Il matrimonio è un diritto. Di tutti e di tutte

Società | 3 luglio 2015
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La Corte suprema degli Stati Uniti ha riconosciuto alle coppie gay e lesbiche il diritto di sposarsi in tutta la federazione. Perché il matrimonio è un diritto fondamentale dell’individuo e non è necessario un’azione legislativa per affermarlo. Il consolidamento dei rapporti familiari e con i figli.

Il matrimonio come diritto fondamentale
Nel loro recente libro Redeeming the Dream, i due super-avvocati David Boies e Theodore B. Olson (gli stessi che, per intenderci, avevano incrociato i fioretti nella celebre contesa giudiziaria all’esito incerto delle elezioni presidenziali del 2000) ricordano che i processi per il riconoscimento del diritto al matrimonio tra persone dello stesso sesso si muovono lungo tre constatazioni: che il matrimonio è un diritto fondamentale desumibile dalla Costituzione federale degli Stati Uniti (Due Process ed Equal Protection Clauses iscritte nel XIV Emendamento); che essere privati di tale diritto, come ordinariamente avviene per le coppie omosessuali, costituisce un danno non solo per queste coppie ma anche per i loro figli (le cosiddette famiglie omogenitoriali); che consentire a “ciascuno di sposare la persona che ama” non può danneggiare alcuno.Letta attraverso queste ragioni, la sentenza resa dalla Corte suprema degli Stati Uniti il 26 giugno 2015 che ha riconosciuto alle coppie gay e lesbiche il diritto di sposarsi in tutta la federazione traccia un completo disegno della condizione giuridica delle persone omosessuali rispetto all’istituto del matrimonio, secondo uno schizzo già impresso nei repertori giudiziari. Al baricentro di questa ricca giurisprudenza risiede dunque la questione della necessità costituzionale del matrimonio same-sex alla luce del fatto inconfutabile che, come si legge nell’incipit della pronuncia, “la Costituzione promette a tutti libertà”.
La sentenza della Corte suprema
La Corte smonta pezzo per pezzo le più false convinzioni in materia.Anzitutto, il matrimonio same-sex non snatura né distrugge l’istituto coniugale. È infatti un istituto millenario proprio per l’importanza che riveste per la società e fonde due persone in un’unione che costituisce molto di più della mera somma delle sue componenti. Estenderlo alle coppie gay e lesbiche vi aggiunge una dimensione nuova, e pertanto lo arricchisce. È proprio perché ne percepiscono l’importanza, l’unicità e la necessità al fine di consolidare i rapporti familiari e con i loro figli (alcuni ricorrenti rappresentano famiglie omogenitoriali) che dette coppie chiedono di potervi accedere: “il matrimonio”, si legge, “è l’unico percorso reale volto a questo profondo impegno”. Inoltre, “le radici antiche del matrimonio ne confermano la centralità, ma esso non può essere letto in isolamento rispetto agli sviluppi della legge e della società”. Non occorre infatti essere uno storico per ricordare quanto, nell’arco dei secoli, tale istituto sia mutato in forma e sostanza, secondo cambiamenti che l’hanno rinforzato, non indebolito.Sono gli stessi cambiamenti cui assistiamo nel trattamento delle coppie gay e lesbiche, che solo di recente, dopo secoli di persecuzioni, hanno costruito un’identità che reclama pari dignità, una dignità che nella storia è sempre stata “in conflitto sia con la legge sia con convinzioni sociali diffuse”. Sebbene l’identità, ovverosia la costruzione della “comunità omosessuale” come vera e propria “razza”, sia tipica del contesto statunitense e, come scrive Giovanni Dall’Orto, risulti dunque difficilmente esportabile, tutti gli insegnamenti contenuti in questa sentenza sono preziosi anche per le (doverose) riflessioni da farsi a casa nostra.In secondo luogo, il matrimonio determina il posto di ciascuno nella società. È una scelta che attiene all’autonomia individuale, e dunque alle dinamiche proprie dei diritti e delle libertà fondamentali e conferisce solidità e dignità alle famiglie che vi possono accedere, soprattutto riguardo ai figli. Le leggi che vietano il matrimonio same-sex “danneggiano e umiliano i bambini delle coppie dello stesso sesso”. Anzi, “danno” e “stigma” sono le parole che ricorrono più spesso nella sentenza. “Limitare il matrimonio alle coppie di sesso opposto può essere parso per lungo tempo naturale e giusto, ma la sua incompatibilità con il significato centrale del diritto fondamentale al matrimonio”, conclude la Corte, “risulta ora evidente”.Infine, la Corte esclude che quello del matrimonio same-sex sia un tema talmente divisivo da richiedere necessariamente l’intervento del legislatore. Il dibattito esiste già, a ogni livello, e “gli individui non devono aspettare un’azione legislativa per affermare un proprio diritto fondamentale”. L’affermazione di un diritto fondamentale è infatti possibile “anche se il pubblico nel suo complesso non lo approva e anche se il legislatore si rifiuta di legiferare sul tema”. La posta in gioco qui, insomma, non è il rispetto delle regole della democrazia, ma piuttosto l’adempimento del dovere dell’autorità giudiziaria di offrire tutela a chiunque lo richieda.Nel loro libro appassionato Boies e Olson ricordano, indossando le lenti di uno dei testimoni del processo californiano sulla Proposition 8, che “il matrimonio gay sarebbe una vittoria per le idee meritevoli di tolleranza e inclusione. Diminuirebbe il numero di coloro che, nella nostra società, tendono ad essere visti come ‘altri’ ed accrescerebbe il numero di coloro che invece sono accettati come parte di ‘noi’. A tale riguardo, il matrimonio gay sarebbe una vittoria per l’idea di America e una chiave per l’espansione di questa idea”.È giunto il momento di togliere il condizionale a questa bella affermazione, e di sostituirlo con il tempo presente, un presente che ha il colore di un arcobaleno che si estende ormai su tutti gli Stati Uniti.(info.lavoce)
 di Matteo M. Winkler

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