“lI
genio di Alfred Hitchcock”, che continua a stupire e affascinare i
cinephiles del mondo intero, torna anche nella edizione numero 38
delle “Giornate del Cinema Muto” di Pordenone. Al grande regista
inglese (nato a Londra nel 1899 e morto a Los Angeles nel 1980) sarà
infatti dedicato l’evento di chiusura delle ormai celeberrime
“Giornate” (5-12 ottobre 2019, domenica 13 è riservata alla
repliche). Nate nel lontano 1982 e divenute ormai l’attesissimo e
più prestigioso appuntamento mondiale consacrato ai “silent
movies”, le “Giornate” (fittissime di proiezioni) ogni anno
richiamano da tutto il mondo i maggiori studiosi dell’ “arte
muta”, insieme ad un irriducibile battaglione di entusiastici
cinephiles, immancabile zoccolo duro di ossequiosi spettatori che in
religioso silenzio seguono l’intenso susseguirsi delle proiezioni,
sempre accompagnate - con colonne sonore originali, composte ad hoc -
dall’esecuzione di autorevoli musicisti (solisti, piccole
formazioni o, per le più importanti, da un’intera orchestra).
Presente già nel 1999 (quando in occasione del centenario della
nascita venne proiettata tutta la sua produzione muta) e nel 2012,
con un nuovo restauro dei film muti diretti dal “Genio di
Hitchcock”, quest’anno le “Giornate” proporranno nella serata
conclusiva (12 ottobre) il terzo lungometraggio (il secondo
sopravvissuto) del regista londinese, The
Lodger (Il
pensionante, 1926) in una copia sfavillante
accompagnata da una nuova partitura orchestrale composta da Neil
Brand, diretta da Ben
Palmer (Covent Garden Sinfonia, London) nell’esecuzione dal vivo
dell’ Orchestra San Marco, Pordenone. <The
Lodger.
L’azione si svolge nella casa di un affittacamere e la proprietaria
si chiede se il nuovo inquilino sia un assassino conosciuto come il
Vendicatore. Un tipo del genere di Jack lo Squartatore. Ho trattato
questo soggetto in modo molto semplice, interamente dal punto di
vista della donna, la proprietaria. Poi sono stati fatti due o tre
remake troppo complicati>> (F. Truffaut, Il
cinema secondo Hitchcock,
Milano 1977, p. 38). Più defilati, in qualche modo oscurati dalla
fama del regista, i pur indispensabili “collaboratori”
a partire dall’importante produttore inglese Michael Balcon, che lo
lanciò come regista, gli permise di compiere le prime esperienze in
Germania e gli mise accanto due sceneggiatori fondamentali per la sua
formazione: Charles Bennett (autore della serie di thriller sonori)
ed Eliot Stannard, che tra gli altri film è accreditato come unico
autore di The
Lodger.
Stannard ha lasciato alcuni articoli scritti nel 1918 per una rivista
specializzata (“The Art of the Kinematograph”) che anticipano
profeticamente il linguaggio hitchcockiano. Come aiuto regista si
ritrova poi Alma Reville, nel 1926 sposa di Hitchcock e Ivor Montagu
(montaggio e didascalie). Spicca
ancora tra i talentuosi collaboratori il nome di Gaetano
Ventimiglia,
nato a Catania 1888 e morto a Roma 1974, all’età di 85 anni.
Allievo di talento dell’Accademia di
Belle Arti di Roma, pittore, poi negli Stati Uniti giornalista e
fotografo per il New York Times e l’American Press Association;
operatore della “Jonio Film” (1914), della “Katana Film”
(1915-16), della “Filmgraf” (1919) e della “Fert” di Torino
(1921-22); collaboratore del mitico documentarista del muto Giovanni
Vitrotti (1921-22), inventore di un otturatore (1921), negli anni ‘20
lavora in mezza Europa (Francia, Inghilterra, Germania) e proprio in
tre film del grande Alfred Hitchcock del periodo inglese (1925-26).
Assunto dalla “Cines” di Stefano Pittaluga come direttore tecnico
(1930), alla metà di quel decennio si ritrova docente di Tecnica
della ripresa nel neonato Centro Sperimentale di Cinematografia
(CSC) di Roma, dove finalmente riesce a realizzare il suo grande
sogno: l’invenzione di una cinepresa “italiana”. L’avventuroso
e leggendario Gaetano Ventimiglia, rampollo d’una famiglia
blasonata e capostipite d’una stirpe d’inventori-operatori, nasce
dunque a Catania (che lo ha del tutto dimenticato) nel 1888. Dopo gli
studi a Roma e un suo primo del tutto casuale (così si favoleggia)
contatto con il cinema in Sicilia, chiusa l’esperienza americana,
rientra in Italia dove (dopo aver girato il tedesco Das
fraulein von Capri, 1912) lavora come
operatore della “Jonio Film”, una delle quattro case di
produzione catanesi, fondata nel 1915 da Filippo Benanti, industriale
catanese del vetro. Il film è Valeria,
un “peplo” d’ambiente antico-romano, rimasto però inedito. Più
fortunata la sua collaborazione con la “Katana Film” - altra casa
di produzione etnea, fondata dai fratelli Scalia Zappalà e Giuseppe
Coniglione nel febbraio del 1915 - con la quale Ventimiglia gira
cinque film, tutti per la regia del versatile avvocato-scrittore
catanese Raffaele Cosentino, due dei quali - Il
latitante e Per te,
amore! - di matrice letteraria catanese.
Il
primo tratto da un soggetto del giornalista-commediografo Peppino
Fazio, con Virginia Balistrieri (moglie di Giovanni Grasso jr.,
cugino dell’omonimo), Francesca Anselmi Quintavalle (madre della
più famosa Rosina), Desdemona Balistrieri (sorella di Virginia e
moglie di Angelo Musco) e i catanesi Mariano Bottino (il latitante) e
Attilio Rapisarda; il secondo - ricavato da un soggetto della
scrittrice Tina Zappalà-Paternò, interpretato dalla corpulenta e
stizzosa Rosina Anselmi (poi indimenticabile compagna artistica di
Musco), Attilio Rapisarda, Mariano Bottino, Elvira Radaelli, girato
in contrada “Leucatia”, in una proprietà del marchese di
Sangiuliano..
Quest’ultimo si fa notare soprattutto per gli “effetti di luce”,
dovuti all’abile mano di Ventimiglia. Il satirico La
guerra e la moda, sempre con la Balestrieri,
Il signor Diotisalvi e
Anime gemelle -
definiti da un anonimo recensore “veri gioielli d’arte…che
strappano il riso anche ai più musoni” (“Corriere di Catania, 28
settembre 1915) - suggellano la fine della “Katana” (il 1916 è
l’anno in cui chiudono definitivamente le quattro case di
produzione etnee). Dopo la guerra passa alla “Filmgraf” (1919),
come operatore dei film di Gian Orlando Vassallo (Noemi,
Sinfonia del mare e
Sogno di primavera) e
successivamente alla “Fert” di Torino (L’isola
della felicità e Il
silenzio regia di Luciano Doria, La
preda di Guglielmo Zorzi,
tutti del 1921, quindi L’incognita
di Gennaro Righelli e Il
ladro di Luciano Doria, del 1922). Insieme a
Vitrotti gira Teodora
(1922) di Leopoldo Carlucci, prodotto dalla torinese Ambrosio,
“kolossal” sulla prostituta-imperatrice di Bisanzio.
Instancabile, brevetta nel 1921 un “otturatore a specchio
riflettente” (probabilmente venduto al governo fascista e a quello
tedesco); collabora al film Toilers of the sea
(1923) di Roy William Neil, The
city of temptations (L’inferno
dei profughi, 1924) e The
money habit (1924) regia di Walter Niebuhr,
finché tra il 1925-26 passa tra gli altri nientemeno che con il
maestro del brivido e della “suspance”,
appunto l’insuperabile Alfred Hitchcock del periodo inglese (che
gli affibbia l’epiteto di “barone” e lo chiama “Baron
Vintimiglia”).
Con Hitch lavora in tre film: Irrgarten
der Leidensshaft o The
pleasure garden (1925),
quasi interamente girato in Italia; Der
Berglader o The
Mountain Egle (1926),
girato tra il Tirolo e Monaco di Baviera, entrambi di produzione
anglo-tedesca; infine The lodger
(1926) che il grande Hitch definisce “il
mio primo film”. La rivista francese “Ciné-Mirror” scrive del
Catanese che è “un asso tra gli operatori più celebri…un
cervello che cerca e lavora senza sosta…un gigante buono che mette
le sue energie a servizio dell’arte”. Lavora ancora in Venetian
lover (1925) regia di Walter Niebuhr, La
bonne hotesse (1926) di Jeanne Bruno-Ruby,
Sables (1927) di
Dimitri Kirsanoff, Morgane la sirene (Morgana
la sirena, 1927) di Léonce Perret e S.O.S.
(1928) di Leslie Hiscott, The
Physician (1928) di Georg Jacoby. 1928 è a
Londra e due anni dopo in Italia dove diventa Direttore tecnico della
riorganizzata Cines di Stefano Pittaluga. Da docente di Tecnica della
ripresa ottica nel neonato Centro Sperimentale di Cinematografia, il
suo genio d’inventore si sbriglia. Cura la fotografia de L’ultima
carta (1938) di Piero Ballerini, concepisce
due macchine da presa: la “O.G. 300” che illustra a Mussolini nel
1940, prodotta in pochi esemplari e la più fortunata “Vistavision”
(1955) a scorrimento orizzontale della pellicola, con la quale
(modificata) sono stati realizzati molti film (tra cui Il
Gattopardo, 1963, celeberrimo capolavoro
di Visconti). Sua la fotografia del satirico
Abbiamo vinto! (1950)
del tedesco Robert Adolf Stemmle e del documentario Ippodromi
all’alba (1950) di Alessandro Blasetti (ma
molto probabilmente è stato direttore della fotografia di altri
film). Conclude la strepitosa carriera come apprezzato docente del
Centro Sperimentale di Cinematografia, dove insegna dal 1951 al 1967.
Nel 1963 viene insignito del prestigioso “Premio A.T.I.C. per la
Tecnica”. Muore a Roma nel 1974. I figli Giovanni (Roma 1921-1989),
direttore della “Tecnicolor”, inventore di un sistema
“Techiscope” operatore e direttore della fotografia di decine di
film e Carlo (Monaco di Baviera 1925-Roma 1981), prolifico creatore
di molte macchine particolari, tra cui la “Verticale”) - morti
entrambi prematuramente - hanno proseguito con successo la sua opera
d’infaticabile ricercatore. Tornando a The
Lodger il thriller, giudicato velleitario
dalla distribuzione non ebbe un successo immediato, ma appena uscito
nelle sale ebbe subito il consenso del pubblico e della critica,
contribuendo ad accrescere ed affermare definitivamente la fama del
giovane cineasta. Come in The
Pleasure Garden
(sceneggiatura di Stannard) il film, considerato - come già
detto - dallo stesso regista “il primo vero film di Hitchcock”
si apre “con il volto di una ragazza bionda che urla”, che subito
dopo si rivede morta annegata, vittima di un serial killer (nella
citata intervista a Truffaut, Hich spiega puntualmente la tecnica
usata).
Fino alla fine non si saprà se l’assassino è ospite
della pensione. Daisy, la bionda figlia dei padroni di casa (e qui
torna la sua ossessione per le donne bionde) potrebbe essere la
prossima vittima? Angoscianti tutte le sequenze, dalla prima vittima
(una vecchia, sfregiata sadicamente) a quelle riservate a Daisy e
alle altre donne bionde, fino a quella indimenticabile della madre
della giovane che ascolta i movimenti notturni dell’ospite della
pensione. Infine il ruolo del protagonista affidato ad un divo del
tempo - Ivar Novello, vedette del teatro inglese - condizionò non
poco la conclusione del film perché Hitchcock avrebbe “preferito
che fosse scomparso nella notte in modo che non se ne sapesse più
niente”. Una conclusione inaccettabile per lo star-system.
Cominciava timidamente ad affiorare la categoria dei “thriller alla
Hitchcock”, fatti di violenza maschile, sessualità contorta,
ingegnosa manipolazione del pubblico, ingiuste persecuzioni di uomini
innocenti per colpe non commesse, simbolismo degli oggetti. Una sorta
di remake può essere considerato Frenzy (1972),
sentimentale ritorno nella Londra dei suoi natali. In The
Lodger, paurosa
storia della nebbia londinese, Hitchcock appare per la prima volta in
due sequenze, una pratica che diverrà comune in tutti i suoi film,
“un gag abbastanza ingombrante - dirà poi il regista - e per
permettere alla gente di vedere il film con tranquillità mi
preoccupo di farmi notare nei primi cinque minuti”. All’inizio
infatti il motivo era, afferma lo stesso regista, “strettamente
funzionale, perché bisognava riempire lo schermo. Più tardi è
diventata una superstizione e infine un gag”.