I motivi del "no" alla riforma costituzionale

2 novembre 2016
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La Cgil si sta impegnando in queste settimane a proporre iniziative di riflessione e di dibattito sulla riforma della Costituzione che va a referendum il prossimo 4 dicembre. Alla base della nostra scelta ci sono due convincimenti: il primo è che un argomento così rilevante necessiti del massimo della partecipazione e della consapevolezza. Il secondo, strettamente correlato al primo, è che riteniamo che non ci sia stata quella discussione di merito che la rilevanza del tema avrebbe richiesto.

Si è proceduto piuttosto per slogan proponendo una sorta di braccio di ferro incentrato sulla legittimazione o meno di questo governo, come se il referendum dovesse essere lo strumento di validazione dell’operato complessivo di Renzi. Personalmente penso che Renzi e il suo operato saranno giudicati nella sede più opportuna, attraverso l’esercizio democratico del voto. Anche il dibattito parlamentare è andato avanti senza quella necessaria serenità e ampiezza di visione richieste in un passaggio importantissimo come la modifica della carta costituzionale, che resta il documento fondamentale sul quale si fonda la convivenza civile e democratica nel nostro Paese e che per ciò abbisogna del massimo della condivisione.

Le regole comuni non possono essere la prerogativa di una parte che pensa di costruirle su misura per continuare a restare in sella. Io ritengo che oggi si cerchi di cambiare la Costituzione adducendo motivazioni che non stanno in piedi. Dicono che si perseguono la semplificazione, i risparmi e la governabilità, oltre che ovviamente quella parolina magica che viene usata sempre ma purtroppo senza contenuti validi che è il cambiamento. Qualcuno può obiettare qualcosa? No di certo ma dirò perché questi obiettivi o non sono centrati o non è necessario modificare la Costituzione per perseguirli.

 Comincio da uno dei temi di maggior impatto tra la gente: i risparmi sui costi di una politica ritenuta perlopiù becera, profittatrice, inutile. Io ritengo che i risparmi possano essere conseguiti attraverso leggi ordinarie. Con la riforma si cancellano indennità dei senatori per circa 40 milioni, ma basterebbe modificare con legge ordinaria i regolamenti, porre limiti a rimborsi e diarie, ridurre gli emolumenti per ottenere maggiori risparmi. Basterebbe con provvedimento ordinario ridurre del 50% Camera e Senato. Il fatto è che si cavalca opportunisticamente una deriva populista e di antipolitica che certo non giova al nostro Paese.

Questa riforma è inoltre un’occasione sprecata sia nell’ottica della semplificazione che del rafforzamento delle istituzioni pubbliche, che pur sono obiettivi auspicabili. Di fatto si rischia lo stravolgimento dell’assetto istituzionale e democratico del nostro paese. Il tentativo di superare il bicameralismo perfetto si traduce in un’eccessiva centralizzazione dei poteri al governo . Si sta cercando di attuare una modifica costituzionale che rafforza, in un sistema politico in parte maggioritario, i poteri del Governo e della maggioranza senza gli adeguati bilanciamenti, facendo venire dunque meno uno dei cardini della nostra Costituzione.

Con una legge elettorale come l’Italicum il rischio è una surrettizia modifica dell’ordinamento parlamentare. Si opera anche una centralizzazione delle competenze che contraddice le intenzioni dichiarate di decentramento, si dice di volere dare voce ai cittadini e invece si riducono gli spazi di rappresentanza. Il nuovo Senato, la nuova Camera delle regioni, non riuscirà a svolgere il ruolo istituzionale di coordinamento tra Regioni e Stato. Non ha adeguata facoltà legislativa nelle materie che hanno ricadute sui territorio e non garantisce adeguata rappresentanza e rappresentatività delle regioni. Le competenze legislative sono eccessivamente centralizzate senza lasciare adeguato spazio legislativo alle regioni che non potranno neanche opporsi a leggi che ricadono sulla vita delle comunità locali.

Con questa cosiddetta “Riforma Costituzionale” , inoltre, lo Stato si arroga il diritto di dare maggiore autonomia alle regioni ritenute virtuose. Per la Sicilia non ci sarebbe scampo. Oggi con lo Statuto, con la nostra Autonomia, degli oltre 15 miliardi di gettito fiscale prodotto ne rientrano meno della metà. Se oggi nonostante l’Autonomia e lo Statuto Speciale succede questo domani sarà peggio. Il nuovo sistema non garantirà neanche governi più stabili. Questi possono solo essere garantiti da un’ azione politica coerente tale da assicurare maggioranze solide. Si vorrebbe semplificare, invece si propone un procedimento legislativo più complesso di quello attuale, che darà luogo a incertezze e conflitti procedurali. All’esecutivo col voto “a data certa” per i provvedimenti proposti dal governo si dà la possibilità di dettare l’agenda Parlamentare.

Si aggiunge che non sarà più necessaria una larga maggioranza per eleggere il presidente della Repubblica e che con questa riforma e la legge elettorale voluta dallo stesso governo che la propone si attribuirebbe a un solo partito anche se poco rappresentativo dell’elettorato, un potere eccessivo sulle istituzioni del paese. Ritengo che dietro questo disegno ci sia solo la volontà di dimostrare all’Europa che in Italia si potrà fare tutto ciò che l’Europa chiede anche quando queste siano politiche economiche sbagliate che non favoriscono la ripresa. Io ritengo che la Costituzione piuttosto che cambiata vada applicata. Lo affermo pensando ad ambiti importantissimi come il “Lavoro”. “l’Uguaglianza dei Cittadini”, “lo sviluppo della cultura e della ricerca scientifica e tecnica”, la tutela della “Salute”, “l’Istruzione”.

Se leggiamo con attenzione la nostra bellissima Costituzione scopriamo tantissime distonie rispetto alla situazione attuale del Paese. Penso al lavoro bistrattato e maltrattato e con esso a chi lo compie attraverso il Jobs Act, penso alla scuola, alla Legge 107 e ai tantissimi giovani a cui non viene garantito il diritto allo studio. E che dire del diritto alla salute in un Paese dove 11 milioni di cittadini non hanno accesso alla sanità e rinunciano persino a curarsi. Siamo di fronte ad un governo “leggero” che in maniera pesante agisce le proprie scelte passando sulla testa finanche del Parlamento. Se questo avviene in Parlamento figuriamoci con le associazioni di rappresentanza e con la società civile. Mi chiedo se quello che si vuole semplificare sia la complessità sociale e politica del nostro paese.

Noi condividiamo la necessità di aggiornare la seconda parte della Costituzione per rafforzare le istituzioni pubbliche ma se questo deve tradursi in centralizzazione, nel rafforzamento dei poteri del governo e della maggioranza senza garantire l’adeguato equilibrio tra potere legislativo ed esecutivo, accompagnato dall’indebolimento degli organi di garanzia, nella riduzione degli spazi di rappresentanza, allora possiamo dire che l’Anpi non ha torto quando dice che la democrazia nel nostro paese è a rischio. Per queste ragioni, invitiamo a votare no a una riforma che è destinata a non centrare gli obiettivi che dichiara ma a creare ulteriore confusione incidendo negativamente sull’assetto istituzionale democratico del nostro Paese. Voglio in ultimo dire che anche la scusa della velocità del procedimento legislativo non regge: l’Italia produce più leggi della Germania, oltre il doppio della Francia e il triplo rispetto alla Spagna e al Regno Unito.

Il problema da noi non è la quantità delle leggi ma piuttosto la loro qualità. Da padre costituente, Giuseppe Di Vittorio, quando sul tema che gli venne affidato “Diritto di associazione e ordinamento sindacale” presentò la sua proposta partì da una piccola premessa .“Premetto- scrisse- che nel redigere la presente relazione mi sono attenuto ad un duplice criterio: non sconfinare nell’ambito ristretto e ben delimitato del tema che mi è stato assegnato; non esprimere opinioni strettamente personali, sui vari aspetti del tema stesso, ma bensì, per quanto è possibile, delle posizioni mediane, sulle cui basi possano eventualmente convergere le opposte posizioni di principio delle più larghe correnti di idee esistenti nel Paese e nell’Assemblea Costituente”. Questa frase progressista, carica di umanità, da sola è lo spaccato del Paese che c’era allora e del Paese che vogliamo quando difendiamo con il nostro NO la Costituzione republicana.

Michele Pagliaro
Segretario generale della Cgil Sicilia



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