Il disegno politico che mina la legislazione antimafia

L'analisi | 4 agosto 2024
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Nel Paese è in corso un palese e continuo indebolimento di tutte le norme che sono state concepite per contrastare la mafia, per limitare la sua capacità di penetrazione nell’economia troncando le sue connessioni con l’imprenditoria e con tutti quei settori dell’amministrazione, e della società, compiacenti, collusi, corrotti.
La legge Rognoni-La Torre è la pietra miliare di questa impostazione. In proposito l’analisi di Emilio Miceli è del tutto condivisibile. Non è un caso che proprio la legge Rognoni-La Torre, frutto della buona politica che produce le leggi antimafia, sia nel mirino della cattiva politica, quella che mira a cancellare ciò che sta accadendo oggi per riaffermare il proprio potere. Ma finendo alla fine per perderlo rendendo permeabili e condizionate le istituzioni democratiche. Basti pensare alla normativa sugli appalti, che in nome dello snellimento procedurale introduce affidamenti diretti, liberalizza il subappalto, consente di fatto l’affidamento della maggior parte delle opere senza passare dalle gare. Aprendo dunque le porte a corruzione, infiltrazioni, favoritismi, voto di scambio, facendo saltare la sicurezza sul lavoro e i diritti dei lavoratori. Rendendo fragili e inermi gli amministratori locali onesti.
La preoccupazione per quanto sta accadendo è quindi non solo legittima, ma obbligatoria perché si nutre di certezze. L’attuale compagine di governo, come nella lucida analisi di Emilio, sta cercando di intervenire indebolendo sia la strumentazione antimafia preventiva che quella repressiva. Smantellando la legge Rognoni La Torre, dà il via libera alle infiltrazioni mafiose. Questo accade laddove invece la strumentazione antimafia andrebbe aggiornata e potenziata seguendo le nuove strade dell’economia, in un mondo sempre più digitale. Ci sono inoltre gli interventi sulle intercettazioni, misure che si inscrivono nella generale tendenza a mettere il bavaglio alla stampa, a narcotizzare un’opinione pubblica, ahimé, oggi sufficientemente disattenta.
Condivido anche l’idea che sia in corso una sorta di liberi tutti, innescata da una politica che non ha contribuito alla costruzione del Paese democratico qual è l’Italia e che pescando nel torbido ricostruisce poteri e dà fiato alle trombe della malapolitica, quella ancora viva e vegeta che fa a patti con la mafia e che ad essa si appoggia per le proprie fortune. Come Cgil siamo fermamente convinti della necessità di una ripresa di un vero movimento antimafia, che tragga alimento dalle forze sociali, dalla parte sana della società e perché no della politica. Un movimento che produca un risveglio delle coscienze, quanto mai necessario, sottraendo la nostra società da questa forma di narcosi collettiva che rischia di farci tornare indietro, di riconsegnare alle mafie fette intere del territorio, di inquinare tutto il Paese, posto che la mafia esiste e fa affari a Milano come a Palermo.
La nostra attività di denuncia è stata costante in questi anni, assieme agli allarmi legati ai finanziamenti pubblici in arrivo. Abbiamo ripetutamente sollevato una mai risolta questione morale nella nostra regione, quella che vede un viluppo di interessi con protagoniste la politica, l’amministrazione, certa imprenditoria, la mafia. Voglio ricordare le denunce fatte dalla Cgil sull’Oasi di Troina, Concorsopoli, l’appalto delle Asp, l’interporto, per citarne alcune. Ma anche la nostra attività contro lo sfruttamento del lavoro e il caporalato, che quasi sempre va a braccetto con la mafia. Inoltre la nostra iniziativa, insieme alle categorie interessate, per quanto riguarda la trasparenza degli appalti.
Abbiamo presentato più di un anno fa una proposta di protocollo di intesa su legalità e appalti rivolta alla Regione, agli enti locali e alle stazioni appaltanti per una contrattazione d’anticipo sui bandi allo scopo di assicurare trasparenza e legalità, a partire dal lavoro. Il principio di base della nostra proposta è quello del controllo sociale. Condivisa la proposta ovviamente da tutti ma rimasta lettera morta. Ovviamente non pensiamo di tirarci indietro ma piuttosto di andare avanti, innescando processi di consapevolezza sul fatto che nell’illegalità non c’è possibilità di sviluppo, non c’è giustizia sociale , ma solo l’arricchimento di qualcuno a spese dell’intera collettività. Se la battaglia continua altrettanto va fatto con l’analisi. Sugli interessi generali di una politica di governo che allenta le maglie, cosa che avrà ripercussioni sull’intero Paese. Su un’antimafia, talora inquinata, talora finta, spesso al centro di polemiche e infruttuose elucubrazioni. Su una politica che si è nutrita e purtroppo continua a farlo di intrecci con la mafia. Il voto di scambio non è una banalità, è un “do ut des” che baratta potere con malaffare, inconsapevole che poi sarà quest’ultimo a fare da padrone, il voto inquinato porta infatti al controllo delle istituzioni democratiche. Liberare l’apparato economico dal controllo della mafia continua ad essere una priorità e certo oggi lo è ancora di più, vista la direzione che ha preso il Paese, vista l’insipienza di un governo regionale che sa solo acconsentire anche a quello che rischia di distruggerci, come l’autonomia differenziata. Lavorare per una riscossa civica e per nutrire la lotta contro la mafia del più ampio consenso popolare è un dovere di tutti. Ho elencato alcune delle iniziative della Cgil per rimarcare che noi ci siamo. E ci stiamo anche a condividere percorsi che possano cambiare le cose e impedire che decenni di conquiste democratiche vadano perdute, che si torni indietro, cancellando la normativa antimafia, rimestando nel torbido per affermare sistemi di potere non trasparenti.
 di Alfio Mannino (segretario generale Cgil Sicilia)

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