Heysel, autopsia e riconciliazione trent'anni dopo
Caro Mario Desiati,
trent'anni fa avevamo la stessa età, siamo due ragazzi del Sud, dunque con la Juve nel sangue. Così, giusto, per fissare dei paletti.
Questo libro, che può leggersi in una notte o due, questo tuo ultimo libro, edito da Rizzoli, “La notte dell'innocenza. Heysel 1985, memoria di una tragedia” (181 pagine, 16 euro), è un'autopsia di tanti dolori, ed è una specie di riconciliazione. L'insanguinata Coppa dei Campioni della Juventus, conquistata nel 1985, l'hai vissuta in tv e a tanto tempo di distanza l'hai sviscerata, studiata, hai provato a comprenderla leggendo una robusta biliografia.
Da allora sembra che il calcio qualcosa abbia capito (non si giocherebbe più una partita di calcio in uno stadio fatiscente come l'Heysel), ma tanti che nel calcio sguazzano – tanti disadattati, criminali, teste calde prive di materia grigia, con un sistema talvolta complice – probabilmente non hanno capito nulla. Di quella maledetta serata restano trentanove inermi vittime e centinaia di feriti, a cui nessuno ha mai restituito dignità (ancora oggi macabramente evocate nelle offese da stadio). Tu regali loro un piccolo onesto monumento di carta: «Il calcio è un fenomeno vitale, e chiunque sia morto per questo merita lo stesso ricordo di chi ha perso la vita in un attentato terroristico come in guerra, come in un incidente».
Nella rievocazione della tragedia, nella cronaca dell'agguato degli hooligans del Liverpool al settore Z dello stadio di Bruxelles (settore che doveva essere il più tranquillo nelle previsioni degli organizzatori) c'è, nelle tue pagine, una precisione che non è mai pedanteria, molto raramente è didascalica, ma in assoluto e sempre è ricerca chirurgica dei perché. C'è pure qualche imprecisione (Facchetti libero? L'Uefa League?), ma sono peccati veniali. Nulla in confronto al grazie che ti devo, alle piccole storie di coraggio che racconti, alle parole di tua madre nella notte della finale, al coraggio del medico Roberto Lorentini, all'elenco dei morti, con nome, cognome, età, provenienza, come una poesia struggente.
Il cuore del libro sta in una domanda e in qualche altra frase: «Cosa sognavano gli uomini e le donne che sono morti? Le loro famiglie, la loro memoria, non vanno ulteriormente oltraggiate da sterili dibattiti statistici».
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