Il fragile equilibrio tra benessere, libertà e salute

Economia | 28 marzo 2020
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Il trascorrere dei giorni chiarisce che i tempi per il ritorno alla vita “normale” non saranno brevi e che, comunque, le nostre esistenze sono destinate a subire cambiamenti di cui ancora non è possibile percepire estensione e modalità. Appare ormai evidente che la pandemia determinerà una recessione economica a livello planetario che potrebbe assumere dimensioni devastanti, potenzialmente bibliche come ha scritto, usando non a caso l'aggettivo, Mario Draghi. Non è pensabile affrontare prima l'emergenza sanitaria e dopo quella economica: l'una si intreccia strettamente con l'altra. Se da un canto la salute è considerata l'asset decisivo del paese, d'altro canto la tenuta del sistema economico garantisce la possibilità stessa della salvaguardia della salute e il mantenimento in funzione delle filiere essenziali ad assicurare il rifornimento alimentare della popolazione e dei prodotti indispensabili al sistema sanitario che è sottoposto ad uno stress inimmaginabile.

In questo scenario critico si configura un delicatissimo problema di democrazia. Solo degli incoscienti potrebbero gridare al complotto per instaurare un regime autoritario, si chiami fascismo, “democratura”, socialismo di mercato a partito unico o “democrazia illiberale” ma le misure di emergenza impongono di fatto un'inedita restrizione dei diritti fondamentali di libertà che, ove durasse oltre un tempo definito e limitato, modificherebbe nei fatti i caratteri costituenti della nostra democrazia.

E' stato scritto (Fabrizio Bartelloni su La Repubblica del 25/3/2020 ) come oggi appaiano “pressoché svuotati diritti e beni costituzionalmente garantiti che reputavamo intangibili come la libertà di circolazione, soggiorno ed espatrio (articolo 16 della Costituzione), la libertà di riunione (articolo 17 della Costituzione) quelle di esercizio dei culti religiosi (articolo 19) e di insegnamento (articolo 33), la libertà di iniziativa economica (articolo 41, primo comma), nonché i diritti derivanti dalla garanzia e dall'obbligo di istruzione (articolo 34)”. Tale sospensione e limitazione trova fondamento nell'articolo 32 che statuisce il principio fondamentale che fa del diritto alla salute non soltanto un bene individuale, ma un patrimonio della collettività da tutelare e salvaguardare anche attraverso “la limitazione di diritti concorrenti con esso temporaneamente inconciliabili.”

Si tratta di una questione che diverrà sempre più dirimente se l'emergenza si protraesse nel tempo e che dovrà trovare un assetto che, pur nella priorità della tutela della salute, salvaguardi gli altri diritti costituzionali e l'essenza stessa della nostra democrazia. L'equilibrio tra sicurezza e tutela delle libertà fondamentali è un tema che il centrosinistra italiano e quello che si definisce il pensiero progressista non devono lasciare in mano di alcun altro. L'altro versante della crisi è legato all'affacciarsi di una recessione mondiale che potrebbe essere addirittura più grave di quella del 1929. E’ necessario quindi individuare paradigmi nuovi che consentano di costruire un'ipotesi di futuro possibile, senza scivolare in scenari distopici.

Innanzitutto l'Europa, e gli europei, devono cambiare pagina, buttare via il vangelo rigorista e le beghe nazionaliste che hanno guidato nell'ultimo decennio il suo operato. Da questo punto di vista è un bene che si sia aperto uno scontro esplicito nel Consiglio europeo tra i paesi, Italia, Francia, Spagna e Portogallo, che chiedono di affrontare la crisi con strumenti adeguati all'eccezionalità della situazione e la posizione conservatrice di Germania ed Olanda. Uno scontro la cui posta è la sopravvivenza stessa dell'Unione. Dalle scelte assunte in questa fase dipenderà la collocazione non subalterna degli stati europei ed il ruolo dell’ Unione Europea nello scacchiere delle relazioni internazionali tra grandi potenze. Il rischio di uno scivolamento verso oriente dell'asse continentale appare oggi quanto mai reale, specialmente visto il crollo della credibilità politica dei paesi dell'asse atlantico.

Nessun paese europeo si salverà da solo.

Quanto sta avvenendo destabilizza alla radice il neoliberismo come dottrina economica dominante, ma segna anche la sconfitta del nazionalismo promosso dall'ideologia sovranista e dal populismo e delle illusioni autarchiche che aveva creato. L'Italia da sola da nessuna parte andrà, se non verso un disastro di dimensioni equivalenti a quello della seconda guerra mondiale. Dispiace constatare come l'asfittico, e a volte analfabeta, dibattito politico italiano si attardi in una contrapposizione che somiglia sempre più a quella tra i polli di Renzo. Perfino un messaggio alto e che parla all'Europa, e non solo ad essa, come l'articolo pubblicato da Mario Draghi sul Financial Times è stato derubricato a manovra contro l'attuale presidente del Consiglio e la maggioranza che lo sostiene. Per questo abbiamo scelto di allegare al nostro contributo il testo integrale in italiano. Va anche considerato che la scelta del Corriere della Sera di non pubblicare il testo integrale di Draghi sull’edizione cartacea, ma di relegarlo alla sua pagina online di analisi economica, non può essere casuale e sembra riflettere quella tendenza di molta stampa italiana a buttare tutto in cori da stadio e caciara politica che ci sta penalizzando moltissimo e che causerà, a lungo andare, conseguenze non proprio piacevoli quando la tempesta passerà

Molto si sta muovendo in Europa tra gli studiosi per elaborare idee nuove per sopravvivere al “dopo”. Significativo ci appare un documento proposto da un gruppo di studiosi di tutta Europa ,consultabile a questo link, che ha per titolo “L'Unione Europea e la democrazia devono rinascere”. Partendo dalle riflessioni di alcuni economisti portoghesi si individuano una serie di azioni innovative sul terreno dell'economia finanziaria e reale che determinano la necessità di una rapida azione dell'Unione a contrasto della crisi. Il manifesto si conclude con queste parole molto significative: “the EU must seize the opportunity to demonstrate that it has at its heart the interest of the people...The EU must not standby while the crisis unfolds. A vigorous and united response must be expressed by the main Eu institutions showing that they will do whatever it takes to defend the human, social, economic and political integrity of the EU... The cost of acting now will be much lower than the cost of acting tomorrow. We do not want to be the sleepwalkers of the 21st century.”1

La proposta di Draghi sembra muoversi nella stessa direzione invocando una risposta immediata e decisiva delle nostra istituzioni sovranazionali. Il ragionamento di Draghi ha un respiro assai più ampio delle versioni sbocconcellate comparse sui media del nostro paese e rappresenta uno dei contributi più organici alle riflessioni sugli sviluppi della crisi in corso. Sembra quasi un abbozzo di programma europeo rivolto a non “perdere la pace” dopo che- ci auguriamo- avremo sconfitto il corona virus. Proprio la mancanza di visione globale rese cieche nel 1914 le classi dirigenti che trascinarono l'Europa verso trent'anni di conflitti, dittature, tragiche carneficine e rovine. Oggi il nostro preciso dovere è affrontare il futuro, difficile per quanto possa essere, con gli occhi bene aperti e i piedi ben piantati a terra.

In questo senso la cronaca sembra darci conforto. E’ di oggi la notizia che il governo giapponese si prepara a varare una manovra economica di supporto 'mai vista prima' per arginare l'impatto della diffusione del coronavirus, che include la distribuzione di denaro per sostenere la spesa per consumi.

La teoria economica aveva già posto nel decennio passato le basi concettuali per fondare politiche di questo tipo, basti pensare alle parole con cui il premio Nobel per l’economia Amartya Sen inizia il suo saggio fondamentale “Sviluppo è libertà”, del 1999 : “lo sviluppo può essere visto come un processo di espansione delle libertà reali godute dagli esseri umani”.

Nicola Saldutti commentando le parole di Mario Draghi, ha affermato che l’emergenza di questi mesi “ha bisogno di pensiero nuovo per essere affrontata, perché il congelamento di una parte consistente delle attività economiche, in un sistema fortemente intrecciato, come quello europeo, non può essere gestito se non in modo condiviso…è decisivo il modo nel quale le garanzie pubbliche ai finanziamenti, gli aiuti e i sostegni al reddito, l’utilizzo delle risorse pubbliche, in grado di garantire che la liquidità non si fermi, funzionino.”

Forse dovremmo essere un po’ più ottimisti e iniziare a pensare che nonostante l’enorme sfida che ci aspetta alla fine dell’emergenza sanitaria, esistono già alcuni strumenti ed alcune visioni che mettono le democrazie occidentali in una posizione di vantaggio per la ricostruzione. Una di queste è la comprensione che nei nostri sistemi democratici il benessere e lo sviluppo sono inscindibilmente legati alla libertà individuale e alla tutela dei più deboli.

Anne Applebaum in un contributo pubblicato su The Atlantic, e tradotto in Italiano su Internazionale commenta il diffondersi su scale globale delle limitazioni della libertà individuale con queste parole: “la paura ha sempre spinto le persone a rispettare le regole. D’altronde in un momento in cui la popolazione è terrorizzata dalla morte, è inevitabile che tenda ad accettare provvedimenti che ritiene salvifici, a torto o a ragione. Anche se questo significa perdere la propria libertà. Questo tipo di misure ha avuto grande successo in passato. I liberali, i libertari, i democratici e gli amanti della libertà di ogni specie farebbero meglio a rassegnarsi. Sarà così anche questa volta.” L’Economist le fa eco sottolineando come nella maggior parte del mondo lo stato ha finora risposto a covid-19 con un mix di coercizione e peso economico. Man mano che la pandemia procede, è anche probabile che sfrutti il suo potere unico per monitorare le persone che usano i loro dati. “Per i sostenitori di governi neoliberalisti che limitato l’azione statale e credono nei mercati aperti, covid-19 rappresenta un problema. Lo stato deve agire con decisione. Ma la storia suggerisce che dopo le crisi lo stato non rinuncia a tutto il terreno che ha preso. Oggi ciò ha implicazioni non solo per l'economia, ma anche per la libertà delle persone”.


In uno scenario così complesso il ruolo dell'opinione pubblica globale e del dibattito pubblico ci appare sembra decisivo più della quarantena. E per ora gli economisti sembrano tra i pochi a ragionare su modelli che tengono conto di tutti i fattori in gioco, tutti gli altri, pur svolgendo un ruolo significativo nella gestione dell'emergenza sanitaria, annaspano nei loro specialismi. Per questa ragione ci sembra molto importante leggere il contributo di Draghi nella sua versione integrale, che proponiamo di seguito, e provare per quanto si può ad uscire dalla cronaca per riappropriarsi di uno spazio di riflessione critica.

Testo integrale in italiano dell'articolo di Mario Draghi su Financial Times, pubblicato su Corriere Economia del 26 marzo 2020

“La pandemia del coronavirus è una tragedia umana di proporzioni potenzialmente bibliche. Oggi molti temono per la loro vita o piangono i loro cari scomparsi. Le misure varate dai governi per impedire il collasso delle strutture sanitarie sono state coraggiose e necessarie, e meritano tutto il nostro sostegno.

Ma queste azioni sono accompagnate da un costo economico elevatissimo – e inevitabile. E se molti temono la perdita della vita, molti di più dovranno affrontare la perdita dei mezzi di sostentamento. L’economia lancia segnali preoccupanti giorno dopo giorno. Le aziende di ogni settore devono far fronte alla perdita di introiti, e molte di esse stanno già riducendo la loro operatività e licenziando i lavoratori. Appare scontato che ci troviamo all’inizio di una profonda recessione.

La sfida che ci si pone davanti è come intervenire con la necessaria forza e rapidità per impedire che la recessione si trasformi in una depressione duratura, resa ancor più grave da un’infinità di fallimenti che causeranno danni irreversibili. È ormai chiaro che la nostra reazione dovrà far leva su un aumento significativo del debito pubblico. La perdita di reddito a cui va incontro il settore privato – e l’indebitamento necessario per colmare il divario – dovrà prima o poi essere assorbita, interamente o in parte, dal bilancio dello stato. Livelli molto più alti di debito pubblico diventeranno una caratteristica permanente delle nostre economie e dovranno essere accompagnati dalla cancellazione del debito privato.

Il giusto ruolo dello stato sta nel mettere in campo il suo bilancio per proteggere i cittadini e l’economia contro scossoni di cui il settore privato non ha alcuna colpa, e che non è in grado di assorbire. Tutti gli stati hanno fatto ricorso a questa strategia nell’affrontare le emergenze nazionali. Le guerre – il precedente più significativo della crisi in atto – si finanziavano attingendo al debito pubblico. Durante la prima guerra mondiale, in Italia e in Germania soltanto una quota fra il 6 e il 15 per cento delle spese militari in termini reali fu finanziata dalle tasse, mentre nell’Impero austro-ungarico, in Russia e in Francia, i costi correnti del conflitto non furono finanziati dalle entrate fiscali. Ma inevitabilmente, in tutti i paesi, la base fiscale venne drammaticamente indebolita dai danni provocati dalla guerra e dall’arruolamento. Oggi, ciò è causato dalle sofferenze umane per la pandemia e dalla chiusura forzosa delle attività economiche.

La questione chiave non è se, bensì come lo stato debba utilizzare al meglio il suo bilancio. La priorità non è solo fornire un reddito di base a tutti coloro che hanno perso il lavoro, ma innanzitutto tutelare i lavoratori dalla perdita del lavoro. Se non agiremo in questo senso, usciremo da questa crisi con tassi e capacità di occupazione ridotti, mentre famiglie e aziende a fatica riusciranno a rimettere in sesto i loro bilanci e a ricostruire il loro attivo netto.

Il sostegno all’occupazione e alla disoccupazione e il posticipo delle imposte rappresentano passi importanti che sono già stati introdotti da molti governi. Ma per proteggere l’occupazione e la capacità produttiva in un periodo di grave perdita di reddito è indispensabile introdurre un sostegno immediato alla liquidità. Questo è essenziale per consentire a tutte le aziende di coprire i loro costi operativi durante la crisi, che si tratti di multinazionali o, a maggior ragione, di piccole e medie imprese, oppure di imprenditori autonomi. Molti governi hanno già introdotto misure idonee a incanalare la liquidità verso le aziende in difficoltà. Tuttavia, si rende necessario un approccio su scala assai più vasta.

Pur disponendo i diversi paesi europei di strutture industriali e finanziarie proprie, l’unica strada efficace per raggiungere ogni piega dell’economia è quella di mobilitare in ogni modo l’intero sistema finanziario: il mercato obbligazionario, soprattutto per le grandi multinazionali, e per tutti gli altri le reti bancarie, e in alcuni paesi anche il sistema postale. Ma questo intervento va fatto immediatamente, evitando le lungaggini burocratiche. Le banche, in particolare, raggiungono ogni angolo del sistema economico e sono in grado di creare liquidità all’istante, concedendo scoperti oppure agevolando le aperture di credito.

Le banche devono prestare rapidamente a costo zero alle aziende favorevoli a salvaguardare i posti di lavoro. E poiché in questo modo esse si trasformano in vettori degli interventi pubblici, il capitale necessario per portare a termine il loro compito sarà fornito dal governo, sotto forma di garanzie di stato su prestiti e scoperti aggiuntivi. Regolamenti e normative collaterali non dovranno ostacolare in nessun modo la creazione delle opportunità necessarie a questo scopo nei bilanci bancari. Inoltre, il costo di queste garanzie non dovrà essere calcolato sul rischio creditizio dell’azienda che le riceve, ma dovrà essere pari a zero, a prescindere dal costo del finanziamento del governo che le emette.

Le aziende, dal canto loro, non preleveranno questa liquidità di sostegno semplicemente perché i prestiti sono a buon mercato. In alcuni casi – pensiamo alle aziende con ordini inevasi – le perdite potrebbero essere recuperabili e a quel punto le aziende saranno in grado di ripianare i debiti. In altri settori, questo probabilmente non sarà possibile.

Tali aziende forse saranno in grado di assorbire la crisi per un breve periodo di tempo e indebitarsi ulteriormente per mantenere salvi i posti di lavoro. Tuttavia, le perdite accumulate potrebbero mettere a repentaglio la loro capacità di successivi investimenti. E se la pandemia e la chiusura delle attività economiche dovessero protrarsi, queste aziende resterebbero attive, realisticamente, solo se i debiti contratti per mantenere i livelli occupazionali durante quel periodo verranno alla fine cancellati.

O i governi risarciranno i debitori per le spese sostenute, oppure questi debitori falliranno, e la garanzia verrà onorata dal governo. Se si riuscirà a contenere il rischio morale, la prima soluzione è quella migliore per l’economia. La seconda appare meno onerosa per i conti dello stato. In entrambi i casi, tuttavia, il governo sarà costretto ad assorbire una larga quota della perdita di reddito causato dalla chiusura delle attività economiche, se si vorrà proteggere occupazione e capacità produttiva.

I livelli di debito pubblico dovranno essere incrementati. Ma l’alternativa – la distruzione permanente della capacità produttiva, e pertanto della base fiscale – sarebbe molto più dannosa per l’economia e, in ultima analisi, per la fiducia nel governo. Dobbiamo inoltre ricordare che in base ai tassi di interesse presenti e probabilmente futuri, l’aumento previsto del debito pubblico non andrà a sommarsi ai suoi costi di gestione.

Per alcuni aspetti, l’Europa è ben attrezzata per affrontare questo shock fuori del comune, in quanto dispone di una struttura finanziaria capillare, capace di convogliare finanziamenti verso ogni angolo dell’economia, a seconda delle necessità. L’Europa dispone inoltre di un forte settore pubblico, in grado di coordinare una rapida risposta a livello normativo e la rapidità sarà assolutamente cruciale per garantire l’efficacia delle sue azioni.

Davanti a circostanze imprevedibili, per affrontare questa crisi occorre un cambio di mentalità, come accade in tempo di guerra. Gli sconvolgimenti che stiamo affrontando non sono ciclici. La perdita di reddito non è colpa di coloro che ne sono vittima. E il costo dell’esitazione potrebbe essere fatale. Il ricordo delle sofferenze degli europei negli anni Venti ci sia di avvertimento.

La velocità del tracollo dei bilanci delle aziende private – provocate da una chiusura economica al contempo doverosa e inevitabile – dovrà essere contrastata con pari celerità dal dispiegamento degli interventi del governo, dalla mobilitazione delle banche e, in quanto europei, dal sostegno reciproco per quella che è innegabilmente una causa comune.”


1 "Cogliere l'occasione per dimostrare di essere fondata sulla difesa dell'interesse delle persone ... L'UE non deve temporeggiare mentre si sviluppa la crisi. Una risposta vigorosa e unita deve essere espressa dalle principali istituzioni dell'UE, dimostrando che sono disposte a fare tutto il necessario per difendere l'integrità umana, sociale, economica e politica dell'UE ... Il costo di una azione immediata sarà molto inferiore al costo di un ritardo nell’agire. Non vogliamo essere i sonnambuli del 21 ° secolo. "

 di Franco Garufi e Tommaso Garufi

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