Giovanna e le altre, 111 vittime di femminicidio da gennaio: una ogni tre giorni

Società | 16 dicembre 2022
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Avevano lo stesso nome Giovanna Bonsignore, di 46 anni, e Giovanna Frino, di 44. Entrambe sono state ammazzate per mano di un uomo, a distanza di poche ore. Una è stata uccisa dal compagno che poi si è ucciso, l’altra dal marito che si è costituito. Sono gli ultimi femminicidi in ordine di tempo: il primo a Villabate nel Palermitano, ieri sera, e il secondo ad Apricena nel Foggiano, questa mattina. Queste morti si vanno ad aggiungere all’angosciante elenco che fino al 20 novembre scorso contava 104 vittime dall’inizio del 2022. Oggi sono diventate 111. Da quel giorno, altre sette donne sono state uccise. Una ogni, nemmeno, quattro giorni. Marina Mouritch è stata accoltellata dal figlio il 23 novembre a Gabiano, in provincia di Alessandria, due giorni prima che venisse celebrata la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Poi sono morte Maria, Wafaa, Georgeta, Cinzia. Una dopo l’altra, fino a oggi. Fino a Giovanna.
Era il 24 novembre quando dal Senato partiva un grido d’allarme e veniva approvata all’unanimità - con 139 voti favorevoli - una commissione bicamerale d’inchiesta sul femminicidio. Un fenomeno che è «una piaga sociale, una grave violazione dei diritti umani», come l’ha definito il presidente del Senato, Ignazio La Russa. «Sbaglia chi pensa sia una questione di donne, è essenzialmente una questione di uomini, una parte di uomini non ha digerito i passi avanti della società», aveva aggiunto. E infatti, secondo il rapporto Eures che ha tracciato l’identikit degli autori dei femminicidi, in oltre nove casi su dieci i killer sono uomini. Il 57,4% delle morti è opera del partner, il 12,7% dell’ex.
Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, aveva parlato di «un’aperta violazione dei diritti umani diffusa senza distinzioni geografiche, generazionali e sociali» e aveva esortato a un’opera di «prevenzione» che “investa sulle generazioni più giovani» con «l’educazione all’eguaglianza». «Per troppe donne, il diritto a una vita libera dalla violenza non è ancora una realtà», aveva proseguito il Capo dello Stato. E la premier Giorgia Meloni aveva identificato tre pilastri essenziali per il governo: prevenzione, protezione e certezza della pena.
In occasione del 25 novembre, soltanto tre settimane fa, i luoghi della politica si erano illuminati di rosso e i nomi delle 104 donne uccise fino al 20 novembre riempivano la facciata di Palazzo Chigi. Da Guglielmina a Vera. Con l’intero governo al centro di piazza Colonna, davanti a fotografi e giornalisti per partecipare all’iniziativa «Illuminiamole», un segno dell’adesione della presidenza del Consiglio alla Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. E poi i flashmob, i cortei nel fine settimana, le performance in tutta Italia. Sagome nere, panchine dipinte di rosso, letture. Ma dalla fine di novembre la violenza non si è mai fermata. Davanti a nessun appello, frase o manifestazione. E le donne uccise, a oggi, sono diventate 111. Femminicidi avvenuti soprattutto in famiglia. Gli assassini: i mariti, i compagni, i figli, gli amici. In casa, al lavoro, per strada. Con un coltello, una pistola o a mani nude. Donne vittime dell’odio e della violenza.


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