Il lato oscuro di Salvini: rivendere i beni sottratti ai boss

Economia | 26 settembre 2018
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Nel decreto “sicurezza” spunta un’ampia riforma del Codice antimafia. Soprattutto in materia di confische dei beni di proprietà della criminalità organizzata. Una su tutte: la possibilità che l’immobile sottratto alle cosche sia dato in affitto “sociale” alle famiglie in condizioni di disagio . Con una novità all’orizzonte anche per le aziende: i provvedimenti di sequestro, confisca e nomina di amministratore giudiziario andranno iscritti presso il registro delle imprese. Un pacchetto di misure che si affianca agli altri capisaldi del provvedimento già annunciati: dal giro di vite sul noleggio di furgoni con finalità-antiterrorismo alla stretta sugli sgomberi degli edifici occupati illegalmente fino alla possibilità per i vigili urbani in servizio ai posti di blocco di accedere alle banche dati di Polizia e Carabinieri.

L’articolo della bozza di decreto detta una serie di modifiche dell’articolo del Codice antimafia. Tra queste spunta la possibilità di cedere in locazione gli immobili confiscati a soggetti in difficoltà economiche. I beni, infatti, possono anche avere lo scopo di «incrementare l’offerta di alloggi da cedere in locazione a soggetti in particolare condizione di disagio economico e/o sociale». Di non secondaria importanza è l’articolo del decreto che inserisce l’articolo -bis in tema di «iscrizione di provvedimento al registro delle imprese». Così potranno essere liberamente consultabili la nomina dell’amministratore giudiziario e tutti gli atti giudiziari pubblici relativi all’impresa confiscata.

Il testo prevede delle novità anche in tema di autofinanziamento ai dipendenti e alle strutture del ministero dell’Interno e della Giustizia. In particolare si prevede - con la modifica del comma del Codice antimafia - che attraverso la vendita dei beni confiscati affluiscono finanziamenti «nella misura del % al ministero dell’Interno, per la tutela della sicurezza pubblica e per il soccorso pubblico, nella misura del % al ministero della Giustizia, per assicurare il funzionamento ed il potenziamento degli uffici giudiziaria e degli altri servizi istituzionali».

Tra i nuovi spunti c’è anche un aspetto legato alla razionalizzazione delle procedure di gestione e destinazione dei beni confiscati da parte degli enti locali. Il decreto precisa che «se entro un anno l’ente non ha provveduto alla destinazione del bene, l’Agenzia nazionale dispone la revoca del trasferimento ovvero la nomina di un commissario con poteri sostituitivi». Il particolare non è di poco conto, in quanto non di rado si registrano, a livello locale, difficoltà nella destinazione di alcuni beni, per questioni legate a pressioni e minacce, come emerso da numerose indagini giudiziarie.

In Sicilia, in particolare, il tesoretto che si appresta ad andre sul mercato è di 5.946 immobili e 945 aziende, che lo Stato non riesce ad assegnare «per usi sociali», come previsto dalla legge. «Un grosso rischio - dice Umberto Santino, il presidente del Centro di documentazione Peppino Impastato, a La Repubbica di Palermo - - i boss potrebbero provare a tornare in possesso delle loro ricchezze». Per i capimafia resta un punto d’orgoglio quello di riappropriarsi dei patrimoni sequestrati. È già accaduto, con gli stratagemmi più diversi. Accadrà di sicuro nuovamente nel corso delle aste previste dal decreto Salvini. «Bisogna piuttosto rilanciare l’uso sociale dei beni sottratti alle mafie - continua - ma poi perché stupirsi, da anni, ormai, è in atto una strategia per rendere vano l’uso sociale dei beni sequestrati e confiscati. Da Berlusconi a Salvini, un unico disegno ».

È davvero un gran tesoro quello che lo Stato non riesce a restituire alla collettività, con assegnazioni a enti locali o associazioni. Nella lista dei 5946 immobili sparsi per la Sicilia che stanno andando in rovina - perché non assegnati, o peggio ancora nelle mani dei boss - ci sono 97 ville, 26 alberghi, 901 appartamenti, 428 garage, 36 fabbricati, 234 magazzini, 78 negozi, 2 scuole, 22 stalle, 2700 terreni agricoli e 191 terreni edificabili. Un patrimonio dal valore inestimabile, bloccato nelle stanze dell’Agenzia per i beni confiscati, perché non ci sono soldi per le ristrutturazioni, o perché i beni sono gravati da ipoteche o altri vincoli.

Un altro tesoro è quello delle aziende confiscate: 64 nel settore dell’agricoltura, 289 operano nel campo dell’edilizia, 30 distribuiscono energia elettrica e gas, 55 sono impegnate nel settore dei trasporti. Aziende che lo Stato sta gestendo con grandi difficoltà e il rischio di chiusura è dietro l’angolo.

«Troppo rischioso vendere i beni confiscati ai privati» anche per don Luigi Ciotti. «Ci vuole tanto rigore e attenzione, perché i boss provano sempre a riprendersi le proprie ricchezze», sottolinea il fondatore di Libera a Salvo Palazzolo sulle colonne di Repubblica. Il ministro Salvini sembra voler dire col decreto che la vendita dei beni confiscati è la strada maestra per uscire dalla situazione di stallo che stiamo vivendo, lo Stato non riesce ad assegnare migliaia di immobili sottratti alle mafie. «La perplessità di Libera non è pregiudiziale né ideologica ontinua don Ciotti - . Voglio ricordare che fummo noi, per primi, nella petizione popolare che nel 1995 raccolse un milione di firme per la legge sull’uso sociale dei beni confiscati, a prevedere un’ipotesi di vendita. Ma immaginavamo che il ricavato dovesse servire ad alimentare uno speciale fondo istituito presso le prefetture per i progetti sociali. Le aspettative sono andate deluse».

 di Angelo Meli

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