Il ministro Bianchi ai giovani: "L’insegnamento di Pio La Torre nostro sillabario della legalità”
“L'insegnamento di Pio La Torre è ancora fortissimo ed è parte di una sorta di 'sillabario della legalità' che deve stare alla base anche di questo straordinario sforzo che stiamo facendo tutti per uscire dalla pandemia”. Lo ha detto il ministro dell’Istruzione, Patrizio Bianchi, intervenendo alla prima conferenza del progetto educativo antimafia e antiviolenza del centro Pio La Torre. “Credo che questo progetto che proponiamo alle nostre scuole – ha aggiunto il ministro Bianchi – sia un momento di riflessione per tutti. La nostra scuola ritrovata deve essere una scuola di comunità e di legalità e la legalità in Italia ha i nomi di tutti coloro che sono caduti per mano della mafia, del terrorismo e del malaffare”.
“Il
quarantesimo anniversario della Legge Rognoni-La Torre: evoluzione giuridica,
politica ed economica” è stato il tema del primo incontro del 16/mo progetto
educativo antimafia, seguito in diretta streaming sul sito dell'associazione e
sul portale “Ansa Legalità& Scuola” da oltre 160 scuole, tra cui 15 case
circondariali da Nord a Sud Italia. A parlarne, con gli studenti e il
presidente dell’associazione, Vito Lo Monaco, sono stati: Antonio Balsamo,
presidente del tribunale di Palermo, Franco La Torre, figlio di Pio, Vincenzo
Militello, docente di diritto penale all’Università di Palermo e Walter
Veltroni, politico, scrittore, giornalista e regista, al lavoro su un
documentario sulla vita di Pio La Torre. Diverse le domande pervenute dagli
studenti partecipanti, dall’omertà alle confische, dal rapporto tra Covid e
criminalità organizzata alle collusioni tra mafia e politica. All’inizio dell’incontro,
visibile sul canale youtube del centro Pio La Torre e sul sito www.piolatorre.it, anche la proiezione di
un video realizzato dai volontari del servizio civile sulla Legge Rognoni – La Torre
e sui beni confiscati.
“Con
la legge Rognoni – La Torre finisce la stagione delle assoluzioni per
insufficienza di prove – ha detto Antonio Balsamo, presidente del tribunale
di Palermo – Il primo a parlare di terrorismo mafioso era stato proprio Pio
La Torre, nel 1966, cogliendo nella guerra di mafia il senso della sfida allo
Stato, qualcosa che andava oltre l'associazione per delinquere. Il Covid19 ci
ha resi consapevoli della fragilità di ciascuno e dell'impossibilità per ogni
Stato di salvarsi da solo. La pandemia può offrire la tentazione di un welfare
mafioso – ha aggiunto Balsamo – per questo va costruita un'alternativa forte,
riducendo le disuguaglianze. La lotta alla mafia è una lotta di liberazione per
gli individui e le comunità e credo che uno degli impegni della prossima
generazione sia affrontare fenomeni criminali globali con una logica di
solidarietà”.
“C'è
un radicamento delle mafie nei territori che rappresenta un problema, perché
accanto alle organizzazioni criminali finanziarie e transnazionali c'è un dato
che va colto per aggiornare i metodi di contrasto – ha detto il docente di
diritto penale Vincenzo Militello - se guardiamo alla cosiddetta “mafia dei
pascoli” della zona dei Nebrodi c'è stato una sorta di mimetismo per il quale
la mafia agricola si è avvalsa di forme di sovvenzione pubblica di fonte europea
che le hanno consentito di sfruttare strumenti moderni e allo stesso tempo
restare ancorata alle proprie radici”.
“La
conoscenza è l'arma fondamentale per sconfiggere le mafie nel presente e nel
prossimo futuro. Non bastano le rituali condanne della mafia nelle ricorrenze –
ha detto Vito Lo Monaco – è necessaria un’azione quotidiana di prevenzione
e una visione concreta per un nuovo modello di sviluppo che elimini le
disuguaglianze economiche, sociali, di genere, territoriali, ambientali. Su
questi temi il Centro renderà pubblici i contributi che verranno dagli studenti
con scritti, video, ricerche per renderli cittadini consapevoli ai quali
consegnare il testimone per liberarci da ogni forma di sopraffazione e
d’ingiustizia”.
“Mi
auguro che nelle scuole gli insegnanti aiutino gli studenti ad arrivare a
leggere e capire la storia del Novecento, ad avere dentro di sé gli anticorpi
per evitare che le grandi tragedie del 900, tra cui la mafia, si ripetano – ha
detto il regista Walter Veltroni - Questa generazione ha nelle sue mani una
possibilità di comunicare che nessun'altra prima ha mai avuto. Noi potevamo
andare a vedere i film contro la mafia, da “Il sasso in bocca” di Giuseppe
Ferrara ai film di Franco Rosi, ma non potevamo fare dei film contro la mafia o
scrivere delle cose che circolassero. Questa generazione ha una quantità di
strumenti di comunicazione che non ha paragone con la storia umana. La cosa che
si può e che le scuole potrebbero contribuire a fare è esprimere questa
coscienza nella forma con la quale i ragazzi oggi comunicano. La mafia si
alimenta di un collasso culturale, civile, etico, per cui tutto ciò che può
rafforzare le dighe di questo collasso è utile. Ai ragazzi dico: fate quello
che abitualmente fate con un intento civile, per suscitare rabbia, indignazione,
speranza, attorno a un tema come la mafia che ha segnato il destino del nostro
Paese”.
“Mio padre è nato e cresciuto un ambiente intriso di mafiosità, in una contrada di Palermo dove i grandi proprietari terrieri davano ai residenti contadini, poveri, l'unico lavoro possibile – ha detto Franco La Torre, figlio di Pio, nel corso del suo intervento – e il tramite di collocamento erano i mafiosi stessi. Non ne parlavamo nelle nostre conversazioni quotidiane, ma noi familiari eravamo consapevoli del rischio che correva. C'è stato un momento, però, che ricordo: ed è stato quando mio padre aveva deciso, come tutti i suoi collaboratori negli organi dirigenti nel Pci siciliano, di dotarsi del porto d'armi e di prendere una pistola. Conoscendo i suoi limiti nel maneggiare attrezzi come martelli e forbici lo abbiamo preso in giro e infatti quella pistola non è mai uscita dal cassetto del comodino della camera da letto. Detto questo, non si è mai pronti all'idea che un familiare possa lasciarci. Ancora oggi ho difficoltà a ricostruire le 48 ore successive all'omicidio di mio padre”.
Antonella Lombardi
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