Il divario di cittadinanza tra Nord e Sud che l'Italia non elimina

Cultura | 2 novembre 2020
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Divario di cittadinanza di Luca Bianchi ed Antonio Fraschilla (Rubettino 2020) affronta da un punto di vista parzialmente nuovo una questione ben radicata nella storia unitaria del nostro paese. 

Di questione meridionale, infatti, si discute da oltre cent’anni, dalla famosa inchiesta dei due studiosi toscani Franchetti e Sonnino negli anni 70 nel diciannovesimo secolo, passando per lo “sfasciume pendulo sul mare” descritto da Giustino Fortunato e dalla polemica antiprotezionistica di Gaetano Salvemini, fino alla sistematizzazione gramsciana del modello imposto dalle classi dirigenti ai rapporti tra nord e sud del paese. Negli anni successivi al secondo conflitto mondiale il tema venne ripreso e rilanciato in termini fortemente propositivi dalla nuova generazione di meridionalisti, primo tra tutti Pasquale Saraceno. La mobilitazione di massa delle lotte per la terra, la consapevolezza che non si poteva sprecare l’occasione costituita dal piano Marshall, la temperie culturale e politica della ricostruzione produsse allora il più massiccio sforzo compiuto per questa parte del paese dall'unità ad oggi: la costituzione della cassa pee il Mezzogiorno. Non è qui il caso di ripercorrere la storia dei fasti e nefasti di quello strumento, che si articolo’ comunque in due fasi ben distinte , se non per ricordare che l’abolizione nel 1983 dell'intervento straordinario determino’ l’avvento di una lunga stagione nel corso della quale il Sud finì per scomparire dallo scenario del dibattito politico e culturale.

 La nuova programmazione introdotta dalle felici intuizioni di Carlo Azeglio Ciampi all'inizio degli anni 2000 ebbe il merito di reintrodurre il tema della crescita dello sviluppo programmato delle aree del paese afflitte da ritardo di crescita, ma finì per affidarne la realizzazione quasi esclusivamente ai fondi europei ed alle politiche di coesione che avrebbero invece dovuto avere una funzione solamente aggiuntiva. Per responsabilità innanzitutto delle classi dirigenti meridionali, attorno ai limiti e ai ritardi nell utilizzo delle risorse europee si è costruita una visione negativa- qualche volta alimentata dal pregiudizio - che finiva per qualificare come spreco ogni intervento nella realtà nel sud. Negli anni piu recenti il discorso sul Mezzogiorno è stato addirittura sostituito dall'idea che il Meridione costituisse la naturale base di consenso di massa per operazioni improntate al populismo e all’avventurismo comunque mascherato.

 In questa riproposizione della vecchia idea del Mezzogiorno strumento di operazioni politiche tese a scardinare gli assetti istituzionali, che è alla base del travolgente successo elettorale dei 5 Stelle nelle elezioni del marzo 2018, hanno pesato anche le colpe gravissime del ceto politico meridionale che si era ridotto alla mera gestione del potere e la incapacità delle classi dirigenti del Sud nel loro complesso di intestarsi un modello di sviluppo esplicitamente alternativo che facesse i conti con la frammentazione del economia meridionale, con la progressiva desertificazione industriale che ha colpito le aree dove era state presenti le partecipazioni statali, con la progressiva crisi del welfare. Cio’ tuttavia non ha significato che l’industria fosse scomparsa dal Sud, perché una classe imprenditoriale resiliente, pur se numericamente limitata, è riuscita a sopravvivere alla crisi del 2008.

 Solo che è venuta meno nel Mezzogiorno in questo decennio la capacità di fare sistema, la consapevolezza che bisognasse impegnare una battaglia di dimensione nazionale per impedire che i nuovi assetti politici ed economici del paese lasciassero del tutto ai margini la necessità di ricostruire un sistema produttivo, reti infrastrutturali moderne ed adeguate, un welfare capace di dare risposte ai bisogni delle persone, un sistema scolastico universitario, della conoscenza che mettesse il Sud a pari con altre aree europee – e della stessa Europa meridionale - che nel frattempo trovavano nuove ragioni di crescita. Ne sono derivati squilibri profondi tra Meridione e resto d’Italia, ma anche all'interno della stessa regione meridionale, che hanno introdotto elementi di sfascio nel momento in cui il sistema politico- istituzionale ha cominciato a mostrare i segni dell’approssimarsi del collasso. 

Sono venute meno le speranze, soprattutto quelle delle giovani generazioni e si è aperto il ciclo della emigrazione che il Sud aveva ben conosciuto all'inizio del Novecento. Ancora una volta ad andarsene sono quelli che hanno più energie da spendere: giovani donne ed uomini ad alta formazione scolastica e professionale che non avevano trovato nella immobilità dell'economia e delle istituzioni meridionali speranze per il proprio futuro. Questo è ad ogni evidenza il peggiore dei danni che sono stati provocati al Mezzogiorno: la perdita di speranza, la sottrazione di energie vitali. Cosa si è sostituito a questo venir meno di prospettive? Nulla di buono. La politica ha evidenziato una forbice sempre più ampia affermazioni altisonanti e pratica miserrima, si constata la persistenza di un sistema diffuso di corruzione e di illegalità a cui non si è saputo porre rimedio nonostante gli indubbi successi conseguiti dallo stato contro contro lo stragismo mafioso e le diverse organizzazioni criminali che controllavano una parte della vita economica e sociale del Sud. 

Si è verificato, insomma, un deficit di fiducia della gente nella capacità della politica di risolvere i propri problemi che ha portato a inseguire la facile soluzione dell'uno vale uno e le pulsioni assistenziali del populismo a 5 Stelle. E’ questa la mappa di speranze deluse che emerge in modo chiaro e puntuale, ma anche drammaticamente pressante, dal volume di Luca Bianchi e Antonio Fraschillla. La pandemia da COVID-19 ha drammaticamente accelerato tutti i fenomeni negativi in corso creando nuove povertà, drammi sociali, improvviso impoverimento di quanti erano riusciti con la loro attività a rimettere in moto autonomi processi di di sviluppo. Nel momento in cui il paese sarà chiamato a confrontarsi con gli impegni della ricostruzione sarà indispensabile non ripetere gli errori del passato. Solo assumendo come dato ineludibile che bisogna ripartire dal Mezzogiorno per definire un modello di sviluppo che non riproponga gli errori e gli orrori di quello che ci sta alle spalle, si potrà dare una risposta non solo agli oltre 30 milioni di italiani italiani che vivono nel Meridione ma a tutto il paese. L’elenco di fallimenti, diritti negati welfare debole, sanità malata e opifici industriali abbandonati che ci presentano gli autori deve quindi essere un monito perché non si rifacciano gli sbagli del passato . 

L’Italia ha bisogno, L’Europa ha bisogno di una nuova consapevolezza che sarà dalle aree più deboli, dalla loro capacità di cambiare, di dare risposte ai bisogni della gente delle persone che ripartirà dopo la pandemia una nuova stagione di sviluppo sostenibile e di lotta alle ingiustizie sociali.

 di Franco Garufi

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