I letali rischi dei carcerati al tempo del Covid
Le precarie condizioni igieniche e la scarsa areazione dei luoghi chiusi, da una parte. Il sovraffollamento e il difficile accesso alle cure mediche, dall’altra. Così nelle carceri dell’era Covid il rispetto dei protocolli sanitari, in primis il distanziamento sociale, è stato messo a dura prova, assicurando al virus una corsia preferenziale di diffusione tra i carcerati. Sono 21 i detenuti che hanno perso la vita a causa del virus da novembre del 2020 a oggi in Italia.
E la stessa pandemia, costringendo all’isolamento quale strumento per arginarla, ha finito per rendere ancora più isolato chi isolato lo era già dentro una cella. I detenuti sono tra i soggetti che, come le altre categorie più deboli, hanno pagato più degli altri gli effetti della pandemia, scontando un prezzo ancora più alto di quei problemi strutturali del sistema penitenziario che affliggono molte delle società e che la pandemia ha solo acuito. Tra questi vi è il sovraffollamento carcerario che rappresenta un problema comune per molti stati UE. Ben 10 paesi europei hanno un tasso di occupazione carceraria oltre il 100%, ma è l’Italia a registrare il dato peggiore: 120 detenuti ogni 100 posti disponibili. Peggio di noi solo Cipro (135 detenuti ogni 100 posti disponibili). La Germania, al contrario, ha la migliore performance (69 su 100).
Sebbene i dati del Consiglio d’Europa, analizzati da Openpolis e da altre testate giornalistiche europee, facciano riferimento a periodi diversi- alcuni sono del gennaio 2020, altri del dicembre e marzo 2019 - la causa di questa emergenza è da ricercare, secondo il Consiglio d’Europa, nella progressiva estensione dei reati considerati punibili con la detenzione a cui non ha fatto seguito una adeguata riorganizzazione del sistema carcerario.
In Italia, la popolazione carceraria è cresciuta progressivamente dagli anni ’90 ad oggi, fatta eccezione di alcune specifiche fasi. Il riferimento è al 2006, quando si è registrato un forte calo per via dell’indulto approvato con la legge 241/2006, e agli anni 2010 e 2015. Secondo gli ultimi dati a disposizione, risalenti a prima dello scoppio della pandemia a inizio 2020, nelle carceri italiane erano recluse più di 62mila persone, con gravi problemi di sovraffollamento malgrado l’adeguamento della capienza regolamentare delle strutture penitenziarie. L’eccessiva popolazione carceraria rispetto alla capienza delle strutture presenta, tuttavia, delle differenze regionali lungo lo stivale. Secondo i dati aggiornati al 30 settembre 2021, il Friuli-Venezia Giulia è la regione con le carceri più sovraffollate, con un tasso di occupazione pari al 139,5%. Seguono Puglia (127,4%) e Lombardia (126,4%). Quest’ultima è anche la regione in cui, in valori assoluti, è recluso il numero più elevato di persone (7.763) ed è anche quella che dispone della maggiore capienza (6.139 posti), essendo anche la regione più popolosa d'Italia. Solo in 7 regioni del nostro Paese (circa 1 su 3) le carceri non sono sovraffollate. Tra queste, la Sardegna presenta i dati migliori in valori assoluti: nel 2021 i suoi istituti penitenziari disponevano di 559 posti non occupati. In termini di tasso di occupazione, invece, l’isola è preceduta soltanto dalla Valle d'Aosta (75,5%). In riferimento al numero di prigioni, è la Sicilia la regione ad averne di più di tutte (23), seguita dalla Lombardia.
Sin dallo scoppio della pandemia i governi hanno messo in atto una serie di misure volte a evitare la circolazione del virus negli istituti. In Italia sono stati in gran parte sospesi i colloqui con le famiglie e gli ingressi esterni di persone con cui i detenuti svolgevano attività lavorative, educative, formative e ricreative. Con la proclamazione dello stato di emergenza, questi provvedimenti sono stati ulteriormente inaspriti, sebbene si sia cercato di sopperire a queste limitazioni introducendo altre misure come il permesso per i detenuti di ricorrere maggiormente a chiamate e videochiamate, per bilanciare la cessazione dei colloqui. Nonostante gli accorgimenti adottati per arrestare la diffusione del virus dentro le carceri, il tasso di positività tra i detenuti si è attestato su cifre superiori rispetto a quelle riferite a tutta la popolazione.
Secondo le analisi condotte da Antigone, ad aprile 2020 erano positivi 18,7 detenuti ogni 100mila, contro i 16,8 di tutta la popolazione. Analogamente, a dicembre dello stesso anno, risultavano contagiati dal virus 179,3 carcerati ogni 100mila contro 100,5 tra la popolazione totale, e a febbraio 2021 91,1 contro 68,3. In altri paesi Ue, nello specifico in 12, il tasso di positività al Covid è stato inferiore tra i carcerati rispetto alla popolazione totale (dati Edjnet). Tra questi spicca il Lussemburgo, dove il tasso di positività tra la popolazione totale era maggiore di quasi 6 punti percentuali rispetto alla popolazione detenuta (8,74% contro 3%). In riferimento alle misure restrittive nello scenario europeo, è stata la Spagna (6) ad imporre il maggior numero di provvedimenti di questo tipo, seguita da Portogallo e Croazia (4). Il Portogallo è stato anche lo stato UE ad aver implementato il numero più elevato di misure deflattive (5), seguito da Cipro e Francia (3). Mentre l'unico paese UE che ha introdotto più di una misura compensatoria per i carcerati è stato la Bulgaria (2).
Ultimi articoli
- Lotte e sconfitte
nelle campagne siciliane
al tempo di Ovazza / 1 - La legge bavaglio imbriglia l'informazione
- Perché l’Occidente si autorinnega
- Ovazza, storia di un tecnico
prestato alla politica - Si smantella l’antimafia
e si indebolisce lo Stato - C’era una volta l’alleanza progressista
- Vito Giacalone, un secolo
di lotte sociali e politiche - Violenza sulle donne, come fermare
l’ondata di sangue - Ovazza, l'ingegnere ebreo comunista
padre della riforma agraria - Uno studio sui movimenti
studenteschi e le università