I patti educativi necessari per sostenere la ripresa
Se chiusure e distanziamento hanno comportato disagi e difficoltà per tutti, la questione risulta essere ancora più complessa se osservata dal punto di vista dei minori. Diversi studi scientifici hanno messo in risalto, infatti, l’impatto che l’emergenza Covid ha avuto sulla socialità dei più giovani. La temporanea sospensione delle attività educative e scolastiche in presenza, la chiusura di spazi e luoghi di ritrovo, la necessità di mantenere il distanziamento per limitare i contagi- secondo quanto riportato nel report di Openpolis “Giovani e comunità”- hanno rappresentato per bambini e adolescenti un sacrificio sicuramente maggiore. Perché sono stati posti di fronte all’esigenza di ridurre esperienze e momenti di socialità che sono connaturati allo sviluppo del minore: dalla possibilità di incontrare i compagni a scuola, a quella di ritrovarsi nel pomeriggio con gli amici o di uscire liberamente. La necessità di mantenere il distanziamento ha ridotto, oltre agli spazi di socialità, anche quelli di partecipazione.
A farne le spese sono stati i luoghi di aggregazione, l’associazionismo, il volontariato e la partecipazione alla vita pubblica. La sospensione durante la pandemia dei Fridays for Future (mobilitazione di migliaia di giovani per sensibilizzare governi e opinioni pubbliche sulle conseguenze del cambiamento climatico) è solo uno dei tanti esempi di come l’emergenza abbia impattato su tali aspetti, che riguardano direttamente la formazione dei giovani come cittadini consapevoli e attivi. Seppure importanti, i cortei sono solo la punta dell’iceberg della partecipazione giovanile alla vita pubblica e alle questioni prioritarie per le nostre società. In base ai dati Istat più recenti, la classe di età tra i 18 e i 19 anni è quella che più spesso svolge attività gratuite in associazioni di volontariato. Il 12,2% è stato impegnato nel volontariato nell’anno precedente l’intervista, a fronte di una media del 9,2% dell’intera popolazione sopra i 14 anni. Ma è soprattutto nell’associazionismo per l’ambiente, i diritti civili e la pace che spicca un maggior impegno giovanile rispetto al resto della popolazione. In media, l’1,7% dei rispondenti totali ha dichiarato di essere attivo su questo fronte. Dato che sale al 2,6% nella fascia 20-24 anni, al 2,7% tra 14 e 17 anni e addirittura sopra il 4% tra i 18-19enni. Resta invece inferiore rispetto alla media la partecipazione giovanile in associazioni culturali e ricreative. Le generazioni più coinvolte sono infatti soprattutto quelle over 55: 10% tra i 60 e i 64 anni, 9,3% tra i 65-74enni, 9,1% tra i 55 e i 59. Solo i 18-19enni si avvicinano a queste quote (9%), tra i 20enni la percentuale scende al 7,8%, tra i 14 e i 17 al 6,9% (solo la fascia sopra i 75 mostra un dato inferiore: 5%).
Dai dati rilevati durante il lockdown dall’Eurobarometro, emerge chiaramente come al diminuire dell’età cresca la frustrazione per la situazione vissuta. Allo stesso tempo, ragazze e ragazzi appaiono, seppur di poco, mediamente più speranzosi della media verso il futuro. Un dato che ci ricorda, scrive Openpolis, come dalla crisi presente si possa uscire solo valorizzando il ruolo delle giovani generazioni. Ciò vale a maggior ragione per l’Italia, paese caratterizzato da una demografia declinante, con sempre meno nascite e un rapporto anziani/minori crescente. Nel 2021, secondo le stime presentate dal presidente dell’Istat nel corso di un’audizione parlamentare, il numero di nascite potrebbe scendere sotto quota 400mila. Una condizione che rende più fragile il paese nei suoi fondamentali e rischia di compromettere ogni prospettiva di ripartenza.
I giovani italiani, rispetto alla media dei loro coetanei del resto dell’Unione, sembrano riporre più speranza (si dichiara tale il 47,5% dei campione, a fronte del 42% rilevato tra i ragazzi Ue) e fiducia (25,8% contro 22%). Ma anche rabbia: 19,6% contro una media Ue del 14%. Sentimenti positivi e negativi che tuttavia sembrano denotare una capacità e una volontà di reazione, con un potenziale forse ancora inespresso. Una percezione della propria utilità e disponibilità nella situazione presente è infatti percepita dal 15% dei giovani Ue a fronte del 6,3% del campione italiano. Nel contesto delineato, valorizzare le energie più giovani presenti nel nostro paese non significa solo tutelare e garantire il percorso di crescita di bambini e ragazzi: è infatti anche l’unico presupposto dopo l’emergenza per porre le basi della ricostruzione.
Una riflessione un po’ più profonda mette in luce che quando i giovani sono membri attivi della comunità, a trarne dei benefici è l’intera società. Nei mesi scorsi, la mobilitazione dei più giovani sui temi ambientali ha segnalato l’esistenza di una nuova generazione pronta a muoversi per sensibilizzare governi e opinioni pubbliche. Oltre a dimostrare sensibilità e coinvolgimento verso questioni fondamentali, come gli effetti del cambiamento climatico, segnala una proattività delle nuove generazioni, una capacità di inserirsi nel dibattito pubblico e di imporre delle questioni all’attenzione della politica.
Nonostante la marginalità demografica- in gran parte dei paesi occidentali, e in Italia in particolare, i giovani sono numericamente sempre meno- questa generazione ha dimostrato una centralità culturale e politica considerevole. La sfida, dinanzi agli effetti della pandemia e al potenziale allentamento dei legami che può derivarne, è quella di garantire ai bambini e ai ragazzi tutti quegli strumenti essenziali per essere cittadini a pieno titolo. Il 37% dei giovani italiani- a cospetto di una media Ue che si attesta al 44%- pensa di avere voce in capitolo su decisioni importanti a livello locale. Ciò significa ovviamente investire sul contrasto della povertà educativa e sulle opportunità formative nonché sulla voglia di partecipazione dei più giovani e sul loro essere protagonisti della comunità in cui vivono. Sia promuovendo spazi di aggregazione e di partecipazione attiva alla vita pubblica, sia rendendo la scuola come il punto di riferimento cioè delle comunità educanti, un vero e proprio laboratorio di educazione alla cittadinanza. I patti educativi di comunità nascono proprio da questa necessità. Il Ministero dell’Istruzione– in occasione del piano scuola 2020/2021 – li ha proprio indicati come modello per garantire la ripresa delle attività scolastiche dopo il Covid. Nel contesto emergenziale, l’accordo con presidi educativi al di fuori della scuola (come biblioteche, musei e altri spazi) era infatti una modalità per consentire la didattica in presenza.
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