Fili del destino che incrociano i sogni di Palermo
Se n’è andato Antonio Maria Di Fresco, giornalista, scrittore. Soprattutto un caro Se n’è andato Antonio Maria Di Fresco, giornalista, scrittore. Soprattutto un caro amico con cui ho condiviso lunghe ore di conversazione: “del più e del meno”, come diceva lui. Poi la chiacchierata, sistematicamente, si chiudeva con il mio “ci andiamo sentendo, Antonio”. E con il suo dito puntato: “Perifrastica attiva”. Desidero ricordarlo con il pezzo che scrissi nel 2001, di recensione del suo "Abbecedario palermitano". Fu pubblicato in un giornale on line che anch’esso, adesso, non esiste più.
ARISTOCRATICI DESTRIERI, SUPERBE FIERE
E FILI DI DESTINO CHE INCROCIANO I SOGNI DI PALERMO
Antonio Maria Di Fresco e la personalissima lettura della sua città, alla ricerca di incanti che «sono luoghi, suoni, profumi, atmosfere» È mezzanotte. Per i più, l’ora in cui le fatiche del giorno sono un ricordo che si disperde all’orizzonte. Ma per Palermo, città dei Withaker e dei Florio, di templi muti e blasonati mercati popolari, è anche il momento d’un singolare appuntamento: quello tra i Cavalli del Politeama e i leoni che stanno a guardia dell’austero Teatro Massimo. Aristocratici destrieri e superbe fiere, che con l’ausilio della notte si trasformano in silenziosi compagni di bravate. Dominatori solitari delle ombre cittadine. È così che il giornalista e poeta Antonio Maria Di Fresco, in una delle pagine più belle di Abbecedario palermitano (Helix Media Editore, Lire 19.000), racconta dei novelli pegaso che mentre volano sui sogni di Palermo «nitriscono alle stelle simulando ninne nanne per chi dorme».
Accolti dal «sommesso ruggito», puntualizza, che i palermitani re della foresta riservano agli amici, che a un certo punto decidono persino di caricarli in sella. Ma la città, narra Di Fresco nel suo libretto, dato alle stampe a ridosso di Natale, è anche qualcos’altro. È ad esempio la patria di quel «trionfo di gola» che è la superba Cassata siciliana. Ed è pure il luogo in cui «fili di destino» muovono, al ritmo imposto dalle durlindane, storie di pupi cantate con voce che «è una e molteplice, doppia i personaggi, sviluppa un cuntu che intriga il cuore e fa sgranare gli occhi». Sono ventisette le immagini che ispirano Di Fresco. Ventisette voci (da Anice a Zagara), per ventuno lettere: tante quanto sono le piccole protagoniste dell’alfabeto, cui l’autore affida la sua personalissima lettura di Palermo.
Alla ricerca, fa sapere, dei suoi incanti, che «sono luoghi, suoni, profumi, atmosfere». Ne scaturisce un caleidoscopio di sensazioni e colori, ora nitidi ora sfocati ora dirompenti ora annegati nei ricordi. E anche negli irresistibili «odori zuccherati» che si sprigionano da Bar e pasticcerie disseminati in ogni angolo di strade e piazze. E così pure nel caso delle Caldarroste e in quello delle Vampe; quando si sofferma sulla Conca d’oro o richiama alla memoria le Edicole votive, il canto di Di Fresco è una sorta di lirico amarcord: una testimonianza d’amore che col pretesto dell’alfabeto ripercorre per flash la galleria dell’esistenza del poeta. Che a tratti riemerge come cronista (come quando racconta dei pellegrinaggi a Santa Rosalia). A tratti incede alla ricostruzione (come quando si sofferma sulla storia della Fiera del Mediterraneo). A tratti si concede alla descrizione del costume (in Lattarini, la Carnaby street di Palermo).
Ma è sempre, alla fine, sopraffatto dalla nostalgia e dall’urgenza di partecipare e rievocare. Ecco allora perché Di Fresco, palermitano che da parecchi anni vive a Roma, sente il bisogno di riandare a Borges. E cita, da ‘Fervore di Buenos Aires’: «… Questa città che credetti mio passato è il mio avvenire, il mio presente…». E Borges, osserva, era nato a Buenos Aires, in un quartiere chiamato Palermo… L’autore dell’Abbecedario, che ha 55 anni, ha firmato libri di poesia e saggistica. E pure testi teatrali. L’ultimo suo lavoro, L’ira del sole, un 9 di maggio (1998), scritto a quattro mani con Maria Fida Moro e prodotto dal Teatro Biondo Stabile di Palermo, è stato rappresentato a Taormina Arte, all’Eliseo di Roma, all’Arena del Sole di Bologna e al Parlamento europeo. La sede di Bruxelles, con l’occasione, ha ospitato per la prima volta un evento teatrale.
Umberto Ginestra Palermo, 26 febbraio 2001 www.dionysosmagazine.com amico con cui ho condiviso lunghe ore di conversazione: “del più e del meno”, come diceva lui. Poi la chiacchierata, sistematicamente, si chiudeva con il mio “ci andiamo sentendo, Antonio”. E con il suo dito puntato: “Perifrastica attiva”. Desidero ricordarlo con il pezzo che scrissi nel 2001, di recensione del suo "Abbecedario palermitano". Fu pubblicato in un giornale on line che anch’esso, adesso, non esiste più. ARISTOCRATICI DESTRIERI, SUPERBE FIERE E FILI DI DESTINO CHE INCROCIANO I SOGNI DI PALERMO Antonio Maria Di Fresco e la personalissima lettura della sua città, alla ricerca di incanti che «sono luoghi, suoni, profumi, atmosfere» È mezzanotte. Per i più, l’ora in cui le fatiche del giorno sono un ricordo che si disperde all’orizzonte. Ma per Palermo, città dei Withaker e dei Florio, di templi muti e blasonati mercati popolari, è anche il momento d’un singolare appuntamento: quello tra i Cavalli del Politeama e i leoni che stanno a guardia dell’austero Teatro Massimo. Aristocratici destrieri e superbe fiere, che con l’ausilio della notte si trasformano in silenziosi compagni di bravate.
Dominatori solitari delle ombre cittadine. È così che il giornalista e poeta Antonio Maria Di Fresco, in una delle pagine più belle di Abbecedario palermitano (Helix Media Editore, Lire 19.000), racconta dei novelli pegaso che mentre volano sui sogni di Palermo «nitriscono alle stelle simulando ninne nanne per chi dorme». Accolti dal «sommesso ruggito», puntualizza, che i palermitani re della foresta riservano agli amici, che a un certo punto decidono persino di caricarli in sella. Ma la città, narra Di Fresco nel suo libretto, dato alle stampe a ridosso di Natale, è anche qualcos’altro. È ad esempio la patria di quel «trionfo di gola» che è la superba Cassata siciliana. Ed è pure il luogo in cui «fili di destino» muovono, al ritmo imposto dalle durlindane, storie di pupi cantate con voce che «è una e molteplice, doppia i personaggi, sviluppa un cuntu che intriga il cuore e fa sgranare gli occhi». Sono ventisette le immagini che ispirano Di Fresco. Ventisette voci (da Anice a Zagara), per ventuno lettere: tante quanto sono le piccole protagoniste dell’alfabeto, cui l’autore affida la sua personalissima lettura di Palermo. Alla ricerca, fa sapere, dei suoi incanti, che «sono luoghi, suoni, profumi, atmosfere». Ne scaturisce un caleidoscopio di sensazioni e colori, ora nitidi ora sfocati ora dirompenti ora annegati nei ricordi. E anche negli irresistibili «odori zuccherati» che si sprigionano da Bar e pasticcerie disseminati in ogni angolo di strade e piazze.
E così pure nel caso delle Caldarroste e in quello delle Vampe; quando si sofferma sulla Conca d’oro o richiama alla memoria le Edicole votive, il canto di Di Fresco è una sorta di lirico amarcord: una testimonianza d’amore che col pretesto dell’alfabeto ripercorre per flash la galleria dell’esistenza del poeta. Che a tratti riemerge come cronista (come quando racconta dei pellegrinaggi a Santa Rosalia). A tratti incede alla ricostruzione (come quando si sofferma sulla storia della Fiera del Mediterraneo). A tratti si concede alla descrizione del costume (in Lattarini, la Carnaby street di Palermo). Ma è sempre, alla fine, sopraffatto dalla nostalgia e dall’urgenza di partecipare e rievocare. Ecco allora perché Di Fresco, palermitano che da parecchi anni vive a Roma, sente il bisogno di riandare a Borges. E cita, da ‘Fervore di Buenos Aires’: «… Questa città che credetti mio passato è il mio avvenire, il mio presente…». E Borges, osserva, era nato a Buenos Aires, in un quartiere chiamato Palermo… L’autore dell’Abbecedario, che ha 55 anni, ha firmato libri di poesia e saggistica. E pure testi teatrali.
L’ultimo suo lavoro, L’ira del sole, un 9 di maggio (1998), scritto a quattro mani con Maria Fida Moro e prodotto dal Teatro Biondo Stabile di Palermo, è stato rappresentato a Taormina Arte, all’Eliseo di Roma, all’Arena del Sole di Bologna e al Parlamento europeo. La sede di Bruxelles, con l’occasione, ha ospitato per la prima volta un evento teatrale.
Umberto Ginestra
Palermo, 26 febbraio 2001
www.dionysosmagazine.com
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