I ragazzi che svegliano la Nigeria: ''La Storia condannerà i corrotti''
Buone notizie dall’Africa, buone notizie dalla Nigeria: finalmente! Nel gigante del continente, per popolazione, economia, creatività e per violenza, ladrocinio, ineguaglianze criminali, folle di giovani occupano da giorni le strade, manifestano, gridano la loro veemenza, paralizzano le città contro la mafia infame che li umilia da 60 anni. Provano la potenza demolitrice della Rivoluzione.
La polizia e l’esercito sparano, uccidono. C’è già un “martedì di sangue” che separa il prima e il dopo. Ci sono bandiere verdi e bianche macchiate di sangue dei martiri, luoghi divenuti santuario per la memoria collettiva: come il pedaggio di Lekki all’ingresso del quartiere degli affari di Lagos, la capitale economica, dove sono caduti i primi dimostranti. La rivolta ha una musica, strofe, canzoni quelle delle star dell’Afrobeat, i tenori del beat nigeriano, Davido, Tiwa Savage, MR Eazi. Fino a ieri inneggiavano alle godurie e alla spazzatura del capitalismo “bling bling’”. Ora hanno riscoperto la rabbia politica del mitico Fela Kuti che inventò questo genere musicale e si batteva per i diritti umani.
Notazione confortante: ad Abuja, la capitale politica, i più feudali e voraci nemici del popolo africano hanno paura, disperati e cattivi. Stanno chiusi nei palazzi e nelle ville rubate alla miseria della gente, invocano la calma, promettono, per contentarli. Ecco: i giovani entrano violentemente nella Storia e la loro irruzione può renderla universale, africana. Annunciano il gran colpo furioso. Rivoluzione o solo rivolta? Durerà? Una settimana, un mese, un anno? I grandi momenti sono fuori del tempo. Le situazioni in bilico fanno pensare sempre all’inizio e alla fine. Le strade, le bidonvilles, le università di tutto un continente ridotto a una perenne cintura di singhiozzi guardano a Lagos, a Benin city, ad Abuja, a Kano; si scopre e si parla con la voce dei giovani nigeriani. Quello che accade lì farà scuola. Gli anni rubati non si ricomprano, ma il futuro è loro.
I segni del coraggio
Il Capo, il culto della persona, la cultura occidentale o il ritorno sterile al remoto passato della cultura africana: la vera svolta africana è la Rivoluzione che metta contro il muro della Storia i ladri e gli assassini e i complici nella corruzione che stanno da questa parte del mondo, i ladri del petrolio. È presto, sì, ma ci sono segni di indomita gaiezza, di diffuso coraggio a Lagos: per esempio nessun assalto ai negozi o saccheggi dei super-mercati dove spesso si impaludano le rivolte africane. Sono alle prime prove i ragazzi di Lagos, ma imparano presto.
Non naufraghiamo nei numeri. La Nigeria è in due cifre: il sessanta per cento dei suoi duecento milioni di abitanti ha meno di 24 anni. La loro speranza di vita si ferma a 54. Hanno poco tempo dunque per cambiare il mondo. Di tutto possono morire: di stenti soprattutto, perché nel gigante del petrolio il reddito medio giornaliero non supera i quattro euro. Possono ucciderli un jihadista del califfato del nord o un gangster delle bande del Delta a sud; i viaggi dell’emigrazione, la prostituzione accudita da fattucchiere e stregoni. La Nigeria: dove le famiglie vanno a raccogliere le gocce di petrolio che scendono dalle giunture di vecchi oleodotti, come un tempo i poveri spigolavano i chicchi di grano dimenticati nei campi.
Tutto è iniziato in modo banale. Perché le rivoluzioni iniziano sempre in modo banale: un insulto, un sasso lanciato, un soldato nervoso. Erano, in fondo, solo proteste contro le violenze e la impunità della polizia, della famigerata brigata speciale dedita alla razzia, alle torture, alle esecuzioni.
Al pedaggio di Sekki ogni giorno si formano mostruose code di auto di coloro che lavorano nella città degli affari. Per la gente povera di Lagos è la capitale dei signori, il centro di uno Stato straniero e malefico. Infatti per entrare si deve pagare. La polizia attacca i manifestanti, spara. L’immagine degli agenti che uccidono un giovane a sangue freddo è il manifesto della rivolta e le cambia volto, ambizioni, parole d’ordine. Nessuno parlava di giustizia, una condizione troppo difficile da ottenere qui. Il massimo a cui si poteva aspirare era la limitazione dell’ingiustizia. Ora si chiedono le dimissioni del presidente, ridistribuzione della ricchezza petrolifera, giustizia: di qui non ce ne andremo! Tutta l’Africa potrebbe firmare le stesse necessità.
Ecco il nome che appare negli slogan: Muhammadu Buhari, il presidente. E la sintesi rivoluzionaria, perfetta: «Non vogliamo mai più dei Buhari».
Ci sono presidenti che danno nome a vie, piazze, ponti, codici, biblioteche. Il nigeriano Buhari ha dato nome a una carestia. La prima volta che l’ho sentito nominare ero in Niger. La gente diceva «el buhari» per indicare la fame e non capivo. Mi spiegarono che durante la sua dittatura durata venti mesi, nel 1983 scatenò una caccia xenofoba ai migranti nigerini che cercavano oltreconfine un lavoro. Il ritorno forzato dei migranti e la fine delle rimesse in denaro provocò nell’est del Niger una carestia di massa.
Buhari ha 77 anni, malvissuti e stratificati di golpe, malvagità, potere brutale e corrotto. Musulmano, prevedeva la sharia universale, anche nel sud animista e cristiano. Poi, astutamente, si è convertito alla libertà religiosa. Ha iniziato a studiare la tecnica del colpo di stato a 19 anni, nel 1966, quando appena entrato nell’esercito partecipò al primo, come gregario. Aveva talento, nell’83 il golpe lo fece lui, in persona. Breve, un altro generale lo depose, questa è la politica in Nigeria. Il bottino è grosso, bisogna arraffare in fretta e lasciare il posto anche agli altri. Bastarono per distribuire pene corporali agli impiegati pubblici che arrivavano in ritardo e per far rapire un ex ministro incautamente diventato oppositore e rifugiato a Londra. I doganieri inglesi lo scoprirono imballato dentro la valigia diplomatica in partenza per Lagos.
Un miliardo di mazzette
Con metodo moderno nel 2015 si è fatto eleggere presidente. Il golpe è anticaglia, le elezioni sono più comode. Il bilancio di 5 anni: la rivolta islamista dei Boko Haram controlla una parte del nord, la regione petrolifera del delta, assassinata dal disastro ambientale, è in mano alla mafia, le mazzette sono salite a un miliardo di euro, i ministri vendono le concessioni petrolifere alle compagnie straniere direttamente, come se zampillasse nel giardino di casa. E poi c’è il Covid e una recessione economica brutale.
Barricato nella capitale fantoccio costruita dai militari a celebrazione del proprio dispotismo, Buhari tace. La risposta ai ragazzi è quella di tutte le dittature all’agonia, dei Mubarak, dei Gheddafi: scatenare squadracce di teppisti per terrorizzare la protesa e infangarla. I manifestanti non si piegano, filmano, denunciano, incastrano gli assassini, preparano gli atti di accusa dei tribunali della Storia, li insultano, li vomitano a gola spiegata. (La Stampa)
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