Il carnevale dai tratti aristocratici
Venezia scandisce le sue giornate all'ombra di un cielo plumbeo, eppure il carnevale reclama i suoi spazi ludici, estetici, culinari. A sentire i commercianti il paragone non regge con gli anni precedenti, l'afflusso è limitato, la città, a loro dire, deserta, la voglia di acquisti dei turisti ridotta drasticamente.
Il fatto è, spiega un esercente di buona volontà, che il carnevale di Venezia è unico al mondo per le caratteristiche della festa. Non ci sono carri, niente chiasso, nessun corteo goliardico, non scorrono fiumi di alcool; insomma sotto il leone rampante giungono persone di tutto il mondo, soltanto tra coloro che amano la bellezza, quella della laguna, il cui fascino è legato alla sua unicità, e a quella dei costumi carnascialeschi, in onore della suprema sintesi tra la ricercatezza dei luoghi e la raffinatezza delle maschere, il cui costo di affitto per un solo giorno può raggiungere i cinquecento euro e richiedere una cauzione di oltre mille e cinquecento. Questi viaggiatori sono i più esigenti ma, anche, i più prodighi di acquisti importanti, prodotti artigiani, antichità, preziosi, cristalli.
Qui, a Venezia, si è realizzato, nel passato, un fenomeno unico, tra un alto afflusso di appassionati esteti, proveniente dalle più disparate località del globo, e la sobrietà del carnevale veneziano, una mistura tra il giovedì grasso e il venerdì di quaresima, che si è sempre risolto in favore della proliferazione degli affari.
Di passaggio dal Danieli, una fermata d'obbligo per chiedere se il tormento della crisi, ripresa sì, ripresa no, ha toccato i sacrari della ricchezza mondiale. Neanche per idea! Con molto tatto al ricevimento rispondono che le suite sono esaurite, costo medio, tremila euro al giorno! In maniera sommessa, si scusano ma imputano ad afflussi consistenti di americani, cinesi e russi la mancata disponibilità. Il recente matrimonio di George Clooney ha contribuito ad affermare tra la middle class americana, oltre che a Hollywood, la malia di Venezia. Pazienza, dovremo rinunciare al Danieli !
Forse, però, riusciremo a pranzare in una trattoria tipica, anni e anni di cucina veneta a servizio di viaggiatori esigenti. Le attese sono allettanti, dopo un percorso, tra calli, ponti e vicoli, quando la meta sembrava irraggiungibile, ecco le Carampane, profilarsi alla vista e imboccata la via di San Polo, ci troviamo davanti la trattoria che promette subito, in due cartelli ben in vista, che le informazioni costano due euro e cinquanta, commisurati alle vecchie misure, spiega l'anonimo estensore, si tratta di cinquemila lire, e, inoltre, che in quel luogo di ristoro non si servono pizze, giacché non sanno prepararle e non possono imparare, al riguardo vogliono continuare a essere asini! L'ironia è il sale del mondo, quindi oltrepassiamo la soglia ringalluzziti dalla capacità intravista di spezzare la monotonia del comportamento unico, che accomuna gran parte dei viandanti. Il locale è completo, tuttavia non ci scoraggiamo e chiediamo d'impegnare i posti per la cena. Impossibile, rispondono, è tutto esaurito. Non demordiamo, a quel punto l'anfitrione, costernato, mormora che, per l'intera settimana, il locale è completo. A mo' di giustificazione, con garbo e spigliatezza, attribuisce a uno straordinario afflusso di tedeschi e all'angustia dei locali, questa indisponibilità. Poi, per invitarci a tornare comunque, mostra il lato più ludico del carattere e avanza l'ipotesi che un buon numero di tedeschi abbia letto di recente Morte a Venezia, decidendo così di rendere omaggio al grande Thomas Mann anziché alla Merkel, visitando la città e occupando il proprio locale! Splendida finzione che ci regala un ristoratore letterato e un uomo pieno di arguzia.
Siamo costretti alla resa e pervasi dal sacro furore del carnevale, in una città che ha sperimentato la spregiudicatezza di Giacomo Casanova e il patriottismo di Paolo Sarpi, adusa al potere, sia per forza propria, potente repubblica marinara, che per essere stata terra, dovremmo dire laguna, di conquista ottomana, ci rechiamo, tuttavia, a piazza S. Marco, dove la sfilata delle maschere, il passeggio, di marca esclusivamente veneziana, è uno dei motivi di attrazione di una, tra le ultime feste profane.
La tradizione, in tal senso, è maestra di riti. I veneziani, nobili o plebei, abbienti o meno, che decidono di indossare i costumi in periodo di carnevale sanno di doversi sottoporre al giudizio di Dio, quel tormento che, in epoca medievale, a dispetto del nome, era il mostrarsi in pubblico, accettando commenti, lazzi, complimenti e freddure dei popolani.
Oggi, le maschere godono di alcuni vantaggi, rispetto al passato; la tecnologia ha sostituito l'uomo e i suoi umori, pertanto, se una maschera è giudicata bella viene richiesta di fermarsi per essere fotografata, ripresa. Maggiore è la ressa, più alto è il gradimento; per parte sua, il malcapitato sarà costretto, a volte per ore, a rimanere immobile, in posa. Nel solco del rituale, in genere, è in coppia che le maschere si presentano in pubblico, Belfagor e il doppio femminile, Lucifero e diavolessa, il fantasma di Hitler, che, per quello che ci riguarda ci siamo ben guardati dal fotografare, con Eva Brown, Diabolik e la sua complice.
Al calar della sera queste nuvole di colore, che sono le maschere, scompaiono, non sarebbe possibile, al buio, apprezzare la bellezza nel suo insieme e nel particolare, dalle scarpe d'epoca allo sfavillare dei gioielli, dei ventagli, del trucco e ... dell'anima, che ogni viandante del mondo nasconde sotto merletti, trine, camice inamidate e intessute di perle, di strass, in attesa di un apprezzamento ... di un lampo di luce, che può essere quello di una macchina, ma che se fosse il lampo di luce degli occhi di un ammiratore avrebbe l'effetto di ottenere un inchino, che ogni maschera riserva a chi tra i viandanti offre loro un tratto di attenzione.
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