I bambini digitali: smartphonizzati, superconnessi e occhialuti

Società | 12 agosto 2019
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Pochi giorni fa, il 7 agosto, l’Istituto Superiore di Sanità ha sentenziato che l’uso prolungato del cellulare per oltre dieci anni non incrementa il rischio di tumori, sia maligni che benigni (meningiomi, neuromi acustici, tumori dell’ipofisi o delle ghiandole salivari). I dati attuali, tuttavia, non consentono valutazioni accurate del rischio di tumori intracranici a più lenta crescita. E mancano dati sugli effetti a lungo termine dell’utilizzo del cellulare cominciato durante l’infanzia. Sono queste, in sintesi, le conclusioni del Rapporto Istisan “Esposizione a radiofrequenze e tumori: sintesi delle evidenze scientifiche”.

Risale invece a qualche mese fa un inquietante studio su come le nuove tecnologie muteranno il corpo dell’essere umano nel 2100 ossia tra ottanta anni: schiena curva, mani ad artiglio e una seconda serie di palpebre. In futuro l’essere umano potrebbe essere parecchio diverso da come è ora. Sulla base di alcuni studi, “Maple Holistic” - azienda multinazionale produttrice di cosmetici, prodotti per bagno e corpo, ingredienti chimici e naturali, oli essenziali con sede nel New Jersey (Usa) – ha ideato dei modelli che rappresentano una possibile evoluzione fisica degli uomini provocata dall’utilizzo prolungato dei dispositivi tecnologici.


Tanti piccoli occhialuti

Ci si avventura in proiezioni future e ci si focalizza sui dati disponibili per stabilire come e quanto tastiera e schermo del computer e, soprattutto, tastiera e display del telefonino e dei suoi derivati influiscano sul nostro fisico e sul nostro cervello. Paradossalmente poco si riflette e poco si lancia l’allarme su una delle più evidenti conseguenze dell’uso massivo del cellulare: l’impressionante aumento del numero di bambini e bambine, ragazzini e ragazzine con occhiali da vista. Fenomeno a cui l’uso per ore ed ore nella giornata del cellulare è tutt’altro che estraneo.

Se ai nostri lontani tempi in una classe della media inferiore coloro che dovevamo ricorrere agli occhiali eravamo un paio di alunni, nello stesso contesto locale per i nostri nipoti si giunge a classi con il 50 per cento di alunni occhialuti. Certo, accanto all’inseparabile cellulare su cui si digita ossessivamente e che si guarda in continuazione contribuiscono alla diffusione delle lenti playstation, televisione, controlli della vista sempre più accurati e precoci rispetto a trenta o cinquanta anni fa. Ma il dato di fatto è incontrovertibile: i disturbi della vista nei bambini sono in galoppante ascesa negli ultimi anni.

Capita sempre più spesso di vedere bambini, talvolta anche molto piccoli, che portano gli occhiali. A cosa si deve il fenomeno in così forte aumento? La risposta va cercata nello stile di vita dei bambini di oggi, caratterizzato da abitudini diverse a quelle di una volta. A cominciare dall’utilizzo quotidiano di dispositivi elettronici come smartphone e tablet, i cui display hanno forti ripercussioni sulla vista, e dal poco tempo trascorso all’aria aperta. Una ricerca condotta qualche anno fa dall’organizzazione non governativa (Ong) australiana “Brien Holden Vision Institute” e pubblicata sulla rivista scientifica “Ophthalmology” ha infatti dimostrato che i numeri relativi alla miopia su scala mondiale non solo sono molto alti ma sono destinati ad aumentare.


I dati nel mondo e in Italia

Nell’arco di dieci anni il numero di pazienti che non vede bene da lontano potrebbe sfiorare i 2,5 miliardi di individui. E nel 2050 potrebbe essere affetta da miopia metà della popolazione mondiale (circa 5 miliardi di persone). Tra tutti i difetti visivi la miopia è quella che ha subito l’incremento più sostenuto negli ultimi decenni. Tra i paesi più colpiti Cina e Stati Uniti. Soffre di miopia l’80 per cento degli studenti delle scuole superiori cinesi. Percentuali vicine sono state registrate a Singapore e Taiwan. Negli Stati Uniti è miope il 35 per cento dei giovani adulti, un’incidenza risalita del 70 per cento negli ultimi 30 anni. In Italia va un po’ meglio ma le percentuali restano alte: è affetto da miopia il 30 per cento della popolazione (particolarmente colpita la fascia d’età 25 – 29 anni).

Se alla miopia sommiamo altre patologie che interessano l’occhio si giunge al risultato – dati peraltro non recenti, del 2008, suscettibili dopo oltre dieci anni solo di incremento – che oltre il 41 per cento della popolazione del nostro paese fa uso di lenti. Gli occhiali e le lenti a contatto secondo l’Istat sono molto diffusi, tanto che questa percentuale se applicata alla popolazione odierna corrisponde a 24,5 milioni di persone alle prese con miopia, astigmatismo, presbiopia, ipermetropia. Per l’impiego delle lenti si va dal 10,7 per cento per i bambini fino ai 14 anni, al 26,4 per cento per i giovani dai 15 ai 19 anni, al 30 per cento nella fascia d’età tra 40 e 44 anni. Tra i 45 e i 49 anni una persona su due ricorre alle lenti. Dopo i 50 anni l’uso delle lenti riguarda il 60 per cento della popolazione, tra i 75 e i 79 anni il 67,6 per cento.

La regione dove le lenti sono più diffuse è il Friuli Venezia Giulia (51,6 per cento) seguita da Liguria (49,5 per cento) e da Lombardia e Valle d’Aosta (48,1). Coloro che ci vedono meglio sono i campani (27 per cento). In Sicilia l’uso di lenti riguarda il 34,8 per cento della popolazione.


Bambini e smartphone

Ma torniamo a soffermarci sui più piccoli, ai bambini delle elementari e talvolta persino della materna ed ai ragazzini (non chiamateli bambini per favore…) delle medie inferiori. Osservavamo sopra che sempre più bambini inforcano occhiali da vista. E che una delle conseguenze della vita digitale moderna è che i bambini vivono meno all’aria aperta e sempre più sono impegnati in attività a distanza ravvicinata. Ecco perché cresce in modo così evidente la percentuale di bambini che portano occhiali: la loro vista si adegua ad una visione da vicino e necessita pertanto di occhiali quando svolgono attività da lontano come guardare la lavagna dal banco o guardare fuori dal finestrino dell’auto. Conseguenza: un bambino su sei presenta difetti visivi che richiedono una correzione con occhiali da vista. Per intervenire in maniera efficace ogni azione correttiva deve essere adottata entro i 6-7 anni d’età. Oltre questa età l’intervento perde molta efficacia soprattutto nel caso di occhio pigro. Oggi si effettuano controlli precoci già alla scuola materna e pertanto è possibile scoprire eventuali problemi alla vista a tre anni, l’età giusta per eseguire il primo controllo oculistico.

Ormai oculisti e specialisti della materia sono concordi sulle cause: oltre alle già note cause genetiche – sono 25 i geni correlati allo sviluppo della miopia – la diffusione del disturbo è legata a fattori ambientali e abitudini in ascesa come il maggiore livello di istruzione, la diffusione di dispositivi che obbligano a guardare da vicino schermi e display piccoli, di poche decine di centimetri quadrati, e in condizioni di scarsa luminosità, l’urbanizzazione, il cambiamento delle abitudini alimentari, il sempre minore tempo trascorso all’aperto. In particolare il gioco all’aria aperta allenerebbe la vista dei bambini anche a contesti diversi ed ai grandi spazi.

Secondo una ipotesi avanzata da ricercatori cinesi la luce solare colpirebbe negli occhi un neurotrasmettitore (dopamina) che rilascia sostanze che prevengono l’ ”allungamento” dell’occhio che è alla base della miopia. Alcune scuole cinesi stanno sperimentando, a questo proposito, pareti semitrasparenti che possano fare entrare la luce. Anche se non esistono, al momento, terapie universalmente condivise per prevenire la dilagante miopia, conoscere i dati sulla sua diffusione può servire ad arginare le più temute derive come il distacco della retina, il glaucoma, la degenerazione maculare.


Cartoni animati alla tv, videogiochi e giochini al telefonino

Guardare la televisione fa male agli occhi? Peggio, molto peggio stare chini su smartphone e tablet. Gli oculisti italiani sono convinti che nel 2050 il 75-80 per cento degli abitanti del Belpaese avrà bisogno degli occhiali per vedere da lontano. Tutta colpa di una “evoluzione della specie” che ci porta a focalizzare lo sguardo a un palmo dal naso. Anche con televisione e videogiochi non bisogna esagerare ma se non altro si guardano da almeno 1,5 – 2 metri, distanza più fisiologica per l’occhio. Per di più lo sforzo per guardare sempre da vicino sta aumentando i casi di strabismo. Ecco perché per prevenire la miopia, oltre a limitare il cellulare a partire dai bambini di pochi anni, bisognerebbe stare di più all’aperto per allenare l’occhio alla visione a distanza.


Smartphone e “sindrome dell’occhio secco”

Con l’uso precoce e poi continuo nel tempo per bambini, adolescenti, giovani di smartphone e tablet si va incontro oltre che alla miopia anche ad altri malanni. Lo ha dimostrato agli inizi del 2017 uno studio sudcoreano, del College of Medicine dello Chung Ang University Hospital di Seul, condotto su poco meno di mille bambini di età compresa tra 7 e 12 anni. Il 6,6 per cento manifestava i sintomi della “sindrome dell’occhio secco”. Il 97 per cento dei bambini alle prese con la sindrome utilizzava lo smartphone mediamente 2-3 ore al giorno. La percentuale saliva dal 6,6 per cento all’8,3 per i bambini che vivevano in città e si riduceva al 2,8 per cento tra coloro che vivevano in aree rurali. I bambini “cittadini” che usavano abitualmente lo smartphone erano il 61,3 per cento, quelli delle aree rurali il 51 per cento. Bruciore persistente e senso da corpo nell’occhio sono i principali sintomi della “sindrome dell’occhio secco” che ora sembra colpire anche i bambini. Era raro nei più piccoli. Ma ora le cose stanno cambiando. La causa sarebbe addebitabile all’uso prolungato degli smartphone con i quali anche i piccoli - ormai entrati in simbiosi con questo strumento - guardano video e cartoni, chattano e giocano tutti i giorni e sempre di più. Sforzando la vista, sbattendo di meno le palpebre, restando con lo sguardo fisso sul display e al chiuso. Diminuisce infatti, come abbiamo ribadito, in modo inversamente proporzionale il tempo che i bambini trascorrono all’aperto.

I ricercatori coreani hanno privato di smartphone i piccoli pazienti affetti dalla sindrome dell’occhio secco e scoperto che occorre un mese di tempo perché i sintomi scompaiano del tutto, senza bisogno di ricorrere a terapie. L’origine della patologia è sempre quella: la distanza troppo ravvicinata ai minischermi e l’illuminazione a led del display obbligano ad un eccessivo sforzo di accomodamento della vista oltre che alla riduzione del battito delle palpebre necessario per la costante lubrificazione degli occhi.


Una pericolosa sottovalutazione

Su scala mondiale, dunque, stiamo sottovalutando quello che, per restare in tema, emerge ad occhi nudo, con tutta evidenza, nelle classi scolastiche e nelle vie di città e villaggi. Non stiamo considerando con il dovuto allarme le conseguenze dell’uso per ore ed ore nell’arco della giornata di smartphone e tablet da parte dei più piccoli. E’ una “epidemia” addebitabile non solo a cause genetiche ma soprattutto a cause comportamentali alla quale ci approcciamo quasi con rassegnata e colpevole indifferenza, quasi come ad un tributo alla modernità che non si può evitare di pagare. Quando invece c’è da intervenire con ben altra consapevolezza, ben altra determinazione.

 di Pino Scorciapino

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