Il giudice Livatino sarà beato, martire in odium fidei

Società | 22 dicembre 2020
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Sarà beato il giudice Rosario Livatino, assassinato sulla strada che conduce da Canicattì ad Agrigento il 21 settembre 1990, all’età di 37 anni, dai mafiosi della 'Stiddà. Di Livatino, nato a Canicattì il 3 ottobre 1952, la Santa Sede ha infatti riconosciuto il martirio «in odium fidei» (in odio alla fede): è questo il contenuto di un decreto della Congregazione per le Cause dei santi, di cui papa Francesco ha autorizzato la promulgazione nel corso di un’udienza col cardinale prefetto Marcello Semeraro. La prova del martirio «in odium fidei» del giovane giudice siciliano, secondo fonti vicine alla causa, è arrivata anche grazie alle dichiarazioni rese da uno dei quattro mandanti dell’omicidio, che ha testimoniato durante la seconda fase del processo di beatificazione (aperta il 21 settembre 2011 e portata avanti come postulatore dall’arcivescovo di Catanzaro, monsignor Vincenzo Bertolone, agrigentino), e grazie alle quali è emerso che chi ordinò quel delitto conosceva quanto Livatino fosse retto, giusto e attaccato alla fede e che per questo motivo, non poteva essere un interlocutore della criminalità. 

Andava quindi ucciso. Non è un caso che, come emerge dalle sentenze dei processi sulla morte del giudice, importanti esponenti locali di Cosa Nostra, quando Livatino era ancora in vita, lo etichettassero come «uno scimunito», un «santocchio» (un bigotto) perché frequentava assiduamente la parrocchia di San Domenico, a pochi passi dalla casa in cui viveva con i genitori. Una testimonianza quella del mandante, che è risultata decisiva così come quella di uno dei quattro esecutori materiali del delitto, Gaetano Puzzangaro, che quel 21 settembre era alla guida dell’auto che speronò la vettura del «giudice ragazzino» e che già in passato aveva deciso di rilasciare alcune dichiarazioni per la fase diocesana del processo. Dopo la sua morte, nel 1993, Giovanni Paolo II, incontrando ad Agrigento i suoi genitori, aveva definito Livatino «un martire della giustizia e indirettamente della fede». Anche Papa Francesco, che ha molto sostenuto la causa di beatificazione aperta, ha lodato la figura del magistrato: incontrando nel novembre del 2019 i membri del «Centro Studi Rosario Livatino», lo ha definito «un esempio non soltanto per i magistrati, ma per tutti coloro che operano nel campo del diritto: per la coerenza tra sua fede e il suo impegno di lavoro, e per l’attualità delle sue riflessioni». La cerimonia di beatificazione di Livatino potrebbe svolgersi nella primavera del 2021 proprio ad Agrigento. 

Numerose oggi le reazioni alla notizia del decreto vaticano che apre, per il "giudice ragazzino», la via verso l’onore degli altari: da Maria Falcone ("la Chiesa ha reso giustizia a tutti coloro che hanno creduto di dare un senso alla propria esistenza impegnandosi nella difesa del bene comune") a don Luigi Ciotti ("atto che salda Cielo e Terra, pungolo per tutti noi a vivere con maggiore coerenza e radicalità l’impegno per il bene comune"), dal cardinale di Agrigento Francesco Montenegro ("in questa terra, non solo c'è la mafia, la violenza, il sopruso, ma ci sono anche delle figure straordinarie, uomini che in silenzio vivono la loro parte, scrivono la loro storia e la storia di Livatino non è andata perduta") al procuratore della città siciliana Luigi Patronaggio ("per i magistrati tutti un esempio da seguire e per noi magistrati agrigentini infine un onore oltre che un onere morale difficilmente uguagliabile e raggiungibile"), fino a Matteo Truffelli, presidente di quell'Azione Cattolica in cui Livatino è cresciuto ("come lui, ciascuno di noi può trovare nella quotidiana traduzione della fede in scelte concrete la strada per quella 'santità della porta accantò a cui siamo chiamati").

Il centro Pio La Torre ha lanciato un accorato appello   per realizzare la casa museo a Canicattì. Lo aveva fatto a settembre, nell'anniversario del barbaro assassinio, scrivendo al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e lo ribadisce ancora oggi a tutte le istituzioni. "Fanno trent'anni che hanno barbaramente ucciso il giudice Rosario Livatino di Canicattì – spiega il presidente del centro studi, Vito Lo Monaco -. Stava andando al lavoro senza scorta, i killer di mafia lo hanno inseguito e trucidato. Era un 'giudice ragazzino' esempio di umiltà, modestia, onestà e impegno civile. "Quando moriremo, nessuno ci verrà a chiedere quanto siamo stati credenti, ma credibili” scriveva, anticipando una questione morale mai veramente affrontata nel nostro Paese. Nel suo paese natale addirittura ignorata dai più". A trent'anni dalla morte la sua casa è intatta come lui l'ha lasciata quella mattina per andare in tribunale ad Agrigento. Con le sue toghe, i suoi libri, gli appunti, la sua vita che nessuno può conoscere e apprezzare veramente perchè è chiusa al pubblico, ormai pericolante. "Inutili gli appelli di tanti a farne una casa museo, a memoria e insegnamento per le nuove generazioni – scrive ancora Lo Monaco-. L'abitazione di Livatino è in possesso di una signora che non vuole lasciarla, che si oppone a ogni timida iniziativa di farne un bene pubblico. Nell'ignavia della Pubblica amministrazione locale, dello Stato e della Regione che non fanno niente, a trent'anni dalla morte di un giudice per cui è in atto anche una causa di beatificazione come martire della chiesa, nonostante quel giudice abbia dato la sua vita anche per loro" .

 "Volevamo dirglielo– conclude Lo Monaco rivolgendosi a Mattarella  - .Vogliamo ricordarlo in questi giorni di celebrazioni e passerelle che diventano odiose se non riescono a scuotere la coscienza di quanti devono la vita al giudice Rosario Livatino e a tutti quelli che si sono sacrificati in questa interminabile lotta alle mafie. Signor Presidente, aiuti la comunità degli onesti con la sua autorevolezza a creare la casa museo Giudice Rosario Livatino a Canicattì".

Un appello fatto proprio anche dal Sindaco di Canicattì, Ettore Di Ventura, e dai cittadini che, il giorno dopo l'annuncio della prossima beatificazione del magistrato hanno apposto un cartello sul portone della sua casa: "Aiuta questa città"

 di Angelo Meli

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