I demoni che alimentano la letteratura scrivono pure buoni libri
Nell’immaginario
popolare, i demoni sono da evitare, non sia mai vogliano precipitarci
all’inferno.
In
letteratura, esattamente l’opposto, i patimenti terreni non hanno paragone,
essendo più crudeli, con gli improbabili castighi dell’altrove celeste, tant’è
che Dostoevskij scrisse I demoni, attribuendo
agli uomini più attinenza con gli inferi di quanto ne avesse l’esercito
diabolico di Lucifero.
Poco
male, se nelle opere di Michele Mari e Walter Siti, magia, miti, leggende e
finzioni non fossero impastati, in
maniera inscindibile, con la materia del narrare.
A
rendere il groviglio inestricabile, nel dibattito, tenutosi nella sala rossa
del Salone Internazionale del Libro, contribuisce l’esternazione proposta agli
autori dal curatore, come a dire, confessate i vostri
peccati e, poi, deciderete voi stessi la penitenza da scontare,
volendo continuare nella metafora religiosa!
In
questo pericoloso esercizio si è
cimentato Carlo Mazza Galanti, giornalista e traduttore di romanzi dal
francese, coinvolgendo due autori contemporanei, tra loro diversi, se non
opposti nell’approccio della realtà.
Scuola di demoni. Conversazioni con Michele Mari e Walter Siti, edizioni
Minimum Fax, è un libro da leggere in chiave interpretativa del ruolo della
letteratura nel contesto attuale.
Ad
aiutare la comprensione, l’antitetica concezione della realtà dei due autori,
cioè la materia introiettata dallo scrittore, la quale rielaborata diventa
narrazione e, talvolta narrativa nei migliori testi, assurgendo alla dignità
del genere.
Per
sintetizzare sul nascere il dibattito, giova riportare l’affermazione di Mari,
secondo la quale lo strato grezzo su cui lavorare è da individuare nei
classici, mentre per Siti, dal letame nascono i
fiori, per esprimersi con un verso di Fabrizio De André.
Pur
dinnanzi a romanzieri affermati, sicuramente in condizione di auscultarsi, non
sempre il processo creativo è palese agli stessi autori. Nei meccanismi
mentali, nelle percezioni si nascondono i germi dell’arte, di sovente di
difficile scandaglio.
Ciò
detto, il fastidio provato da Mari nel misurarsi con la realtà, seppure non
rientrante a tutto tondo in una patologia, ci si avvicina per ammissione stessa
dello scrittore.
Alla
produzione delle opere d’arte hanno contribuito più soggetti disturbati di
quanto si possa pensare. E l’elenco è talmente lungo da sfiorare la
completezza. Si pensi a Van Gogh, a Caravaggio, a Baudelaire e via di questo
passo.
Scrivere pericolosamente è un saggio di James Joyce, nel
quale l’uso dell’avverbio è legato al concetto di ambiguità, in quanto terreno
fertile della letteratura.
Pertanto,
più lo scrittore è un delinquente, più si avvicina all’ossessione, più è
peccatore, nel caso di concezione religiosa, meglio è!
Spiegare
un simile concetto a una platea di lettori non è semplice e, volendo evitare
l’istigazione a delinquere, giova adottare un linguaggio prudente se non
paludato!
Nel
contesto del Salone, il peso del comitato dei lettori è codificato nello
statuto e, in sostanza, allorché si vogliano introdurre cambiamenti, dal piano
organizzativo a quello teorico, ci si scontra con due ostacoli, la
democratizzazione estremizzata, per cui, chiunque, pur incompetente ha diritto
di esprimersi al riguardo di materie, nella fattispecie, la letteratura. Nel
secondo dei casi, si va incontro alla trappola del potere, consistente negli
equilibri costruiti su autori già affermati o, in alternativa, su stereotipi di
esordienti, giovanissimi, meglio se femmine, o bisex, omosex, quanto non reduci
dalle patrie galere!
Qualora
non fosse chiara, la declinazione di scuola dei demoni rischia
di trovare i propri interpreti nei soggetti appena citati, idonei per lo status e inidonei a scrivere, in una
china segnata da mancanza di talenti, uomini e donne, al netto della loro
storia di genere, non riescono a dare voce ai demoni, agli abissi, che dentro
ciascuno urgono per uscire allo scoperto.
Ecco,
spiegato perché scrivere è considerata una maledizione, nel caso di Michele
Mari, il cui travaglio del parto è talmente doloroso da consigliare il cesareo,
mentre per citare Siti, la gestazione dello scritto avviene in modi e forme di
progressiva uscita.
Nei
titoli di coda, pur essendo il cuore della scrittura, la forma modifica il
contenuto, per meglio dire lo indirizza in un luogo o in un altro, gli affibbia
un peculiare significato, insomma la letteratura, a sentire Siti, è in piena
emergenza, non per la crisi del romanzo, bensì per ripensare la sua funzione
sociale. Oppure, a dar retta a Mari, ha lo stesso ruolo del secolo scorso,
quando Céline, pur essendo l’uomo che è stato, ha scritto pagine di bellezza
unica, immortali, superando quel brav’uomo di André Malraux!
Adesso,
in un momento in cui il romanzo marca la sua crisi per eccesso di produzione,
circolano in Italia oltre diecimila manoscritti l’anno, cosa si potrà inventare
per cercare il meglio?
Nell’ironia
di Michele Mari si può cogliere il suo disimpegno al
riguardo. E se, invece, la battuta, il nuovo Dante Alighieri uscirà da
Facebook, fosse un avvertimento anche in questo caso, da intendersi come il
talento, l’applicazione, la vocazione e le letture che hanno formato le passate
generazioni di scrittori modelleranno quelle presenti e quelle future? oppure
dobbiamo rassegnarci al peggio? Anche la morte del romanzo, a maggior ragione
della letteratura, è dietro l’angolo?
Dal
Salone Internazionale del Libro di Torino
Angelo Mattone
Ultimi articoli
- La nuova Cortina
di ferro grande campo
di battaglia - La riforma agraria che mancò gli obiettivi / 2
- Mattarella, leggi
di svolta dall'incontro
con il Pci - Mattarella fermato
per le aperture al Pci - La legalità vero antidoto per la cultura mafiosa
- Natale, un po' di rabbia
e tanta speranza
nella cesta degli auguri - Lotte e sconfitte
nelle campagne siciliane
al tempo di Ovazza / 1 - La legge bavaglio imbriglia l'informazione
- Perché l’Occidente si autorinnega
- Ovazza, storia di un tecnico
prestato alla politica