Il doppio esordio di Dante Alighieri nel cinema in bianco e nero
Uno strano destino colpisce il primo film italiano concepito
su Dante Alighieri. Annunciato in pompa magna già nel 1909 L’inferno
(uscito però nel 1911) regia di Adolfo Padovan e Francesco Bertolini, prodotto
senza troppo badare a spese dalla Milano Films, viene preceduto dal più modesto
L’inferno (1911) regia di Giuseppe Berardi, prodotto dalla più piccola
Helios di Velletri. Uno dei tanti casi di concorrenza commerciale non proprio
adamantina. Ad interpretare il ruolo del sommo poeta nel film della Milano
viene chiamato l’attore etneo Salvatore Alzelmo Papa, noto artisticamente come
Salvatore Papa (Calatabiano, Catania 1875 – Bologna 1955, presso la casa di
riposo Lyda Borelli), che dopo aver lasciato la propria terra d’origine, negli
stessi anni della golden age produttiva catanese e palermitana riuscirà
per oltre un decennio a brillare di luce propria nel firmamento del cinema muto
nazionale. Di
lui, attore di formazione teatrale, oltre alle interpretazioni
cinematografiche, di cui quella di Dante
Alighieri resta la più rilevante, si ricorda anche una sola coregia, quella del
film bellico Sotto il bacio del fuoco (1915) firmato insieme a Emilio
Roncarolo (già direttore della fotografia de L’inferno) e
prodotto dalla Vomero Film di Napoli. Del film una critica patriottica, al
passo con i tempi, così ne esalta l’eroismo delle nostre truppe
contrapponendolo alla “barbarie” degli austriaci: “...possiamo dire che Sotto
il bacio di fuoco... ci si presenta sotto un aspetto felicissimo e quale
uno di quei lavori che formano la fortuna di un oculato esclusivista.
Raccontare la trama? Ci sembra superfluo. Si tratta dell’eroismo delle nostre
genti, dello spirito di sacrificio di un’irredenta e d’un irredento, della
lotta atroce fra la viltà e la barbarie dello straniero e fra il coraggio e la
gentilezza dei nostri. I nostri soldati sono degli eroi e lo sappiamo: gli
austriaci sono dei barbari, e ne abbiamo le prove tutti i giorni…»[1].
Attore dunque prevalentemente teatrale, come
molti colleghi prestatosi momentaneamente anche al cinema, tra il 1909 e il 1917
Papa interpreta oltre una dozzina di film, tra cui il più noto resta appunto L’inferno
(Saggi dall’inferno dantesco 1911, diviso in tre parti e lungo 1200 m.)
regia di Padovan e Bertolini (con la collaborazione di Giuseppe De Liguoro,
anche interprete nei panni di tre personaggi, fotografia di Emilio Roncarolo),
tratto dalla prima cantica della Divina Commedia, primo film che riesce ad
ottenere l’iscrizione al “Pubblico Registro delle opere protette” (l’edizione
completa è del marzo 1911), premiato con la medaglia d’oro al primo concorso
cinematografico mondiale. Nel film, ricorda Maria Adriana Prolo
“la pellicola più importante della casa in quel periodo...furono usati trucchi
arditissimi…Per impersonare Dante e Virgilio erano stati scelti due provetti
rocciatori, Salvatore Papa e Arturo Pirovano, e la maggior parte delle scene
furono girate nel canalone Porta sulla Grigna Meridionale. Tranne qualche
riserva fatta per le scene dei lussuriosi che erano troppo palesemente dei
pupazzetti ai quali, oltre alla pena stabilita da Dante, era stata aggiunta
quella di muoversi a scatti tra le fiamme, e per quelle dei giganti che non
apparivano tali, la riduzione della Milano Film fu giudicata ‘un autentico
capolavoro’ ”[2] Apprendiamo così, se la
critica non s’inganna, della passione di Papa per la montagna, che nel
frattempo aveva sposato Maria Colombo la sorella di due attori teatrali
siciliani Eugenio e Lindoro Colombo, dalla quale in seguito si separò. Il film
fu lanciato, sia in Italia che all’estero, con grande battage pubblicitario con
una serie di insolite iniziative (come le anteprime riservate a giornalisti e
autorità, mostre, stampa di opuscoli…)[3] dal
partenopeo Goffredo Lombardo che “inaugurò il nuovo sistema di distribuzione
basato non sulla vendita o il noleggio delle copie, ma sulla concessione di
diritti in esclusiva per zone e Paesi: sistema che nel giro di qualche anno
sarebbe diventato usuale per i più importanti film a lungometraggio… Negli
Stati Uniti venne importato e distribuito in 5 bobine...L’inferno fece
si che per la prima volta si aprissero al cinema i maggiori teatri e i prezzi
d’ingresso salirono fino a 2,50 dollari; in occasione del lancio del film, le
vetrine delle librerie americane si riempirono di copie della ‘Divina Commedia’
le cui vendite aumentarono in maniera significativa”[4].
Unanime il consenso della critica
italiana che parla di “visioni sublimi...delle visioni in cui abbiamo campo di
notare la grandiosità tutta del lavoro cinematografico...”[5] e ancora di
nulla “di più nobile, di più artistico, di più bello, come nei quadri, ove le
visioni più salienti dell’inferno vi appariscono in tutta la loro grandezza e
la loro possanza...E se Gustavo Doré ha scritto, con la matita del disegnatore,
il migliore commento grafico al Divino Poema, questa cinematografia ha fatto
rivivere l’opera di Doré”[6].
Con
abile, ma tutt’altro che leale mossa pubblicitaria l’uscita del film della
Milano fu dunque, come detto, anticipata di qualche mese da un omonimo L’inferno
(altro titolo Visioni dell’inferno) della Casa di produzione Helios
di Velletri, girato in tempi brevissimi e tratto sempre dalla prima cantica
della “Divina Commedia”, regia di Giuseppe Berardi che interpreta altresì il
personaggio di Dante. “La Helios ha un solo torto, quello di aver voluto
sfruttare intempestivamente L’inferno, già annunziato da tempo dalla
Milano Film. Il lavoro presentato sotto questa cattiva luce non ottenne il
successo che specie alcuni quadri si sarebbero meritati...”[7]. Seguito da
una serie di aspre polemiche il film della Helios, molto più modesto di quello
della Milano, riuscì comunque a precedere di qualche mese l’uscita di quello
diretto da Padovan e Bertolini in molti paesi (fu anch’esso distribuito in
tutto il mondo), nonostante la produzione quest’ultimo avesse messo in atto una
serie di annunci al pubblico, avvertendolo della “imitazione” (accusa
prontamente respinta dalla Helios) fabbricata a danno del proprio film e la
stessa denuncia di concorrenza sleale da parte dello stesso Gustavo Lombardo,
che in una vibrante recensione polemica apparsa su “Lux” nel gennaio del 1911
inveisce furiosamente contro il film ritenuto colmo di “balorda comicità”, “di
mal riuscita parodia”, di “scenari di carta”, giudicando la presenza del
protagonista nei panni di “un Dante...diciamo così, cretino. Minuscolo, dal
viso visibilmente e comicamente truccato”, in conclusione di “opera indegna non
soltanto di Dante e del suo poema, ma anche della cinematografia, intesa come
arte riproduttrice della vita…”.
Altra apparizione di Dante si registra
in un film di poco successivo che ne ricostruisce (con buona dose d’inventiva)
gli anni della gioventù. Il film, Dante e Beatrice (altro titolo La
vita di Dante, 1913, fotografia di Giovanni Vitrotti), è prodotto
dall’Ambrosio di Torino e vanta la regia del romano Mario Caserini, uno dei più
prolifici e importanti registi del cinema muto italiano, attivo nelle
principali case di produzione nazionali e lui stesso tra i fondatori della Film
Artistica Gloria (1913), deceduto purtroppo prematuramente. Nel ruolo di Dante
appare Oreste Grandi, uno degli interpreti di punta dell’Ambrosio e al suo
fianco Fernanda Negri Pouget, attrice romana già molto nota, proveniente
dall’Accademia di Santa Cecilia. Una critica scandalizzata appunta gli strali sui
presunti libertinaggi del sommo poeta “...che s’inoltra in una bettola, dalla
quale conduce una...divetta, con la quale passeggia tendosela strettamente a
braccetto, quando s’imbatte in Beatrice...Il poeta scriveva l’immortale poema
avendo vicino – questo è il colmo – la nota divetta che avrebbe voluto
distoglierlo dal lavoro, e che Dante severamente riprende...”[8].
Infine Dante nella vita e tempi suoi
(1922) regia di Domenico Gaido, prodotto e distribuito dalla V.I.S. di
Firenze, ritrae il poeta (interpretato da Guido Maraffi) al tempo della Firenze
dei Guelfi Neri di Corso Donati (Armando Cresti) vittoriosi sui Ghibellini, tra
i quali egli stesso guerreggia incitando alla lotta la fazione alla quale
appartiene. Una sinossi intricata di amore e morte, che si conclude con la
morte di Corso Donati in battaglia e con quella dello stesso Dante, ammalatosi
di malaria mentre si trova a Ravenna nel tentativo di scongiurare la guerra
contro i veneziani. L’ultima sequenza si chiude con il figlio del poeta che ritrova,
dopo una miracolistica visione notturna, l’opera somma del padre celata in una
finestra. Beatrice è interpretata da Perla Lottini. Il fluviale film, quasi
3700 metri - uno dei film più lunghi di tutto il cinema muto italiano - fu
concepito per celebrare il sesto centenario dantesco, ma iniziata nel 1920 la
tribolata lavorazione subì varie interruzioni, che ne fece slittare la prima
proiezione pubblica verso la fine del 1922. Già inserito in vari programmi di
proiezioni (scuole, collegi…) l’opera arrivò a Roma addirittura nel 1925, dopo
varie recensioni critiche tutt’altro che esaltanti[9].
[1] Guepe, «La Cine-Fono», Napoli, 1-15 dicembre 1915, in Vittorio Martinelli, Il cinema muto italiano 1915 (seconda parte),
Biblioteca di B&N, Nuova Eri Edizioni RAI, 1992 Centro Sperimentale di
Cinematografia, p. 216.
[2] Maria Adriana Prolo, Storia del cinema
muto italiano, Poligono Società Editrice, Milano, 1951, volume I (i
successivi annunciati non sono mai stati pubblicati), p. 42
[3] A Napoli, ricorda sempre la Prolo, il film
fu proiettato alla presenza di Benedetto Croce e Roberto Bracco, mentre Matilde
Serao lo recensì con toni entusiastici sul “Giorno”.
[4] Aldo Bernardini-Vittorio Martinelli, Il
cinema muto italiano 1911 ( prima parte),
Biblioteca di B&N, Nuova Eri Edizioni RAI,
1992, Centro Sperimentale di Cinematografia, 1995, pp. 247-248
[5] Veritas, “La Vita Cinematografica”, Torino,
5 aprile 1911, n. 6
[6] “Il Giorno”, Napoli, 2 marzo 1911.
[7] Ego, “La CineFono e La Rivista
Fono-Cinematografica”, Napoli, 20 maggio 1911, n. 158.
[8] Il Rondone in “La Vita Cinematografica”,
Torino, 15 aprile 1913.
[9] V. Vittorio Martinelli, Il cinema muto
italiano 1922-1923, Biblioteca di B&N, Nuova ERI edizioni RAI, 1996
Centro Sperimentale di Cinematografia, pp. 39-41.
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