui sono stati responsabili sia una maggioranza divisa sulle opzioni per il futuro del paese- e sullo strumento principale per garantirlo, il Recovery plan- che una minoranza urlante e priva di ogni capacità di proposta che non fosse il becero antieuropeismo ed il peggior sovranismo. Il castello di carte è crollato quando un leader politico in crisi di consenso ma dotato di spregiudicato tatticismo, Matteo Renzi, ha deciso di praticare la pirateria ed ha portato fino in fondo la sua guerra di corsa senza alcun riguardo per i disastri che poteva procurare alle donne ed agli uomini impegnati a garantirsi la sopravvivenza quotidiana nella peggiore crisi sociale da settant'anni a questa parte. 

Chi ha avuto modo di seguire il dibattito alla Camera dei deputati ed al Senato ha avuto modo di rendersi conto della pochezza, con qualche eccezione, degli attuali rappresentanti del popolo: dal “ciclo del glucosio” del vice capogruppo al Senato del partito di maggioranza relativa, alla richiesta di ottenere il ministero dell'agricoltura da parte del senatore pugliese ripescato all'ultimo istante per non fa rischiare il collo al governo nel voto al Senato. Uno spettacolo miserevole, come mediocre è stata la trattativa con la quale si è tentato di dar vita al Conte ter. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha dato una lezione ai gruppi dirigenti di forze politiche ripiegate su se stesse: il suo intervento la sera di martedì 2 febbraio ha avuto ancora una volta il coraggio di dire al paese la verità, rappresentando i rischi della situazione ed individuando le soluzioni. Un intervento di grande spessore di un presidente che si conferma il vero punto di riferimento della politica italiana. Qualcuno che in queste settimane ha scoperto la responsabilità istituzionale dovrebbe provar vergogna nel ricordarsi di averne proposto l'impeachment nel giugno 2018. Ma i miracolati dal Vaffa di Beppe Grillo hanno, per loro fortuna, la memoria corta. 

E' morta la politica con l'incarico a Mario Draghi? E' una delle più clamorose sciocchezze scritte in questi giorni, pari a quella dì quella che definisce l'ex governatore della BCE un tecnico. E' invece entrato in coma l'assetto attuale delle forze politiche italiane. Non sono ancora trascorsi tre anni dalle elezioni del 4 marzo 2018 e il panorama emerso da quelle elezioni pare lontano quanto le stelle. Il populismo, che allora sembrava vincente, sopravvive solo nella Gran Bretagna di Boris Johnson percossa violentemente dall'epidemia ed alle prese con una Brexit i cui costi si sono rivelati quasi insostenibili. I cinquestelle sono di fronte ad un destino incerto e non è scontato che la guida di Giuseppe Conte li tiri fuori dalle secche. Il centrodestra, che sembrava destinato a presentarsi alle prossime elezioni come una falange macedone, si è spaccato tra la destra neofascista della Meloni, l'evidente crisi della Lega costretta a consegnarsi a Draghi “senza condizioni”, la voglia di Berlusconi di rientrare in gioco. Su questo dovrebbe riflettere uno Zingaretti che è il leader dell'unico partito capace di dare una prospettiva di futuro allo schieramento progressista italiano.

 Altro che morte della politica: bisogna rimettersi in marcia di fronte ad uno scenario fino a poco fa inimmaginabile che, come sempre nei momenti di svolta epocale, è affidato alla capacità delle donne e degli uomini di fare le scelte giuste, guardando alle prospettive di vita della gente che si vuole rappresentare invece che ai sondaggi delle ultime 24 ore.

 di Franco Garufi

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