I danni del caso Saguto alla Giustizia
Non bisognerebbe mai gioire quando i
tribunali emettono un verdetto di colpevolezza. E non (solo) per
senso di umanità nei confronti del condannato che, al di là delle
sue responsabilità penali viene privato della libertà – il più
grande bene che l’uomo possiede – ma perché se c’è stata una
condanna vuol dire che un collegio di giudici ha riconosciuto
l’esistenza di un crimine secondo quella che chiamiamo la <verità
giudiziaria>.
Silvana Saguto – magistrato radiato
dall’ordine giudiziario – è stata condannata (a otto anni, dieci
mesi e quindici giorni di reclusione); insieme a lei è stato
condannato Gaetano Cappellano Seminara (a sette anni e sette mesi di
reclusione) e tanti altri soggetti sodali della Saguto facenti parte
di quello che è stato definito il <cerchio magico>. Il marito
Caramma Emanuele, il prefetto Francesca Cannizzo, il prof. Provenzano
Carmelo … e tanti altri.
Le vicende ruotano intorno ad
operazioni compiute da Saguto e Cappellano – e non solo -, che per
accrescere il proprio potere economico, abusavano della propria
autorità derivante dal ruolo che ricoprivano, violando, in
concorso, i doveri inerenti all’esercizio della funzione pubblica.
Cosicché, venne a crearsi una sorta di monopolio in capo
all’avvocato Cappellano al quale il Giudice della prevenzione
Saguto affidava i più importanti incarichi di amministrazione
giudiziaria sostenendo le alte qualità professionali di tale
avvocato del quale non si risparmiava di dirne pubblicamente
mirabilie.
Le storie da narrare che ruotano
intorno al processo, sono tantissime e sono state ripercorse
analiticamente nel corso del lungo processo del quale aspetteremo le
motivazioni entro i prossimi novanta giorni.
Le conseguenze che scaturiscono dal
giudizio sono tantissime e gli stessi imputati, per primi, ne pagano
un alto prezzo: carriere stroncate, famiglie distrutte, confische per
equivalente di somme ingenti, probabilmente anche detenzione
carceraria nel caso che la Suprema Corte dovesse confermare il
verdetto della Corte di Appello. Insomma, una sentenza molto dura.
Ma c’è dell’altro che non può
essere sottovalutato: è il segno indelebile del mal riuscito
tentativo di distruzione rovinosa della sezione misure di prevenzione
del tribunale di Palermo, tenuto conto che tale ente costituiva
incolpevolmente il vero motore operativo, quello che consentiva al
<cerchio magico> di accrescere il proprio potere utilizzando la
gestione delle aziende in sequestro.
Gli imputati si sono macchiati di colpe
gravissime delle quali dovranno rispondere alla giustizia; ma
soprattutto si sono macchiati di una responsabilità morale della
quale dovranno rendere conto alla collettività.
C’è una questione che rimane come
una ferita perennemente aperta: è il danno che il <caso Saguto>
ha procurato al <sistema giustizia>; è quella macchia che
rimane indelebile nella giustizia italiana che riguarda la
perversione con la quale un giudice – che agli occhi della gente si
presentava come assoluto garante della legalità e leale al proprio
giuramento – gestiva il proprio mandato e lo faceva avendo formato
con i suoi sodali quel famigerato <cerchio magico> di cui tanto
si è detto.
Ma a noi continuiamo ad essere
fiduciosi ed a credere nella giustizia e nella magistratura; cosicché
questo caso non può che essere considerato come una mela marcia in
un paniere di mele buone.
Quando è stata aperta l’inchiesta,
anni addietro, lo sconforto della comunità civile fu pari alla
rabbia. Palermo registrava una ferita che sembrava insanabile. I
cittadini si sentivano defraudati di quello strumento intelligente
(il sequestro e la confisca dei beni mafiosi) ideato da Pio La Torre
che finalmente poteva ridare ai cittadini, speranze concrete nella
lotta alla criminalità organizzata. La giustizia però ha fatto il
suo corso, il processo di appello è stato celebrato ed ha confermato
quasi del tutto le decisioni del tribunale. L’impianto accusatorio,
come è stata sempre nostra convinzione, ha retto perfettamente.
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