Il "bail in" e la crisi di fiducia nelle banche

Economia | 2 aprile 2016
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La fine dell’anno che si è chiuso è stata caratterizzata dall’entrata in vigore nei paesi dell’Ue del “bail in”, del principio per il quale nel quadro dell’unione bancaria, che comincia a muovere i primi passi nei paesi della zona euro, l’eventuale fallimento di una banca deve essere sopportato in primo luogo dagli azionisti per le azioni possedute, in secondo luogo dai detentori di obbligazioni subordinate, in terzo luogo dagli obbligazionisti ordinari ed infine dai depositanti e dai correntisti con saldi superiori a centomila euro.

L’entrata in vigore del principio predetto ha indotto il governo ad affrontare  quattro casi ritenuti più spinosi di banche in difficoltà che prima dell’inizio del corrente anno sono state commissariate e sostituite con altrettante nuove, senza aiuti di Stato,  ma con il sacrificio economico degli azionisti , degli obbligazionisti, dei depositanti e correntisti con importi superiori ai centomila euro.

La decisione del governo, giustificata dalla esigenza di salvare gli interessi dei depositanti ed i posti di lavoro ,come è facile capire, ha scatenato una serie di proteste in parte strumentalizzate dai partiti di opposizione. Il governo è stato accusato d’ingiustizia, le banche commissariate di reticenza ed in alcuni casi di malafede, gli organi di vigilanza di scarsa determinazione.

E’ partita da tutto questo, almeno in Italia, una ondata di diffidenza verso le banche, verso gli organi amministrativi, verso il personale bancario, verso la stessa Banca d’Italia anche perché nel frattempo, con l’entrata in vigore del “bail in”, è diventato preoccupante per il risparmiatore il problema delle “sofferenze” , ed in genere dei “crediti deteriorati”,  dei vari istituti di credito. Da qui una maggiore attenzione al grado di patrimonializzazione delle banche da parte degli operatori ed una conseguente  serie di vendite in Borsa, queste ultime  anche per l’effetto concomitante di alcuni problemi internazionali quali il rallentamento dell’economia cinese, l’abbassamento del prezzo del petrolio, il pericolo di una nuova recessione.

Per capire il disagio, l’allarme ed anche il panico che si sono diffusi basta considerare che mai nel passato, almeno nel dopoguerra, il risparmiatore italiano aveva vissuto vicende come quella sopra descritta. E ciò non perchè nel passato nessuna banca si sia trovata in difficoltà ma perchè allora il sistema bancario realizzava molti utili, aveva molte riserve, per cui in quelle evenienze era molto facile trovare una consorella disposta ad assorbirla senza alcun trauma per i clienti, senza alcuna sfiducia nelle banche come istituto e negli organi di vigilanza. L’operazione si realizzava con la massima discrezione spesso con la mediazione della Banca d’Italia.

Proprio per questo  nostro passato si poteva facilmente prevedere che l’entrata in vigore del “bail in” con il connesso commissariamento delle 4 banche di cui si è detto all’inizio avrebbe determinato il panico e l’allarme che poi si sono verificati e quindi sarebbe stata opportuna o la sua applicazione a partire dalle operazioni poste in essere dal primo gennaio 2016 o almeno una informazione diversa, più puntuale e più completa da parte delle banche. Ciò anche tenuto conto dello scarso grado di preparazione finanziaria che caratterizza il nostro paese.

 Il non averlo previsto costituisce una grave omissione che sta danneggiando la credibilità delle banche e sta costando cara ai risparmiatori, non solo a quelli delle banche commissariate, come dimostra anche l’andamento della nostra Borsa.

Sullo sfondo rimane  aperto il problema della governance delle banche, del giusto rapporto tra gli interessi degli istituti bancari e gli interessi dei risparmiatori, tra autonomia del management bancario e controllo della vigilanza, tra banche locali e grandi gruppi bancari, tra banche piccole e banche grandi, tra esigenze territoriali ed esigenze della Bce (nel quadro dell’unione bancaria),  problema al quale la nostra regione, che gode dell’autonomia nel campo del credito  e che in passato ha perso   quasi tutte le banche popolari e due grandi istituti di diritto pubblico, dovrebbe essere interessata se non altro per dire la sua sulla riforma in corso delle banche di credito cooperativo.                                                                                                                                                                                                                             

 di Diego Lana

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