Il maxiprocesso di mafia e i suoi eroi infangati dalle calunnie
Società | 12 febbraio 2016
L' anniversario del maxi-processo istruito dal pool di Falcone e Borsellino è stato ricordato in un' infinità di modi. A me sembra che le celebrazioni - legittime e dovute - abbiano trascurato un lato inquietante. Il maxi-processo fu un capolavoro investigativo-giudiziario imperniato sulla specializzazione degli operatori e sulla centralizzazione dei dati, un metodo di lavoro vincente contro la criminalità organizzata.Perché un maxi-processo? Non certo per voglia di giustizia-spettacolo. Maxi il processo, perché maxi era stata l' impunità di cui Cosa Nostra aveva sostanzialmente goduto fino a quel momento. Sicché il lavoro del pool fece emergere di colpo centinaia di delitti, per centinaia di imputati, per decine di anni. Roba criminale in quantità maxi. Appunto. Un successo. Un formidabile servizio reso alla giustizia e al Paese. La prova che la mafia si può sconfiggere. Che aspettarsi a questo punto? Qualche volta l' ho chiesto agli studenti incontrati a scuola.Sgranavano tanto d' occhi. Chi poneva la domanda sembrava loro poco furbo. Ma rispondevano con logica e buon senso: squadra che vince non si cambia, semmai si rafforza.Grande stupore quando poi scoprivano che la storia era andata ben diversamente. Il pool vincente di Falcone e Borsellino, invece di essere aiutato e sospinto verso altri successi, fu preso a randellate fino a cancellarlo. Il catalogo delle nefandezze accadute è impressionante. Si comincia (per la nomina a procuratore di Marsala, mica New York…) con l' accusa a Borsellino di "professionista dell' antimafia", cioè di carrierista che lucra indebiti vantaggi dai processi a Cosa Nostra, in danno di chi non ne faceva. Quali fossero questi vantaggi lo rivelerà anni dopo la strage di via D' Amelio, ma l' inverosimile accusa - quando fu scagliata - ebbe effetti devastanti sull' intiero pool.Poi vi fu la calunnia dell' uso spregiudicato dei pentiti (Falcone che portava i cannoli a Buscetta: per insinuare che voleva farsi dire quel che gli conveniva e non la verità).Infine l' accusa di uso distorto della giustizia per fini politici di parte (Falcone "comunista"): il peggior insulto che si possa rivolgere a un magistrato, appioppandogli una falsa etichetta di "appartenenza" per negarne l' indipendenza, delegittimandone in radice credibilità e lavoro.Perché tutto questo fango? Perché il pool, invece di indagare soltanto sui mafiosi di strada, osò occuparsi anche di Ciancimino padre, assessore e sindaco di Palermo; dei cugini Salvo (una vera potenza, economica e politica di area andreottiana); e dei "Cavalieri del lavoro di Catania", imprenditori attivi in ogni parte d' Italia.In altre parole, il pool ebbe vita tranquilla finché si limitò a coppole e lupare. Cessò di essere gradito o tollerato non appena le indagini si indirizzarono anche agli uomini in doppiopetto, ai rapporti fra mafia-politica-istituzioni-economia, riuscendo a individuare alcune delle complicità che sono la spina dorsale del potere mafioso. Prendersela coi fanti e lasciare stare i santi: è la raccomandazione di sempre (con qualche variante) cui i pavidi sono sensibili, mentre gli onesti - come Falcone e Borsellino - non rallentano l' adempimento dei loro doveri anche se sanno che gliene potranno derivare effetti nefasti.La tempesta di calunnie, polemiche e attacchi ingiusti ebbe il suo culmine nella umiliazione che la maggioranza del Csm inflisse a Falcone con la vergognosa decisione di non nominarlo capo ufficio istruzione di Palermo (quello del pool), preferendogli un magistrato praticamente digiuno di processi di mafia e dichiaratamente nemico del metodo Falcone. Questo metodo, vincente contro la mafia, fu azzerato. Il pool cancellato. L' orologio dell' antimafia riportato indietro di una quarantina d' anni almeno. Di mortificazione in mortificazione, alla fine Falcone (vistesi sbattere in faccia tutte le porte di Palermo) fu costretto a emigrare, trovando una specie di asilo politico-giudiziario a Roma, al ministero. Dove però continuò con coraggio e vigore il suo impegno antimafia. Tra l' altro prese a monitorare (com' era nei poteri del suo nuovo ufficio) le sentenze nei processi di mafia pronunciate da certi giudici della Cassazione. E rilevò come ve ne fossero - incomprensibilmente - di troppo "indulgenti", creando così le premesse per evitare che il giudizio finale sul maxi-processo finisse nelle mani del solito presidente che i maligni definivano "ammazza-sentenze". Ancora un importante servizio reso da Falcone al nostro Paese, pochi mesi prima che la mafia, con la strage di Capaci, lo colpisse a morte anche per vendicarsi dei durissimi colpi subiti col maxi.Dopo morto, Falcone diventa (sacrosantamente ) un eroe, ma le "bastonate" ricevute da vivo sono state troppo spesso rimosse. È un lato oscuro della storia che non va dimenticato. Neppure in occasione delle celebrazioni del maxi-processo.
di Gian Carlo Caselli
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