Il nipote del boss che lotta contro la mafia
Società | 11 marzo 2015
"Mio padre ha aiutato la latitanza di Matteo Messina Denaro fornendogli soldi negli ultimi tre anni e per questo è stato condannato e sta pagando. Per il resto, l'ultima volta in cui mia madre ha visto suo cugino (il boss Denaro) è stato alle sue nozze, in cui tutta la famiglia era al completo. Ma certe parentele non si scelgono". Lo ha detto Giuseppe Cimarosa, 32 anni, figlio della cugina del boss latitante trapanese Matteo Messina Denaro, intervenendo alla trasmissione di Rai3 "Pane quotidiano" e dedicata alle "colpe dei padri". Giuseppe nella vita fa l'istruttore di equitazione e tra le lacrime aveva raccontato la sua scelta di opposizione a Palermo, dagli spalti della Leopolda sicula. "Sono un parente di un mafioso che ha deciso di scagliarsi contro i mafiosi - aveva detto in quell'occasione - Mia madre è cugina di primo grado di Matteo Messina Denaro e mio padre è stato arrestato nell'ambito dell'operazione Eden. Vivo a Castelvetrano e sto soffrendo parecchio. Non abbiamo accettato il programma di protezione perché non si deve accettare la paura delle ripercussioni come alibi".
"Non mi piace essere portato agli occhi del mondo per la connessione con questo legame - prosegue Giuseppe nel suo racconto - non faccio un vanto di questa parentela, anzi la ripudio ma non è una cosa che scegli. Mio padre, dopo l'arresto, ha iniziato a dichiarare delle cose, collabora. Non posso utilizzare la parola 'pentito', ma mio padre era stanco già da prima, lo ha fatto per me e mio fratello, sicuramente questo ha contribuito alla sua scelta. Ora con lui ci siamo riconciliati, ma da adolescente lo aggredivo quasi per niente, mio padre non reagiva neanche, del resto non poteva convincermi del contrario. Comunque, se non ci fosse stato un desiderio suo di svolta, io non avrei mai avuto il coraggio di oppormi".
Con Giuseppe Cimarosa in studio è intervenuto anche Marco Rizzo, autore trapanese di diverse graphic novel contro la mafia e che si è cimentato nell'impresa di spiegare ai bambini cosa sia lo "strano morbo chiamato mafia" nella favola "L'invasione degli scarafaggi", illustrata dal messinese Lelio Bonaccorso.
"Posso dire che anche le persone più legate al fenomeno mafioso sono stanche - ha aggiunto Cimarosa - La gente di Castelvetrano è cambiata, le persone hanno voglia di riscatto, chi vive con addosso il marchio di 'Castelvetrano fortezza di mafia' vive le mie stesse difficoltà. Del resto l'ho potuto constatare dal mio profilo Facebook: dopo l'intervento alla Leopolda di Palermo, ho avuto una risposta incredibile da tanti giovani di Castelvetrano. Io? Ho imparato a vivere con la paura, ma grazie alla paura ho riavuto mio padre". Infine, una stoccata alle associazioni antimafia, anche se Cimarosa sottolinea "fuori da ogni polemica": "Non c'è mai stato un vero rapporto con le associazioni antimafia - risponde in studio Giuseppe alle domande di alcuni studenti della Luiss di Roma impegnati con associazioni antimafia - in passato mi sono rivolto a loro - dice senza fare nomi - perché ho pensato di avere necessità di schierarmi con chi lottava con questo fenomeno ma non ho avuto alcuna risposta, probabilmente non sono stato creduto e preso seriamente in considerazione perché la mia storia risulta davvero incredibile".
Pochi giorni fa, infatti, era scoppiata la polemica nel fronte antimafia, in seguito all'intervento di Cimarosa alla trasmissione 'Servizio pubblico' di Michele Santoro. "La mia presa di posizione e la mia necessità di comunicarla a tutti non nasce con la Leopolda né tanto meno è legata a nessun partito o politico X - aveva scritto Cimarosa sul suo profilo Facebook rispondendo a chi lo aveva criticato - È da un anno ormai che cerco di fare sentire la mia voce, che cerco di riscattare me stesso da cose che non dipendono da me. Furono alcune delle figure 'attive e reali' dell'antimafia quelle a cui mi rivolsi per prime. In particolare Liberofuturo che l'unico consiglio che mi seppe dare era quello di tacere". Poi un affondo anche ad Elena Ferraro, l'imprenditrice di Castelvetrano che ha denunciato una tentata estorsione da parte di un cugino del boss latitante alla clinica che gestisce. "Lo stesso mi ha consigliato Elena Ferraro - ha scritto Cimarosa - un anno fa dopo avermi invitato alla sua clinica per un caffè. E molti altri a cui mi sono rivolto tra le lacrime e la disperazione chiedendo loro soltanto di guidarmi e farmi sentire utile per la causa (per farla semplice volevo trovare il mio riscatto e stando con i 'buoni'). Invece queste stesse persone dopo avere cercato di farmi tacere, mi hanno pure isolato, come se non esistessi, come se la mia storia fosse roba da poco".
Immediata la replica di Elena Ferraro che, sempre su Facebook, ha risposto cosi a Cimarosa: "Sono convinta e ribadisco che se vogliamo dimostrare serietà e coerenza a noi stessi e a chi ci osserva, dovremmo evitare di andare nei talk show. Io ho scelto di non spettacolarizzare un normale gesto di legalità e di denuncia a cui la nostra coscienza morale ci chiama a dover rispondere. È giusto prendere le distanze dal sistema mafioso ma, a mio avviso, lo si deve fare con sobrietà, coerenza ed onestà in pensieri, parole, opere e azioni".
Ma Cimarosa ha scritto ancora sul social: "Alcune volte mi hanno pure osteggiato agli occhi di molti che neppure mi conoscevano e che poi mi hanno raccontato. Mi hanno fatto sentire inutile. Ma per fortuna il mio carattere non mi permetteva di arrendermi ed ho cercato in tutti i modi di comunicare il mio messaggio, di lottare anche da solo, dato che chi già lottava non mi voleva al suo fianco. Quindi non mi stupirei se poi il 'Santoro' della situazione fa della mia storia un caso. Perché è una storia forte, perché questa storia porta con se un messaggio potente, perché cela in esso anche un filo di speranza - scrive ancora Cimarosa - ma questo lo hanno capito tutti tranne chi invece di questo gesto poteva e ne aveva il dovere di farne davvero un arma preziosa". "Ora ci troviamo qui a scrivere di antimafia e di antimafiosi... E la cosa grave è che mentre si disgregano queste energie, Matteo Messina Denaro sta ancora in giro per il mondo magari ridendo di ciò che sta accadendo o peggio ancora fregandosene altamente". In una nota diffusa sul sito, l'associazione antiracket Libero futuro ha replicato dichiarando di evitare in genere di "polemizzare pubblicamente su singoli casi controversi che vedono coinvolti imprenditori vittime, a vario titolo, del sistema mafioso, perché una nostra presa di distanza pubblica potrebbe comunque essere controproducente o addirittura dannosa. Nel Caso di Giuseppe Cimarosa, che peraltro non abbiamo mai assistito per denunce o altro, siamo stati tirati in ballo direttamente e pubblicamente per cui riteniamo di non poterci sottrarre ad una precisazione. Da tempo Cimarosa dichiara di essere contrario e distante dalla cultura mafiosa e sostiene che tutta la sua famiglia sia sulla stessa linea. Ciò sarebbe apprezzabile se non fosse che il padre è stato condannato di recente a cinque anni e quattro mesi per aver fatto parte della famiglia mafiosa di Castelvetrano. L'ordinanza di custodia cautelare, parla di 'condotte dirette, anche attraverso l'approvvigionamento di fondi, l'infiltrazione in appalti pubblici e privati, e il reinvestimento di capitali, al controllo delle attività economiche che si svolgevano sul territorio assicurando il collegamento con altre articolazioni di Cosa nostra. Il giovane Cimarosa - prosegue la nota di Libero Futuro - è inoltre titolare, insieme al fratello, della 'M. G. Costruzioni' che lo stesso padre ha riconosciuto fosse il bancomat per il latitante Matteo Messina Denaro. In questa situazione è del tutto evidente che non bastano le dichiarazioni roboanti di dissociazione per essere considerato lontano e ostile alla mafia. Diversa sarebbe la situazione se il padre di Cimarosa chiarisse la sua posizione con la giustizia accettandone anche tutte le conseguenze penali e patrimoniali. Non vi sono scorciatoie e non bastano le dichiarazioni d'intenti. Ci stupiamo che persone o partiti più o meno autorevoli lo facciano incuranti del danno che si produce al movimento antimafia ed a chi con coraggio e coerenza denuncia i mafiosi e li fa condannare".
"Il mio modo di fare antimafia è diverso, io non ho portato agli arresti di qualcuno - ha precisato oggi Cimarosa dagli studi di Rai 3 - ma il meccanismo mafioso si è radicato tra gli attori della nostra società, la mafia può essere combattuta in diversi modi, ognuno può dare il suo contributo giornaliero per sconfiggerla presto".
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