Hugo, Pirandello, Eduardo e pedofilia ecclesiastica nei teatri etnei

Cultura | 17 marzo 2019
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Ridurre per il teatro I Miserabili, il fluviale e più noto romanzo di Vitctor Hugo, non è impresa da poco. La “follia” però, intesa come sfida all’apparentemente impossibile, l’ha compiuta Luca Doninelli che, supportato dalla regia di Franco Però, ha visto il suo adattamento teatrale rappresentato al Teatro Stabile di Catania, nel rispetto rigoroso della complessità narrativa che, evidentemente, non ne ha scoraggiato la messa in scena. Ed in questo protendere verso orizzonti creduti insondabili, il teatro contemporaneo si rivela sempre più luogo di concretizzazione dell’irrealizzabile, abbattendo steccati fisici (e mentali) per superare gli angusti limiti imposti dal palcoscenico. Con una scenografia mobile, inventata da Domenico Franchi, l’estrema diversità degli ambienti è qui resa da grandi pannelli mobili manovrati dagli stessi “attori-operai”, sicché imprevedibili e fulminei cambi di scena interagiscono con spettatori ormai adusi a stilizzati scenari “immaginari” ricostruiti simbolicamente. Metodologia scenografica non nuova, ma sempre più diffusa in tempi di crisi e di scarse risorse economiche foriere, obtorto collo, di rivoluzionarie soluzioni. Al centro della rocambolesca vicenda, nei panni dell’ex forzato Jean Valjean, Franco Branciaroli dalla voce lugubre e cavernosa (pendant della sua infelice esistenza), in scena con una nutrita compagnia d’attori (Alessandro AlbertinSilvia AltruiFilippo BorghiRomina Colbasso, Emanuele FortunatiEster GalazziAndrea GermaniRiccardo Maranzana, Francesco MigliaccioJacopo MorraMaria Grazia PlosValentina Violo). Produzione plurima, CTB Centro Teatrale BrescianoTeatro Stabile del Friuli Venezia GiuliaTeatro de “Gli Incamminati”.

 Lui forse non avrebbe più voluto rappresentarlo, ma la vicenda dello scrivano-filosofo Ciampa - teorico delle tre corde cerebrali (la “seria”, la “civile”, la “pazza”) e della visione esistenziale dell’ “uomo pupo” che in privato sputa su se stesso, ben al di la della misero caso d’adulterio - gronda talmente di verità “atemporali” che alla fine l’amara filosofia del genio agrigentino lo avrà convinto a desistere dall’originario proponimento. Congetture. Salvo Saitta in scena con il classico Berretto a sonagli di Luigi Pirandello (al teatro “Musco” di Catania fino al 24 marzo) non delude il pubblico dei suoi aficionados, recitando in puro idioma italico, ma conservando del vernacolo marcato accento (rinunciando quindi alla traduzione dialettale, “A burritta ccu i cinancianeddi”, che fu cavallo di battaglia di Musco) e ridona al testo quell’eternità cui è destinato (ahimè) in un mondo perennemente dominato dall’ipocrisia e dalla menzogna, irrimediabilmente fusi nella maschera e il volto. Con Saitta calcano le scene Katy Saitta (ottima nei panni della moglie tradita), Aldo Mangiù, Eduardo Saitta, Eleonora Musumeci, Annalise Fazzina, Lucia Mangion. Disegno luci e regia Eduardo Saitta. 

 Una stanza buia popolata di mostri generati da una coscienza violata, riversata - nell’illusorio tentativo di purificazione - in un minuscolo libretto rosso, segreto lavacro di “colpe” innominabili. Un adolescente tredicenne, segregato in un misero locale, narra ad un muto Gesù le “tragedie della sua vita”, un’altra adolescente (piena di dubbi teologici) si alterna al primo raccontando della sua famiglia, del padre (voce fuori campo di Tony Sperandeo), della dispotica madre-maestra, d’un rapporto con un prete apparentemente docile, in realtà orribile orco-pedofilo. Storia maledetta annunciata da un misterioso incipit Concetto al buio, scritto da Rosario Palazzolo (al “Centro Zo” di Catania) affronta lo scabroso tema della pedofilia annidata nella Chiesa, millenaria piaga d’una istituzione blindata al mondo esterno (forse soltanto adesso in timida ammissione d’abiette colpe), portatrice, attraverso segrete plaghe purulente, d’un destino di violenza e di morte. Suggestiva, agile, creativa, innovativa e perfino a tratti “divertente” regia di Guglielmo Ferro, che mobilizza (e traveste) l’ottimo trio degli attori in scena, i promettenti giovani Giovanni Arezzo e Francesco Maria Attardi, insieme al rodato Agostino Zumbo, per costruire un’ agghiacciante denuncia d’una millenaria piaga, dove il dramma spesso (come nella pièce di Palazzolo) si trasforma in tragedia. Scenografia essenziale di Alessia Zarcone che colloca nella misera stanza un tenebroso crocifisso, inquietante simbolo d’un potere sinistro. 

 Elisa Franco, attrice-regista e direttrice artistica della compagnia “La Carrozza degli Artisti” (in omaggio allo scomparso Costantino Carrozza), da sempre impegnata nella scelta di testi (classici e non) mai facili e corrivi, riporta nella “Sala Chaplin” di Catania la celeberrima ex-prostituta Filumena Marturano di Eduardo De Filippo, vincendo (altresì gratificata dall’entusiastica risposta del pubblico) una difficile scommessa che ne ripaga mesi di faticosa preparazione. Gravata, ma tutt’altro che intimorita, da precedenti interpretazioni “storiche” (da Titina De Filippo a Regina Bianchi, alla non meno nota di Sophia Loren), l’attrice-regista catanese rinuncia con una sua personale recitazione ad ogni stucchevole tentazione d’imitazione dei modelli precedenti (sempre subdolamente in agguato quando si tratta di opere più volte e variamente rappresentate), riuscendo a bilanciare aggressività e dolcezza, acquiescenza e veemenza, per svelare in crescendo - con pregevole resa estetica - il dramma affettivo della protagonista, madre di tre giovani avuti da clienti della casa di tolleranza dove per anni ha esercitato l’antico mestiere, di cui uno soltanto figlio dell’uomo che l’ha “redenta” trasformandola in serva-amante. Oltre al tema dei figli illegittimi, sottotraccia la “revanche” finale d’una donna perduta, riscattata (con il matrimonio e il riconoscimento dei figli da parte dell’amante, divenuto marito) dal suo infinito e commovente amore di madre. Insieme a Elisa Franco, Gaetano Lembo, Raimondo Catania, Rosalba Marcellino, Laura Guidotto, Viviana Toscano, Orazio Marletta, Alberto Abbadessa, Mario Frazzetto, Tony Gravagna, Enrica Pandolfo, Massimo Magnan, tutti pienamente nella parte.


 di Franco La Magna

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