Frena la moria delle piccole imprese ma la Sicilia resta debole

Economia | 31 marzo 2019
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In Sicilia le PMI, cioè le imprese che occupano meno di 250 persone e il cui fatturato annuo non supera i 50 milioni di euro, sono 5597 con una netta diminuzione rispetto al 2007 (anno di inizio della grande recessione, quando erano 5681), ma in aumento del 1,3% rispetto al 2016. Una crescita più contenuta rispetto alla media del Mezzogiorno che è del +3,5% e a quella nazionale (2,9%). Il rapporto annuale Confindustria- Cerved sulle PMI testimonia come nel 2018 il Mezzogiorno abbia rallentato rispetto all'andamento positivo dell'anno precedente ed evidenzia prospettive incerte per i prossimi mesi, per i quali le previsioni di crescita nazionale risultano pari sostanzialmente allo zero. Ancora una volta la situazione di pesante incertezza dell' economia italiana aggrava il peso, già difficile da sostenere, delle diseconomie esterne dell' impresa meridionale .

Al primo posto tra i fattori negativi si colloca la persistente difficoltà di accesso al credito, nonostante l'ampia liquidità ancora disponibile ed i tassi accessibili. La crisi ha colpito con particolare virulenza l'industria. Il tessuto industriale del Mezzogiorno, come già rilevato da molti osservatori si è rarefatto: nel confronto con il 2007 mancano all'appello il 18% delle imprese industriali Esistono inoltre problemi di patrimonializzazione: il patrimonio netto delle imprese meridionali è inferiore del 30% rispetto al valore nazionale, soprattutto a causa della minore capitalizzazione delle imprese medie. Le imprese familiari rappresentano ancora il 74% del totale , anche se il rapporto individua 1000 imprese con caratteristiche compatibili con l'acquisizione da parte di un fondo di private equity (tecnica di finanziamento consistente nel finanziare una società non quotata in borsa ma dotata di elevate potenzialità di crescita) o con una possibile quotazione. Solo 2500 imprese meridionali su un totale di quasi 30.000 sono dotate di vocazione ad affrontare il mercato internazionale; appena l' 8,7% a fronte del 20,7% della media italiana. Preoccupate le conclusioni dello studio: la strada dell 29.194 PMI esistenti nel Sud si fa più ripida ed aumentano i rischi per la salvaguardia dell'occupazione dei 742.734 addetti. Essi hanno visto un significativo incremento (85.000 n più pari al 10%),, di cui il 58% impiegato nelle piccole imprese, una parte tutt'altro che secondaria dell'occupazione privata in quest'area del paese; ma ora incombe il pericolo che si riapra la stagione della perdita di posti di lavoro. 

Tutti i principali indicatori di bilancio, infatti, sono previsti in calo. Il fatturato è sceso dell'1,3% nel 2018 rispetto all'anno precedente e subirà un'ulteriore flessione dell'1,5% nell'anno n corso; lo stesso vale per il margine operativo lordo (MOL) e per il ROE (return on equity) che è un indice di redditività del capitale proprio. Tale andamento sarà ancora più accentuato in senso negativo in Sicilia, che insieme a Abruzzo, Molise e Sardegna fa parte della sub area che manifesta un andamento meno positivo. Ciò è puntualmente riscontrato dai dati:per le aziende siciliane il MOL resta negativo, a differenze della media dell'area (-1,5% 2017/2016, ma addirittura -46,8% 2016/2007 contro il -33,1% del Mezzogiorno e il -20,3% dell'Italia), si evidenzia un peggioramento dell'indebitamento finanziario (12,3% a fronte del 11,0% del Mezzogiorno), il 26,8% delle imprese peggiorano (downgrade) la propria classe di rischio a fronte del 25,6% del Sud: Nell'isola solo 378 imprese su 5.332 sono fortemente esportatrici, il 7,1% del totale (nel Mezzogiorno è l'8,7% a livello Italia il 20,7%), ma appena 82 società hanno uno score di propensione ai mercati internazionali “certo o molto alto”. 

Anche il rapporto con i creditori, tra cui le pubbliche amministrazioni è lievemente peggiorato: nel 2018 le PMI siciliane hanno atteso per il pagamento delle loro fatture in media 84,5 giorni, mentre nel 2017 avevano aspettato 84,2 giorni. Esiste tuttavia qualche dato positivo, come la crescita degli occupati: su 136.003 impiegati nel comparto PMI, 81.116 si collocano nelle piccole (meno di 50 dipendenti e un fatturato annuo inferiore a 50 milioni di euro) con un incremento del 12,9% rispetto all'anno precedente, 55.137 lavorano nelle medie imprese, ma qui la crescita è a stento avvertibile (+0,7%), Si conferma la debolezza del tessuto imprenditoriale isolano e la persistenza di un forte handicap dimensionale che va soprattutto a discapito dell'innovazione e dell'internazionalizzazione. Come controprova di quanto affermato valgano le statistiche pubblicate due settimane or sono da Unioncamere Sicilia sull'export dall'isola. Prevalgono coke e prodotti petroliferi raffinati con un incremento del +15,2% e rappresentano più di metà dell'export siciliano, seguono prodotti chimici (+14%), alimentari e bevande (+11%) grazie soprattutto al ciclo positivo della produzione vinicola siciliana, computer ed apparecchi elettronici (+24%). Di segno negativo, invece, i prodotti agricoli e della pesca , ma anche tessile ed abbigliamento.

Insomma, la parte dominante delle esportazioni siciliane fa capo a quel che resta della grande industria di trasformazione ed alla recente affermazione del vino siciliano sui mercati esteri, mentre poco significativa resta la quota delle piccole e medie imprese. Nell'attuale, confusa situazione siciliana il discorso sull'impresa e sulla sua crescita sembra scomparso dall'agenda politica. Eppure esso appare sempre più urgente, anche alla luce della nuova recessione che sembra incombere sull'intero Paese.

 di Franco Garufi

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