Hitchcock chiude le Giornate del cinema muto di Pordenone

Cultura | 17 settembre 2019
Condividi su WhatsApp Twitter

 “lI genio di Alfred Hitchcock”, che continua a stupire e affascinare i cinephiles del mondo intero, torna anche nella edizione numero 38 delle “Giornate del Cinema Muto” di Pordenone. Al grande regista inglese (nato a Londra nel 1899 e morto a Los Angeles nel 1980) sarà infatti dedicato l’evento di chiusura delle ormai celeberrime “Giornate” (5-12 ottobre 2019, domenica 13 è riservata alla repliche). Nate nel lontano 1982 e divenute ormai l’attesissimo e più prestigioso appuntamento mondiale consacrato ai “silent movies”, le “Giornate” (fittissime di proiezioni) ogni anno richiamano da tutto il mondo i maggiori studiosi dell’ “arte muta”, insieme ad un irriducibile battaglione di entusiastici cinephiles, immancabile zoccolo duro di ossequiosi spettatori che in religioso silenzio seguono l’intenso susseguirsi delle proiezioni, sempre accompagnate - con colonne sonore originali, composte ad hoc - dall’esecuzione di autorevoli musicisti (solisti, piccole formazioni o, per le più importanti, da un’intera orchestra). Presente già nel 1999 (quando in occasione del centenario della nascita venne proiettata tutta la sua produzione muta) e nel 2012, con un nuovo restauro dei film muti diretti dal “Genio di Hitchcock”, quest’anno le “Giornate” proporranno nella serata conclusiva (12 ottobre) il terzo lungometraggio (il secondo sopravvissuto) del regista londinese, The Lodger (Il pensionante, 1926) in una copia sfavillante accompagnata da una nuova partitura orchestrale composta da Neil Brand, diretta da Ben Palmer (Covent Garden Sinfonia, London) nell’esecuzione dal vivo dell’ Orchestra San Marco, Pordenone. <The Lodger

L’azione si svolge nella casa di un affittacamere e la proprietaria si chiede se il nuovo inquilino sia un assassino conosciuto come il Vendicatore. Un tipo del genere di Jack lo Squartatore. Ho trattato questo soggetto in modo molto semplice, interamente dal punto di vista della donna, la proprietaria. Poi sono stati fatti due o tre remake troppo complicati>> (F. Truffaut, Il cinema secondo Hitchcock, Milano 1977, p. 38). Più defilati, in qualche modo oscurati dalla fama del regista, i pur indispensabili “collaboratori” a partire dall’importante produttore inglese Michael Balcon, che lo lanciò come regista, gli permise di compiere le prime esperienze in Germania e gli mise accanto due sceneggiatori fondamentali per la sua formazione: Charles Bennett (autore della serie di thriller sonori) ed Eliot Stannard, che tra gli altri film è accreditato come unico autore di The Lodger. Stannard ha lasciato alcuni articoli scritti nel 1918 per una rivista specializzata (“The Art of the Kinematograph”) che anticipano profeticamente il linguaggio hitchcockiano. Come aiuto regista si ritrova poi Alma Reville, nel 1926 sposa di Hitchcock e Ivor Montagu (montaggio e didascalie). Spicca ancora tra i talentuosi collaboratori il nome di Gaetano Ventimiglia, nato a Catania 1888 e morto a Roma 1974, all’età di 85 anni. 

Allievo di talento dell’Accademia di Belle Arti di Roma, pittore, poi negli Stati Uniti giornalista e fotografo per il New York Times e l’American Press Association; operatore della “Jonio Film” (1914), della “Katana Film” (1915-16), della “Filmgraf” (1919) e della “Fert” di Torino (1921-22); collaboratore del mitico documentarista del muto Giovanni Vitrotti (1921-22), inventore di un otturatore (1921), negli anni ‘20 lavora in mezza Europa (Francia, Inghilterra, Germania) e proprio in tre film del grande Alfred Hitchcock del periodo inglese (1925-26). Assunto dalla “Cines” di Stefano Pittaluga come direttore tecnico (1930), alla metà di quel decennio si ritrova docente di Tecnica della ripresa nel neonato Centro Sperimentale di Cinematografia (CSC) di Roma, dove finalmente riesce a realizzare il suo grande sogno: l’invenzione di una cinepresa “italiana”. L’avventuroso e leggendario Gaetano Ventimiglia, rampollo d’una famiglia blasonata e capostipite d’una stirpe d’inventori-operatori, nasce dunque a Catania (che lo ha del tutto dimenticato) nel 1888. Dopo gli studi a Roma e un suo primo del tutto casuale (così si favoleggia) contatto con il cinema in Sicilia, chiusa l’esperienza americana, rientra in Italia dove (dopo aver girato il tedesco Das fraulein von Capri, 1912) lavora come operatore della “Jonio Film”, una delle quattro case di produzione catanesi, fondata nel 1915 da Filippo Benanti, industriale catanese del vetro. Il film è Valeria, un “peplo” d’ambiente antico-romano, rimasto però inedito. Più fortunata la sua collaborazione con la “Katana Film” - altra casa di produzione etnea, fondata dai fratelli Scalia Zappalà e Giuseppe Coniglione nel febbraio del 1915 - con la quale Ventimiglia gira cinque film, tutti per la regia del versatile avvocato-scrittore catanese Raffaele Cosentino, due dei quali - Il latitante e Per te, amore! - di matrice letteraria catanese. 

Il primo tratto da un soggetto del giornalista-commediografo Peppino Fazio, con Virginia Balistrieri (moglie di Giovanni Grasso jr., cugino dell’omonimo), Francesca Anselmi Quintavalle (madre della più famosa Rosina), Desdemona Balistrieri (sorella di Virginia e moglie di Angelo Musco) e i catanesi Mariano Bottino (il latitante) e Attilio Rapisarda; il secondo - ricavato da un soggetto della scrittrice Tina Zappalà-Paternò, interpretato dalla corpulenta e stizzosa Rosina Anselmi (poi indimenticabile compagna artistica di Musco), Attilio Rapisarda, Mariano Bottino, Elvira Radaelli, girato in contrada “Leucatia”, in una proprietà del marchese di Sangiuliano.. Quest’ultimo si fa notare soprattutto per gli “effetti di luce”, dovuti all’abile mano di Ventimiglia. Il satirico La guerra e la moda, sempre con la Balestrieri, Il signor Diotisalvi e Anime gemelle - definiti da un anonimo recensore “veri gioielli d’arte…che strappano il riso anche ai più musoni” (“Corriere di Catania, 28 settembre 1915) - suggellano la fine della “Katana” (il 1916 è l’anno in cui chiudono definitivamente le quattro case di produzione etnee). Dopo la guerra passa alla “Filmgraf” (1919), come operatore dei film di Gian Orlando Vassallo (Noemi, Sinfonia del mare e Sogno di primavera) e successivamente alla “Fert” di Torino (L’isola della felicità e Il silenzio regia di Luciano Doria, La preda di Guglielmo Zorzi, tutti del 1921, quindi L’incognita di Gennaro Righelli e Il ladro di Luciano Doria, del 1922). Insieme a Vitrotti gira Teodora (1922) di Leopoldo Carlucci, prodotto dalla torinese Ambrosio, “kolossal” sulla prostituta-imperatrice di Bisanzio. Instancabile, brevetta nel 1921 un “otturatore a specchio riflettente” (probabilmente venduto al governo fascista e a quello tedesco); collabora al film Toilers of the sea (1923) di Roy William Neil, The city of temptations (L’inferno dei profughi, 1924) e The money habit (1924) regia di Walter Niebuhr, finché tra il 1925-26 passa tra gli altri nientemeno che con il maestro del brivido e della “suspance”, appunto l’insuperabile Alfred Hitchcock del periodo inglese (che gli affibbia l’epiteto di “barone” e lo chiama “Baron Vintimiglia”).

 Con Hitch lavora in tre film: Irrgarten der Leidensshaft o The pleasure garden (1925), quasi interamente girato in Italia; Der Berglader o The Mountain Egle (1926), girato tra il Tirolo e Monaco di Baviera, entrambi di produzione anglo-tedesca; infine The lodger (1926) che il grande Hitch definisce “il mio primo film”. La rivista francese “Ciné-Mirror” scrive del Catanese che è “un asso tra gli operatori più celebri…un cervello che cerca e lavora senza sosta…un gigante buono che mette le sue energie a servizio dell’arte”. Lavora ancora in Venetian lover (1925) regia di Walter Niebuhr, La bonne hotesse (1926) di Jeanne Bruno-Ruby, Sables (1927) di Dimitri Kirsanoff, Morgane la sirene (Morgana la sirena, 1927) di Léonce Perret e S.O.S. (1928) di Leslie Hiscott, The Physician (1928) di Georg Jacoby. 1928 è a Londra e due anni dopo in Italia dove diventa Direttore tecnico della riorganizzata Cines di Stefano Pittaluga. Da docente di Tecnica della ripresa ottica nel neonato Centro Sperimentale di Cinematografia, il suo genio d’inventore si sbriglia. Cura la fotografia de L’ultima carta (1938) di Piero Ballerini, concepisce due macchine da presa: la “O.G. 300” che illustra a Mussolini nel 1940, prodotta in pochi esemplari e la più fortunata “Vistavision” (1955) a scorrimento orizzontale della pellicola, con la quale (modificata) sono stati realizzati molti film (tra cui Il Gattopardo, 1963, celeberrimo capolavoro di Visconti). Sua la fotografia del satirico Abbiamo vinto! (1950) del tedesco Robert Adolf Stemmle e del documentario Ippodromi all’alba (1950) di Alessandro Blasetti (ma molto probabilmente è stato direttore della fotografia di altri film). Conclude la strepitosa carriera come apprezzato docente del Centro Sperimentale di Cinematografia, dove insegna dal 1951 al 1967. Nel 1963 viene insignito del prestigioso “Premio A.T.I.C. per la Tecnica”. Muore a Roma nel 1974. I figli Giovanni (Roma 1921-1989), direttore della “Tecnicolor”, inventore di un sistema “Techiscope” operatore e direttore della fotografia di decine di film e Carlo (Monaco di Baviera 1925-Roma 1981), prolifico creatore di molte macchine particolari, tra cui la “Verticale”) - morti entrambi prematuramente - hanno proseguito con successo la sua opera d’infaticabile ricercatore. Tornando a The Lodger il thriller, giudicato velleitario dalla distribuzione non ebbe un successo immediato, ma appena uscito nelle sale ebbe subito il consenso del pubblico e della critica, contribuendo ad accrescere ed affermare definitivamente la fama del giovane cineasta. Come in The Pleasure Garden (sceneggiatura di Stannard) il film, considerato - come già detto - dallo stesso regista “il primo vero film di Hitchcock” si apre “con il volto di una ragazza bionda che urla”, che subito dopo si rivede morta annegata, vittima di un serial killer (nella citata intervista a Truffaut, Hich spiega puntualmente la tecnica usata). 

 Fino alla fine non si saprà se l’assassino è ospite della pensione. Daisy, la bionda figlia dei padroni di casa (e qui torna la sua ossessione per le donne bionde) potrebbe essere la prossima vittima? Angoscianti tutte le sequenze, dalla prima vittima (una vecchia, sfregiata sadicamente) a quelle riservate a Daisy e alle altre donne bionde, fino a quella indimenticabile della madre della giovane che ascolta i movimenti notturni dell’ospite della pensione. Infine il ruolo del protagonista affidato ad un divo del tempo - Ivar Novello, vedette del teatro inglese - condizionò non poco la conclusione del film perché Hitchcock avrebbe “preferito che fosse scomparso nella notte in modo che non se ne sapesse più niente”. Una conclusione inaccettabile per lo star-system. Cominciava timidamente ad affiorare la categoria dei “thriller alla Hitchcock”, fatti di violenza maschile, sessualità contorta, ingegnosa manipolazione del pubblico, ingiuste persecuzioni di uomini innocenti per colpe non commesse, simbolismo degli oggetti. Una sorta di remake può essere considerato Frenzy (1972), sentimentale ritorno nella Londra dei suoi natali. In The Lodger, paurosa storia della nebbia londinese, Hitchcock appare per la prima volta in due sequenze, una pratica che diverrà comune in tutti i suoi film, “un gag abbastanza ingombrante - dirà poi il regista - e per permettere alla gente di vedere il film con tranquillità mi preoccupo di farmi notare nei primi cinque minuti”. All’inizio infatti il motivo era, afferma lo stesso regista, “strettamente funzionale, perché bisognava riempire lo schermo. Più tardi è diventata una superstizione e infine un gag”.




 di Franco La Magna

Ultimi articoli

« Articoli precedenti