Il buon padrone, l’omicidio Gucci e la fine del mondo in sala

Cultura | 1 gennaio 2022
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Il capo perfetto (2021) regia di Fernando Leòn de Aranoa dona allo spettatore accorto (e neppure tanto) quel che l’evidente ironia del titolo promette: una patina di umanitarismo (il becero ritornello “siamo una grande famiglia”) funzionale alla produttività dell’azienda. In altre parole il capo (un industriale produttore di bilance, titolare di una fabbrica ereditata dal padre) si occupa paternalisticamente anche della scompaginata vita privata dei dipendenti (uno in particolare fatto becco dalla moglie e in procinto di sclerare) perché la buona salute dei dipendenti – questa la sua filosofia – fa da pendant a quella della fabbrica. Fedigrafo (tradisce la moglie con una giovane stagista, che poi si scopre figlia di un amico di famiglia), si sbarazza di un dipendente “umanamente” licenziato, che fieramente e ostinatamente gli si oppone, optando alla fine per la soluzione estrema e continua ad incassare trofei da esporre nelle pareti casalinghe. Apoteosi finale con l’ipotetica “la grande famiglia” riunita per festeggiare l’assunzione della nuova responsabile commerciale (chi sarà è facile arguire). Una commedia nera, non originalissima ma dall’humor al vetriolo, che rappresenterà al Spagna alla prossima edizione degli Oscar (come miglior film straniero), magistralmente interpretata da Javier Barderm, perfetto nei panni “accomodanti” del “buon padrone”.


Chi non ricorda il clamoroso caso dell’omicidio del rampante Maurizio Gucci nel 1995? A rinverdire i neri fasti della celeberrima casa di moda ora finalmente (dopo molti anni d’incertezze) c’è anche un film made USA, tratto come sempre da un romanzo adattato per lo schermo e diretto dal rodato Ridley Scott (Alien, Blade Ranner, Thelma e Louise, Il gladiatore…e molti altri successi). The house of Gucci (2021) racconta la contorta escalation sociale di Patrizia Reggiani, divenuta moglie e guida dispotica del giovane Maurizio che facilmente riesce a manipolare riuscendo, con subdoli inganni e falsificando la firma del suocero, a far trasmettere al consorte la maggioranza delle azioni della fiorente azienda di famiglia. Liberatosi dalla sottomissione alla moglie e iniziata una nuova relazione con una vecchia amica, Maurizio imprudentemente caccia di casa la dark lady che aiutata dalla sensitiva Pina commissiona a due sicari (inevitabilmente siculi) l’uccisione del marito. La fine è nota: mandanti e killer subito scoperti sono stati tutti condannati a pesanti pene detentive. Racconto lineare e avvincente dell’infernale vicenda (intramontabile fascino delle “teste coronate”, qui ancor più accentuato dalla ferale conclusione), il film gira in massima parte sull’inconsueta presenza di Lady Gaga, chiamata ad interpretare con successo il personaggio della Reggiani, aggiungendo al richiamo spettacolare della luttuosa storia, finita su tutti i giornali e tutte le televisioni del mondo, anche quello (come sempre quando si tratta di blockbuster) dell’osannata ed eccentrica cantautrice americana, affiancata da mostri sacri come Al Pacino (Aldo Gucci), Jeremy Irons (Rodolfo Gucci) e dal non meno conosciuto Adam Driver (Maurizio Gucci), verso i quali lei non sembra aver sofferto particolari complessi d’inferiorità.


Finito subito su Netflix (acquistato dalla Paramount) dopo pochi giorni di programmazione nelle sale, Don’t look up (2021) regia di Adam McKay affronta con raffinata ironia uno dei temi cardine del cinema catastrofista di fantascienza (fino a che punto?): la fine del mondo, stavolta attribuita ad un enorme meteorite che la follia degli esseri umani – a causa di strumentalizzazioni politiche, negazionismo e soprattutto avidità di denaro – non riuscirà a fermare provocando l’esplosione del pianeta. Macabramente divertente anche la conclusione spostata a 22.000 anni dopo con il risveglio dal sonno criogenico dei pochi vip fuggiti e sopravvissuti su un’astronave. In pool position Meryl Streep (nei panni della Presidentessa degli Stati Uniti d’America) e tra gli altri all stars Leonardo Di Caprio e Cate Blanchett.



 di Franco La Magna

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