Il grido d’allarme dei giovani che la politica deve ascoltare
Pur con tutte le cautele di valutazione sull’attendibilità scientifica di un campione casuale e auto selezionato, ancora una volta, per il decimo anno consecutivo, l’indagine sulla percezione del fenomeno mafioso degli studenti italiani, svolta dal Centro Studi Pio La Torre, indica alcune tendenze che un’attenta classe dirigente dovrebbe prendere in seria considerazione politica.
Non è un caso che anche quest’anno presenteremo a Roma, giovedì 14, in anteprima sull’anniversario del 30 aprile, i risultati dell’indagine alla Commissione Antimafia (l’anno scorso sono stati consegnati al Presidente della Repubblica). Il commento dei dati, come si legge più avanti, è affidato a un gruppo di esperti che volontariamente vi dedicano un po’ del loro prezioso tempo e che ringrazio per il loro contributo.
Quest’anno abbiamo esteso, in via sperimentale, l’indagine anche tra gli universitari siciliani promettendoci, se ci sorreggerà l’impegno, di estenderlo ad altre università italiane. I risultati delle risposte complessive degli studenti da un lato offrono uno spaccato dell’evoluzione della loro percezione sulla negatività del fenomeno mafioso e del loro rifiuto di incontrarlo; dall’altro mostrano quanto sia cresciuta in questi giovani la consapevolezza che corruzione, mafia e politica sono strutturalmente sempre più collegate, che una rivoluzione legalitaria è necessaria per lo sviluppo del paese.
La sfiducia degli intervistati nei confronti della classe politica purtroppo è elevata (60%) e quasi il 50% ritiene che la mafia sia più forte dello Stato, e meno della metà considera possibile sconfiggerla definitivamente. Tutto ciò sembra un’invocazione di correzione rivolta alla classe dirigente del paese, una manifesta non rinuncia al merito come criterio di selezione. Pur in presenza di risultati apprezzabili sul piano della repressione, rimangono ancora insoddisfacenti quelli sul terreno della prevenzione.
I recenti fatti – da Mafia Capitale allo scandalo della gestione dei beni confiscati e al metodo mafioso corruttivo esteso sino al traffico di influenze – non aiutano a far crescere la fiducia tra i giovani, tra l’altro alle prese con un futuro lavorativo ancora incerto, che si preparano a una vita di precari. Però dimostrano quanto sia avvertita l’esigenza di vedere inserita la questione delle mafie, come della corruzione, tra le priorità che il sistema politico, istituzionale, economico devono saper affrontare e risolvere. Tra le nuove generazioni c’è un forte bisogno etico di veder crescere la fiducia in un futuro diverso.
L’imperativo categorico è anche di impedire che le centinaia di migliaia di “neet” possano diventare un potenziale serbatoio per le organizzazioni criminali. Inoltre l’indagine riconferma il ruolo che la scuola, quale agenzia educativa nazionale, svolge nel formare una coscienza critica antimafiosa che è l’obiettivo al quale contribuisce con i suoi modesti mezzi il Centro Studi Pio La Torre, vocato ad un’antimafia non retorica, non autoreferenziale, a volte poco appetibile sul piano mediatico, ma sempre conforme a quel filone di pensiero laico democratico che dall’ottocento ad oggi ha sempre visto il fenomeno della mafia come problema politico delle classe dirigenti.
Il prossimo 30 aprile, al Teatro Biondo di Palermo, 34° anniversario dell’uccisione di Pio e Rosario, d’intesa con la Presidenza della Commissione Antimafia, terremo un breve dibattito, prima della rappresentazione dell’atto unico di Vincenzo Consolo da parte degli studenti, per ricordare anche il 40° anniversario delle relazioni del 1976 della Commissione Antimafia tra le quali quelle di minoranza firmato, tra gli altri, da Pio La Torre e Cesare Terranova. Essa può considerarsi alla stregua di quella famosa del 1876 di Sidney Sonnino e Leopoldo Franchetti, un testo chiave per comprendere la natura della mafia nella storia del Paese e delle classe dirigenti.
Di fronte all’estendersi del fenomeno e alla sua crescita, connessa ai processi finanziari transnazionali occorrerà, utilizzando i più recenti apporti scientifici e politici, adeguare strumenti e soprattutto volontà politiche nazionali e internazionali per cancellarlo dal nostro futuro. La concentrazione della ricchezza e le conseguenti nuove diseguaglianze, accresciute dalla crisi globale del 2008, impongono soluzioni redistributive e di giustizia sociale, ma anche forme di contrasto transnazionale delle nuova criminalità organizzate di stampo mafioso che dalla crisi hanno avuto nuove opportunità.
Strumenti e diritto vanno adeguati in Italia, nell’Ue come a livello globale, essendo nota la natura dei traffici illegali - dal narcotraffico alle estorsioni, dai rifiuti tossici alla tratta umana - per questo continueremo a sostenere che la questione non può rimanere legata soltanto al lavoro della polizia, della magistratura, della Commissione antimafia e dei ministri di riferimento, ma deve trovare un posto prioritario nell’agenda politica del governo e dell’Ue.
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