La vicenda greca è a una svolta decisiva e drammatica. È fin troppo facile individuare le responsabilità dei diversi partecipanti a questa tragedia: l’ottusità della Troika, l’improvvisazione del governo greco, la mancanza di iniziativa politica del governo tedesco e degli altri governi europei. Ben più difficile capire cosa potrà succedere d’ora in poi, ma cerchiamo comunque di farlo.
Le prospettive della Grecia…
Salvo una iniziativa a sorpresa, e molto tardiva, dei governi europei nelle
prossime ore, domenica 5 luglio il popolo greco sarà chiamato a votare su un
piano di assistenza finanziaria, condizionato a misure fiscali ed economiche,
che di fatto non esiste più. Il piano è stato infatti ritirato dai ministri
finanziari dell’Eurogruppo sabato 27 giugno, non appena appresa la notizia della
indizione del referendum, che è stata accolta come una rottura delle trattative.
Tecnicamente si tratta di un referendum privo di senso, anche per il fatto che
implicitamente il popolo è chiamato a rispondere su una materia fiscale, che in
genere non può essere materia referendaria per ovvie ragioni (non si va a
chiedere alla gente se è d’accordo su un aumento della tasse). Tuttavia, il
referendum ha un forte significato politico, sebbene Tsipras continui a negarlo: in sostanza il popolo
greco deve decidere se restare nell’euro a ogni costo (comprese le misure
imposte dalla Troika adesso e in futuro) oppure lanciarsi in un’avventura che
potrebbe molto probabilmente portare il paese a uscire dall’euro.
Il
referendum è un’iniziativa molto rischiosa, qualunque sia il suo esito. Se
vincesse il “Sì” al piano della Troika, il governo attuale ne uscirebbe
indebolito, visto che ha fatto campagna contro il piano stesso. Probabilmente si
andrebbe a elezioni anticipate, e bisognerebbe ricominciare da capo una
trattativa con un altro governo. Nel frattempo, per un periodo che potrebbe
durare alcuni mesi, l’erogazione dei finanziamenti europei resterebbe bloccata.
Se vincesse il “No”, quei finanziamenti verrebbero persi del tutto. Comunque
vada, il governo greco non sarà in grado di fare fronte ai pagamenti più urgenti
per restituire i suoi debiti nei confronti dell’Fmi (30 giugno ) e della Bce (20
luglio). In altre parole, la Grecia è insolvente.
A questo punto, ci si pone
la domanda cruciale. L’insolvenza comporta l’uscita dall’euro? La risposta breve
è: in questo caso si. La risposta più articolata è: dipende dal creditore. Se il
creditore è un privato, un governo della zona euro può essere insolvente senza
che questo comporti l’uscita dalla zona euro: questo è già successo nel 2012,
quando il valore dei titoli di stato greci è stato tagliato della metà, senza
che il paese uscisse dalla zona euro. Se invece il creditore è la Bce, le cose
cambiano. Si tenga presente che il sistema bancario greco è nel mezzo di una
grave crisi di liquidità: essendo sottoposto a un continuo ritiro di depositi,
dipende dai prestiti forniti dalla Bce, che sono costantemente aumentati negli
ultimi mesi. Questi prestiti possono essere mantenuti a due condizioni:
(i) le banche greche siano solvibili e (ii) i titoli presentati a garanzia siano accettati dalla Bce. Entrambe queste condizioni verranno meno con l’insolvenza dello Stato greco: (i) le banche subiranno perdite sui titoli detenuti in portafoglio e sui crediti alle imprese e alle famiglie, data la situazione che si verrà a creare, tali da erodere il loro patrimonio e portarle in una situazione di insolvenza; (ii) ben difficilmente la Bce potrà considerare accettabili come garanzia i titoli di debito di uno Stato insolvente, per di più verso la Bce stessa. Non a caso, il 28 giugno la Bce ha deciso di porre un limite a questi finanziamenti: per ora si è limitata a non aumentarli, ma è chiaro che è un passo verso la revoca, se la situazione dovesse precipitare. Una volta venuti meno i prestiti della Bce, l’unico modo per fare funzionare le banche greche sarà introdurre una nuova moneta, emessa dalla banca centrale greca. In una parola: Grexit.
…e per noi
Le conseguenze immediate del fallimento della Grecia e della sua uscita dall’euro potrebbero essere limitate. L’esposizione delle banche e dei soggetti privati è molto ridotta. Quella del governo è maggiore (50-60 miliardi), attraverso diversi canali (prestiti diretti, Fondo di stabilità europeo, Bce), ma l’impatto sui conti pubblici sarebbe dilazionato nel tempo. Quanto ai tassi d’interesse, l’Italia gode al momento dell’accesso ai mercati finanziari a costi bassi, anche per merito del Quantitative easing avviato dalla Bce a febbraio. Tuttavia, questo piano prima o poi terminerà, presumibilmente nel settembre del 2016. L’altro strumento a disposizione della Bce, l’Omt è di difficile utilizzo, poiché richiede che un governo stipuli un accordo di assistenza finanziaria con il Fondo di stabilità europeo (Esm), cosa che nessuno vuole fare per evitare di sottoporsi alle torture della Troika. Quindi in futuro l’uscita delle Grecia ci potrà danneggiare molto: qualora la sostenibilità della nostra finanza pubblica venisse rimessa in discussione, il rischio di nostra uscita dall’euro alimenterebbe la speculazione, e nessuno potrebbe più dire che l’euro è irreversibile. Questa, come abbiamo già sostenuto, è la differenza tra una unione monetaria e un accordo di cambio. Il ritorno del rischio di break-up potrebbe riportare lo spread ai terribili livelli del 2011. Più in generale, l’uscita della Grecia sarebbe l’inizio della fine per l’euro e comporterebbe un’inversione del processo di integrazione europea. Speriamo che i governi europei nelle ultime ore disponibili evitino il disastro. In fin dei conti, il resto dell’Europa ha molto più da perdere dal Grexit che la Grecia stessa.(Info.lavoce)
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