Gli obiettivi mancati della cooperazione italiana nel mondo
L’Italia, come tutti gli altri paesi del comitato Ocse Dac, si è posta l’obiettivo di destinare lo 0,7% del proprio reddito nazionale lordo (rnl) in aiuto pubblico allo sviluppo (aps) entro il 2030. Nel frattempo però, a partire dal 2016 il nostro paese si è anche impegnato in sede internazionale a raggiungere l’obiettivo intermedio dello 0,30% aps/rnl entro il 2020. Anche se i dati definitivi sull’aps italiano nel 2020 saranno disponibili solo alla fine del 2021, analizzando la legge di bilancio approvata a fine dicembre 2019 emerge- secondo quanto riportato da Openpolis- come l’obiettivo intermedio sia ormai sfumato. La legge di bilancio definisce le risorse che lo Stato si impegna a destinare nei diversi ambiti della finanza pubblica per il triennio 2020-2022. Si è trattato, dunque, dell’ultima occasione per assegnare alla cooperazione i finanziamenti necessari per raggiungere la tappa intermedia del 2020. Lo studio di Openpolis “Cooperazione Italia” era stato concluso alla vigilia dello scoppio dell’emergenza del Covid-19. Il quadro provocato dalla crisi ha tuttavia profondamente mutato il contesto in cui il lavoro era stato realizzato, rendendo alcuni dei riferimenti superati dagli eventi.
La legge di riforma della cooperazione (L. 125/2014) stabilisce che in sede di legge di bilancio sia predisposta dal ministero dell’economia una tabella con incluse le spese di ciascun ministero che rientrano nell’ambito proprio dell’aiuto pubblico allo sviluppo. Stando a queste previsioni, l’Italia nel 2020 conta di stanziare per la cooperazione 4,7 miliardi di euro. Decisamente meno di quanto sarebbe stato necessario per raggiungere l’obiettivo dello 0,30% aps/rnl. I fondi previsti per il 2020, infatti, messi in rapporto alle previsioni sul pil, suggeriscono che nel 2020 l’Italia si assesterà intorno allo 0,26% aps/rnl fallendo il raggiungimento dell’obiettivo intermedio. Il Governo Gentiloni aveva raggiunto questo traguardo, seppur con molte criticità, nel 2017. A partire dal 2018, tuttavia, l’Italia si allontana dall’obiettivo intermedio dello 0,30% aps/rnl.
L’arretramento della politica di cooperazione italiana, tuttavia, non si limita alla riduzione dei fondi stanziati. Con la di riforma varata nella scorsa legislatura s’intendeva riorganizzare il sistema della cooperazione in modo da renderlo più efficace attraverso una maggiore sinergia tra i vari attori della cooperazione che avrebbero dovuto agire in maniera coordinata in un quadro di programmazione strategica pluriennale. Purtroppo però sono molti gli aspetti della riforma che per ora rimangono inapplicati. Il sistema di governance previsto dalla legge, infatti, risulta bloccato visto che ormai, da molto tempo, non si riuniscono due organi chiave come il Consiglio nazionale per la cooperazione allo sviluppo e il Comitato interministeriale di cooperazione allo sviluppo. Anche il principio di programmazione pluriennale previsto dalla riforma non viene rispettato. L’ultimo documento di programmazione strategica che è stato pubblicato, infatti, è quello relativo agli anni 2017-2019.
La spesa per i rifugiati nel paese donatore è una voce del bilancio della cooperazione che negli ultimi anni è diventata molto rilevante, influenzando in modo consistente l’andamento complessivo dell’aiuto pubblico allo sviluppo italiano. Stando alle previsioni di bilancio, al calo dell’aps che si verificherà nei prossimi anni contribuirà anche la riduzione delle spese per l’accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati. I fondi del ministero dell’interno destinati alla cooperazione (che riguardano quasi integralmente questa materia) subiranno, infatti, una riduzione del 6%. Sono 1,58 miliardi i fondi previsti per la cooperazione nel 2020 dal ministero dell’interno, 100 milioni in meno rispetto al 2019. Le spese sostenute per i rifugiati nel paese donatore rappresentano la voce principale di quello che è noto come “aiuto gonfiato”. In ogni caso per mantenere gli stessi livelli di aps, a fronte di minori importi destinati all’accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati, sarebbe necessario compensare questa riduzione di spesa con un maggiore impegno in altri settori. Non solo questo non è stato fatto, ma per il 2020 anche altri ministeri hanno previsto una riduzione del proprio impegno finanziario rispetto all’anno precedente.
La principale voce di spesa del ministero dell’interno inserita nel bilancio della cooperazione è quella che riguarda la gestione della fase di prima accoglienza dei migranti (capitolo 2351 piano gestionale 2). Nel 2017 il Viminale ha speso per questa voce 1,61 miliardi di euro. Gli importi previsti per il 2020, invece, risultano ammontare a 1,16 miliardi, il 27,7% in meno. Gli importi indicati dal ministero dell’interno per l’accoglienza migranti nel 2020 appaiono ampiamente sovrastimati. Tuttavia a fine dicembre 2017 in Italia erano circa160mila i richiedenti asilo e rifugiati presenti nei centri di prima accoglienza. Nello stesso periodo del 2019, invece, se ne contavano circa 67mila, meno della metà. Le presenze nei centri di accoglienza sono in drastico calo ormai da molti mesi. Ma anche se a fine 2020 il numero di ospiti delle strutture fosse ancora sui livelli attuali, le previsioni di spesa risulterebbero ampiamente sovrastimate. La sovrastima dei fondi destinati dall’Italia ai rifugiati nel paese donatore aveva spinto negli scorsi mesi le Ong e molti attori della cooperazione a richiedere che le risorse eventualmente resesi disponibili fossero poi reinvestite in aiuto pubblico allo sviluppo. In questo modo si sarebbe tamponato il calo complessivo dell’aps e sarebbe stata ridotta la componente di aiuto gonfiato presente nei fondi dell’aps italiano. In effetti, in fase di discussione della legge di bilancio, un emendamento presentato dal Partito democratico andava proprio in questa direzione. Ma alla fine la proposta non è stata inclusa nel testo definitivo.
I paesi membri del comitato aiuto allo sviluppo dell’Ocse (Dac) si sono tutti impegnati a raggiungere quota 0,70% aps/rnl entro il 2030. Nel 2018 sono stati 5 i paesi che hanno raggiunto il traguardo e 3 di questi lo hanno ampiamente superato (Svezia, Lussemburgo, Norvegia). I dati definitivi dell’OCSE per il 2018 posizionano l’Italia al 18esimo posto (nel 2017 era al 13esimo) tra i 29 paesi Dac per aiuto pubblico allo sviluppo (aps) rispetto alla ricchezza nazionale (rnl). Al di là degli ottimi risultati di alcuni paesi del nord Europa, a preoccupare è il confronto tra il dato italiano e quello di paesi come la Germania, che si posiziona al settimo posto con lo 0,61% aps/rnl, o la Francia, al decimo posto con lo 0,43. In un anno l’Italia ha perso 5 posizioni nella classifica dei donatori Ocse. Non è solo l’Italia, tuttavia, a ridurre il proprio impegno sul campo della cooperazione. Nel 2018, infatti, i paesi del comitato Dac hanno destinato complessivamente lo 0,30% del proprio rnl in aiuto pubblico allo sviluppo, in calo rispetto allo 0,31% del 2017 e allo 0,32% del 2016.
Tra i paesi che fanno peggio dell’Italia si trovano anche gli Stati Uniti con lo 0,16% aps/rnl. In valori assoluti però Washington resta saldamente il primo contributore in ambito di cooperazione con 34,1 miliardi di dollari. Guardando i dati in termini assoluti anche l’Italia riguadagna diverse posizioni arrivando all’ottavo posto tra i paesi del comitato Dac.
L’Italia tuttavia mantiene alti i livelli di aiuto in alcuni settori prioritari: l’educazione, la salute e l’agricoltura. In valori assoluti il finanziamento di questi settori ha seguito a grandi linee l’andamento dell’aps complessivo. Gli importi sono andati riducendosi fino al 2012 e successivamente si è assistito a una ripresa che è culminata nel 2017 per poi tornare a ridursi l’anno successivo. Nonostante un calo nel comparto educativo e in quello sanitario rispetto all’anno precedente, gli importi destinati a questi settori nel 2018 registrano valori tendenzialmente più elevati rispetto al decennio precedente.
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