Il monito europeo: spendere subito, spendere bene
Come si presenta la Sicilia all'appuntamento con il ciclo 2014-2020 di programmazione dei fondi strutturali europei? Per chiarirci le idee, cominciamo col fornire le cifre. Il 22 aprile il Governo ha inviato a Bruxelles la bozza dell'Accordo di partenariato (il documento di strategia nazionale su cui si è svolto il confronto con le Regioni e il partenariato economico e sociale e che andrà approvato dalla Commissione); perciò sono ormai note, con approssimazione quasi definitiva, le risorse che spetteranno alla Sicilia. La dotazione POR FESR ammonterà a 3.407,5 milioni di euro, il POR FSE sommerà 624,1 milioni, le allocazioni Sicilia su PON FESR (cioè la quota dei programmi operativi nazionale che andrà spesa nell'isola) a 1727,6 milioni, le allocazioni Sicilia su PON FSE a 1.063,8 milioni, la YEI (Youth Employment Initiative, intervento destinato ai giovani cosiddetti NEET) 35,9 milioni (fonte Capacity Sud). Un totale di 6858,9 milioni di euro ai quali va aggiunto il cofinanziamento nazionale che sarà di poco inferiore al 50% e (teoricamente) quello regionale per un totale di oltre tredici miliardi di euro da spendere nei prossimi nove anni (i sette del ciclo ordinario più i due assegnati dai regolamenti comunitari per completare i pagamenti). Considerato che gli interventi non prenderanno concretamente avvio prima del 2015 (e sarebbe grasso che cola,se partissero nella seconda metà dell'anno prossimo) negli otto anni seguenti la Sicilia avrà a disposizione 1, 625 miliardi di euro annui da destinare allo sviluppo. Non è finita qui: entro il 31 dicembre del 2015, in poco più di 18 mesi andranno spesi, pena il disimpegno, circa cinque miliardi residui del precedente ciclo di programmazione e del fondo sviluppo coesione (ex Fas); e per fortuna nell'ultimo anno la Sicilia è riuscita a rispettare gli stati di avanzamento concordati con Roma e con Bruxelles. Ricavo da Open coesione che restano 3,2 miliardi di finanziamenti monitorati per il POR FESR , con 6412 progetti individuati (di questi 3274 sono classificati “acquisto di beni e servizi”, 2559 “incentivi alle imprese”, 547 “infrastrutture”, 27 “contributi a persone” e 5 “conferimenti di capitale”); Il PON FSE deve ancora spendere 926 milioni (qui i progetti sono addirittura 13.595 di cui quelli con maggiori finanziamenti sono 40 milioni per ammortizzatori in deroga, oltre 23 milioni per la rete dei servizi formativi a supporto dell'integrazione, 19.800 milioni per il progetto Sapere, 15.100 per il progetto Faro, 15 milioni conferiti al fondo Jeremie). Chi abbia voglia di rendersi conto della qualità degli oltre 22.000 (ventiduemila, non è un errore di stampa!) progetti siciliani dedichi un paio d'ore del suo tempo alla visita, sempre utile, di Open coesione. Insomma, escludendo il fondo sviluppo e coesione, la quota siciliana del piano azione coesione, il PSR e gli interventi per la pesca, che risparmio al mio incauto lettore, ci sono da spendere di soli fondi strutturali 4.126 milioni di euro: diviso 18 mesi fanno oltre 200 milioni di euro attivabili ogni mese a favore di un'economia siciliana che sta boccheggiando. I progetti son quel che sono, ma la Regione potrebbe fare uno screening della situazione, definanziare quelli chiaramente inattuabili e destinare le somme a misure di carattere anticiclico: in particolare penso alla possibilità di utilizzare una quota del FSE per finanziare un'altra tranche di cassa integrazione in deroga. Mi son abituato a parlare con prudenza dell'utilizzo dei fondi europei nell'isola per non rischiare di sottovalutare i passi avanti che si sono pur fatti e per evitare di alimentare campagne strumentali contro il malcapitato governo regionale di turno. A me è successo, per esempio, di dover ricordare ad un candidato di Forza Italia alle prossime elezioni per il parlamento Europeo che la programmazione 2007-2013 l'ha fatta la Giunta Cuffaro, non quella presieduta da Rosario Crocetta; il quale ultimo ha senza dubbio il merito di aver riportato l'isola al rispetto dei target previsti per l'anno in corso. Ho provato a ripartire per grandi settori di intervento le 86 categorie di spesa contenute nella revisione del POR FESR di cui alla deliberazione della Giunta regionale del 17 luglio 2013. Ne escono dati interessanti. Dei 3.200.000 milioni di euro (limito l'approssimazione al primo decimale per comodità di esposizione) circa 538 sono andati alla ricerca e sviluppo, al sostegno della PMI, alle tecnologie dell'informazione, 291,7 alle ferrovie, 380 alle strade di vario ordine e grado, appena 85,5 al trasporto urbano ed intermodale ,88,1 agli aeroporti, 122,6 ai porti, 216,6 ad energie rinnovabili e gas naturale, 106,6 ad efficienza energetica e cogenerazione, 88,1 ai rifiuti, 139,2 alle risorse idriche, 147 alla qualità ambientale, ben 222,4 ad una “promozione di trasporti urbani puliti”(probabilmente il,rinnovo delle flotte delle aziende di trasporto collettivo) che sarebbe interessante capire quale concreta attuazione abbia trovato, appena 42 alla conservazione del patrimonio culturale nella regione che detiene il maggio numero di siti UNESCO dell'Europa. Sulla congruità di tali destinazioni, consiglio di consultare la scheda (Euroinfo Sicilia) sul monitoraggio finanziario al 28 febbraio 2014, dalla quale si evince che il maggior ritardo colpisce proprio le misure relative alla mobilità ed alle reti Si tratta, a mio avviso di scelte, che andranno profondamente modificate nel prossimo ciclo di programmazione. Se c'è davvero la consapevolezza che il bilancio regionale è ormai pressoché mero artificio contabile e che la Sicilia potrà ridare a se stessa una prospettiva di sviluppo sostenibile esclusivamente contando sui fondi strutturali e sulla quota di sua competenza del FSC, alcune scelte devono essere fatte senza equivoci e con la consapevolezza che bisognerà dire dei no, innanzitutto al partito della spesa pubblica ed alle corporazioni che attorno ad esso trasversalmente si aggrumano. E' necessario, insomma, impostare un'operazione culturalmente e politicamente assai coraggiosa di rilancio della programmazione democratica come metodo di governo della Regione . Non è un'operazione che si può fare dall'alto, magari con le migliori intenzioni ma in una logica confusionaria e di scontro di tutti contro tutti, ma richiede il coinvolgimento delle forze migliori della società siciliana. Nessuno pensa di tornare alle liturgie della concertazione, che pure ebbe un ruolo significativo in una fase positiva della vita dell'Italia, ma di chiamare in campo competenze, capacità rappresentanze economiche e sociali. A me ha colpito un dato, che utilizzo con prudenza ma è eloquente: il censimento Istat sull'industria e i servizi (i cui dati si fermano al 2011, l'anno precedente la seconda grande recessione) rivela che, pur nel crollo dell'occupazione in settori come l'edilizia, le imprese siciliane sono aumentate da 246.704 nel 2001 alle 271.714 del 2011, con una crescita di poco più di 100.000 addetti. Il dato, se corrisponde al vero, deve indurci ad una seria riflessione anche perché mette in discussione , per quanto mi riguarda, alcune apparenti certezze. Scavando, si scoprirà che la gran parte della nuova occupazione è a bassa retribuzione, precaria, connotata dall'assenza di diritti; e questo è uno dei principali problemi che il sindacato deve affrontare per allargare e rendere più incisiva la sua rappresentanza. Ma ci si accorgerà anche, probabilmente, che una quota significativa di questi nuovi posti di lavoro si colloca in settori dell'economia siciliana caratterizzati dal rapporto con le vocazioni territoriali e con l'innovazione, come hanno dimostrato anche gli studi della fondazione RES. La strategia per la specializzazione intelligente su cui si stanno lodevolmente impegnando i dirigenti regionali – che meriterebbe luoghi di confronto vero con gli stakeholders che integrino e diano sostanza agli eventi in calendario- può fare degli obiettivi tematici 1 e 2 del FESR (ricerca sviluppo tecnologico ed occupazione e tecnologie dell'informazione e della comunicazione) la leva per un generale rilancio del sistema d'impresa in Sicilia fuori dalla tradizionale dipendenza dal contributo pubblico, il ragionamento sulle infrastrutture va liberato dalle pastoie del localismo e rapportato alla necessità di ricostruire in una logica integrata la rete dei collegamenti mobilità tra la Sicilia e il resto del mondo, la mobilità tra le grandi aree urbane e tra queste ultime e le aree interne che rappresentano uno degli elementi di novità del nuovo ciclo; il programma nazionale sulle aree metropolitane, l'agenda urbana insieme alla messa in efficienza e la gestione dell'immenso patrimonio culturale, con le potenzialità occupazionali che contengono, possono rappresentare il principale giacimento di sviluppo della nostra economia; la tutela del territorio e la bonifica delle aree inquinate sono essenziali per la sostenibilità della crescita e creeranno nuovi posti di lavoro. Istruzione, rilancio della capacità delle Università di rapportarsi con il territorio, investimenti nella ricerca sono le opzioni su cui si deciderà il futuro della Sicilia. So che sarebbe assai più comodo, sul terreno del consenso elettorale immediato, usare l'occasione europea per risolvere i problemi della spesa corrente, ma si condannerebbe la Sicilia alla consunzione ed all'emarginazione dall'Europa. Non basta la volontà politica, occorre mettere mano e cambiare in profondità l'amministrazione regionale per impedire che si tornino a creare i colli di bottiglie e le posizioni di rendita che hanno ritardato (insieme a cause nazionali come li patto di stabilità interno che ha impedito alle Regioni di cofinanziare gli investimenti) l'utilizzo efficace e produttivo delle risorse. Innanzitutto, però, è d'obbligo concentrare le risorse ed indirizzarle verso i settori realmente in grado di creare sviluppo. Intanto per cortesia, si eviti di ripresentarci ventiduemila misure: se si vuol far sul serio si riducano ad un terzo e si concentri l'attenzione sulla qualità e sul monitoraggio della spesa. Meno chiacchiere e più fatti, se si vuole evitare di ritrovarci tra sette anni a fare, ancora una volta, i conti delle occasioni perdute.
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