I misteri buffi a Cinquestelle svelati dal primo grillino pentito
L'ultimo libro di Concetto Prestifilippo “Misteri buffi, confessioni del primo grillino pentito” raccoglie la testimonianza di Antonio Venturino, grillino della prima ora eletto all'Ars e subito dopo espulso dal movimento. Il libro, che svela i meccanismi più reconditi e antidemocratci del movimento pentastellato, è stato presentato a Palermo alla Magneti Cowork di via Emerico Amari 148. Ne anticipiamo l'introduzione di Concetto Prestifilippo.
Siamo nati entrambi a Piazza Armerina. Non ci siamo
mai frequentati. Esotiche eccentricità siciliane. L’incontro con l’onorevole
Venturino è stato casuale, ma l’imprevedibilità è sempre foriera di sorprese.
Estate 2012. Guadagno con inadatta frenesia metropolitana il corso principale
del paese. Antonio Venturino, placido e indolente, troneggia nella piazza. Con
fare cortese, mi annuncia la sua candidatura. Proterva la risposta: la politica
non può prescindere dai partiti. Venturino mi congeda con uno sguardo sdegnato.
Il resto è cronaca. L’elezione al Parlamento regionale siciliano, la carica di
vicepresidente vicario dell’Ars, l’espulsione dal Movimento Cinque Stelle.
Estate 2016. Antonio Venturino si muove con un’insolita frenesia metropolitana.
Io, placido e indolente, troneggio nella piazza del paese. Ci rivediamo, dopo
quattro anni, con frenesie e indolenze ribaltate. Al suo passaggio, una bordata
invereconda di insulti. Per default mi schiero sempre con gli eccentrici. Lo
invito al tavolo del caffè “Plutia”, il più centrale. Come in un film di Germi,
tutti dovevano vederci. Il tono della conversazione, come questa nota, era
quello di un serio divertissement.
Bizzarria della sorte, dopo quattro anni, Antonio
Venturino era diventato un fermo assertore della centralità dei partiti.
Animato da un irrefrenabile desiderio: denunciare il pericolo che si annida
nell’antipolitica imperante. Era dunque venuto il momento di svelare, da dietro
le quinte, il fenomeno del Movimento di Beppe Grillo. Il racconto che viene
fuori da questa lunga conversazione è quello di un’insospettabile bugia
mediatica. Una sorta di scenografia cinematografica buona per i campi lunghi.
La mancanza assoluta di una struttura organizzativa. La sconcertante
rivelazione di un finto efficientismo digitale. L’inedita mancanza di
interlocuzione con i vertici del movimento.
Il leader Beppe Grillo che comunica solo con una stretta cerchia di
fedelissimi. La tanto agognata democrazia digitale si rivela, nelle
dichiarazioni di Venturino, una sorta di organizzazione padronale. Altrettanto
surreale appare il racconto del palazzo siciliano del potere. La carrellata dei
personaggi evocati è di primo piano. Rivelazioni che riservano sorprendenti e
clamorose verità. La mancata rivoluzione del governatore Rosario Crocetta.
L’onnipresente senatore Beppe Lumia. Il potere dei Grand commis della
burocrazia regionale. E poi, consoli americani, consiglieri del Pentagono, star
televisive, fascismi digitali, inquietanti avvertimenti. Un dettato esplicito
che consegna l’immagine di un Paese telestupefatto. L’Italia del movimentismo
gridato è la nazione dei proclami della Lega, i riti delle ampolle, Pontida. La
Penisola delle dirette dal tribunale di Milano, i giudici in copertina, il
primo piano dell’ex potente con la bava alla bocca. Oggi è la patria della
rabbia. Il Bel Paese di Beppe Grillo che guadagna a nuoto lo stretto di
Messina. Il titolo “Misteri Buffi” è un ovvio rimando a Dario Fo. Venturino,
nella prima parte della sua vita, è stato attore di teatro. Per anni, ha
portato in scena lo spettacolo più noto dell’autore milanese. La recente
scomparsa del grande attore lascia insoluto un dubbio. Venturino si stupisce
della scelta di campo operata dal suo maestro. Si chiede come è stato possibile
che il Premio Nobel non abbia temuto la pericolosa deriva dell’antipolitica
grillina. Come abbia potuto avvalorare quello che lui definisce una sorta di
inconsapevole fascismo digitale, quello delle manganellate da social network.
Come non abbia temuto la violenza del linguaggio volgare e rancoroso, rumore di
fondo del Movimento. Il dato incontrovertibile è che il movimento di Beppe
Grillo incarna l’inappagato, storico, irrisolto malcontento italico. Da nord a
sud. Alla prova dei fatti però, si rivela inadeguato e antidemocratico. Non c’è
spazio per chi dissente dal capo. I tanti Pizzarotti e Venturino sono subito
bollati come traditori, pericolosi controrivoluzionari, rinnegati alla Kautsky.
Doveroso il ringraziamento a Emanuele Pecheux,
intellettuale raffinato e appassionato. C’è sempre un piemontese nelle cose di
Sicilia. Come in una pagina di abusata sceneggiatura, seduto allo stesso tavolo
del nostro caffè estivo, partecipava alla conversazione con sagacia sabauda e
insospettata indolenza mediterranea. Volutamente, il libro rivela un tono lieve
e un registro surreale. Come la storia che narra. Il luogo del riscontro è la Sicilia,
ancora una volta metafora dell’Italia. A parlare è un pentito. Non svela però
strutture inedite e inviolate. Rivela invece una complessità inesistente. È un
racconto in prima persona. Una lunga intervista che non può essere confinata
tra le pagine di un giornale. Un colloquio senza le classiche domanda e
risposta. Il ritmo è sincopato, da giornale. Come ogni monologo interiore,
presenta espressioni tipiche del linguaggio parlato e una scansione disordinata
degli accadimenti.
Il mio interlocutore è un politico, un ex attore ed
è siciliano. Ovvio quindi che nel suo racconto si possa annidare l’artificio
politico, la finzione teatrale e l’opacità siciliana. Il sospetto iniziale, per
il lettore, è che le dichiarazioni di Venturino siano frutto di revanchismo. Lo
sfogo di chi è stato bollato di revisionismo. In realtà, l’intento è stato
quello di indagare la realtà offline dei Cinque stelle. Fotografare, come
bracconieri, il dietro le quinte della scenografia digitale del Movimento.
Venturino consegna il ritratto di un’organizzazione vittima di una sorta di
nevrosi paralizzante. Un movimento regolato da un antistorico Collettivismo
oligarchico. Il ritratto di Antonio Venturino, alla fine di questa lunga
conversazione, diverge da quello della narrazione cronachistica. Non è il
guitto di teatro che si ritrova, per caso, nel luogo del potere. È un cronista
che si aggira dietro le quinte del teatro della politica con curiosità. Questo
libretto è un prontuario senza pretese. È dedicato in particolar modo ai giovani
lettori. Quelli infervorati, pochi. Soprattutto ai disillusi, tanti. Forse,
gioverà ricordare loro l’insegnamento di Pietro Nenni. Il vecchio socialista
esortava a dedicarsi alla politica con adeguato distacco dai sentimenti ma,
soprattutto, senza il pericoloso ricorso ai risentimenti. La conclusione è che
il potere è sempre altrove. Come ammoniva, con lucida disperazione, Leonardo
Sciascia. Così come emerge un tratto caratteristico tutto italiano, quello del
continuo ricorso ai piccoli ducetti. A quaranta anni dal monito inascoltato di
Pasolini, l’Italia è ancora un Paese senza memoria che continua a calpestare le
parole del poeta, come ha fatto con il suo corpo:
«Noi siamo un paese senza memoria. Il che equivale a
dire senza storia. L’Italia rimuove il suo passato prossimo, lo perde
nell’oblio dell’etere televisivo, ne tiene solo i ricordi, i frammenti che
potrebbero farle comodo per le sue contorsioni, per le sue conversioni. Ma
l’Italia è un paese circolare, gattopardesco, in cui tutto cambia per restare
com’è. In cui tutto scorre per non passare davvero. Se l’Italia avesse cura
della sua storia, della sua memoria, si accorgerebbe che i regimi non nascono
dal nulla, sono il portato di veleni antichi, di metastasi invincibili,
imparerebbe che questo Paese è speciale nel vivere alla grande, ma con le pezze
al culo, che i suoi vizi sono ciclici, si ripetono incarnati da uomini diversi
con lo stesso cinismo, la medesima indifferenza per l’etica, con l’identica
allergia alla coerenza, a una tensione morale».
(Pasolini, “Scritti Corsari”, 1975)
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