Fondi Ue insufficienti per la ripresa economica al Sud

Economia | 4 gennaio 2019
Condividi su WhatsApp Twitter

Il CNEL,  sopravvissuto e rinsanguato grazie alla bocciatura del referendum costituzionale del 4 dicembre 2017 che ne aveva proposto l'abolizione, torna a costruirsi uno spazio pubblico intervenendo sul prossimo ciclo di programmazione dei fondi strutturali europei che ufficialmente interesserà  il settennio 2020-2027, ma in realtà estenderà la sua azione fino al 2030 in conseguenza del meccanismo N+3. La prima osservazione contenuta nel documento di Villa Lubin consente di capire la criticità della condizione del Mezzogiorno italiano.

 Nel periodo 2014-2020 i fondi europei hanno rappresentato i due terzi degli investimenti pubblici e privati nel Meridione mentre hanno pesato appena per il 12% nel resto del paese. Questo dato testimonia il costante arretramento della spesa pubblica nazionale che è scesa cumulativamente del 7,1% nel Sud tra il 2008 e il 2017 mentre è aumentata dello 0,5% nelle altre aree d'Italia. Insomma la spesa europea, che per sua natura avrebbe dovuto essere aggiuntiva, ha invece sostituito quella nazionale che è  diminuita addirittura rispetto alla percentuale di popolazione residente nel Sud: il 34, 5 di residenti, a fronte di circa il 29% di investimenti pubblici . 

Dati negativi che sono confermati dalla Relazione annuale 2018 dei Conti pubblici territoriali che evidenziano come nel 2016 la spesa del settore pubblico allargato si sia contratta nel Mezzogiorno da 15.718 a 14.988 euro pro capite (-4,6% nel Sud rispetto all'anno precedente) e solo da 12.351 a 12.033 euro pro capite nel Centro Nord (-2,6%). Per il 2017 le stime registrano una diminuzione della spesa d'investimento della pubblica amministrazione sia nel Mezzogiorno (-10%) che nel Centro Nord (-8,4%), risultato di una caduta sia degli investimenti che dei trasferimenti in conto capitale. In una parola, negli ultimi anni si è prodotto un trasferimento di risorse dal Sud al Nord del paese che le proposte in discussione sull'autonomia regionale differenziata rischiano di incrementare ulteriormente. Altra notazione importante riguarda la riflessione sugli elementi di criticità del sistema paese Italia rispetto all'utilizzo dei fondi: si evidenzia una persistente difficoltà italiana, a differenza per esempio di paesi come la Polonia, ad utilizzare pienamente le risorse europee. Si tratta in gran parte di ragionamenti noti, ma può essere utile ritornarci alla luce della vicenda dei target di fine anno 2018 di cui i media hanno parlato anche in seguito alle recenti dichiarazioni del presidente della Regione siciliana on. Nello Musumeci. 

L'Agenzia della Coesione ha pubblicato il 2 gennaio i dati sulla certificazione delle spese sostenute e sulle domande di rimborso alla Commissione Europea. A livello nazionale la spesa sostenuta e certificata alla Commissione è pari a 9 miliardi e 748 milioni di euro. La Sicilia ha certificato per il FESR 719.050.487 euro presentando all'UE domande di pagamento per euro 574.921.380 , mentre per il FSE ha certificato 118.003.852 euro a fronte di una domanda di pagamenti pari a 88.502.889. Dal punto di vista della messa in sicurezza delle risorse si può essere certamente soddisfatti, meno invece sul terreno della qualità e dell'efficacia della spesa. In particolare si è operato un abbattimento del cofinanziamento nazionale del POR FESR pari a oltre 284 milioni di euro che ha consentito una riduzione del target di circa 45 milioni di euro e sono stati utilizzati una serie di accorgimenti tecnici previsti dalla normativa comunitaria allo scopo di non incappare nelle sanzioni di Bruxelles, ma che tuttavia non realizzano alcun passo avanti sul terreno della qualità e dell'efficacia della spesa. 

L'inquilino di palazzo d'Orleans fa il suo mestiere quando si dichiara soddisfatto del fatto che l'isola ha raggiunto il target di spesa utile ad evitare il disimpegno di risorse ma dovrebbe anche aver l'onestà di rivelare che ciò è stato ottenuto inserendo nella rendicontazione i cosiddetti progetti coerenti già finanziati su altri fondi nazionali d'investimento. In particolare, come si può verificare dalla nota prot. 14716 del Dipartimento della programmazione del 18 settembre 2018 ciò è stato reso possibile attraverso “l'inserimento nel testo del paragrafo 2.A.6.4 (del POR FESR n.d.r) nell'ambito della priorità di intervento 7.B del riferimento al grande progetto Itinerario Agrigento-Caltanissetta . Adeguamento a 4 corsie della SS 640 di Porto Empedocle – secondo tratto fino al Km 74+300” ed ancora dall'“Eliminazione di un refuso nell'ambito della priorità d'investimento 4 relativo alla fasizzazione del grande progetto “Raddoppio ferroviario Palermo-Carini”- tratta B Notarbartolo /EMS La Malfa “ che non risulta suddiviso in fasi”. Vale la pena di ripetere che si tratta di marchingegni rinvenibili nelle pieghe della complessa normativa comunitaria e che il sedicente “governo del cambiamento” ha utilizzato a man bassa per raggiungere i target di spesa previsti per la fine del 2018. Sempre di escamotage tuttavia si tratta , mentre la spesa vera , quella che potrebbe produrre effetti a favore dei cittadini e delle imprese resta sostanzialmente ferma al palo.

 Per tali ragioni mi permetto di suggerire al presidente della Regione, conclusi i rituali messaggi auto-congratulanti, di rimettere mano ad un percorso di confronto e concertazione con i cosiddetti stakeholders, cioè l'insieme delle organizzazioni del partenariato economico e sociale allo scopo di segnare una vera svolta nella maniera in cui la Sicilia intende finalmente mettere in campo risorse ed idee di sviluppo sostenibile. 

 di Franco Garufi

Ultimi articoli

« Articoli precedenti