Fase 2, gli interessi delle mafie nella ricostruzione
Quale sarà il ruolo delle organizzazioni criminali nella crisi economico-sociale che ci attende? Ne abbiamo parlato con Rocco Sciarrone, docente di Sociologia della criminalità organizzata a UniTo
In questi giorni di graduale ripresa delle attività produttive e commerciali si parla molto del ruolo delle mafie nella gestione della crisi economica. Il rischio di infiltrazioni mafiose in questa fase è concreto, per fare chiarezza su questa delicata questione abbiamo contattato telefonicamente Rocco Sciarrone, docente di Sociologia della criminalità organizzata al Dipartimento di Culture, Politica e Società dell’Università di Torino.
Professor Sciarrone, perché si parla molto di mafie nel dibattito pubblico sulla gestione della crisi economico-sociale post emergenza?
Si
parla di mafie perché le mafie storicamente sono sempre state molto
presenti e attive nelle emergenze, in occasione di terremoti,
catastrofi e in tutte le situazioni di crisi. Quando c’è una
sospensione dell’ordine sociale le mafie sono in grado di inserirsi
in queste situazioni e di trarne profitto. D’altra parte le stesse
mafie nel nostro paese sono sempre state affrontate come un problema
di emergenza. Questo è un aspetto paradossale: discutiamo di mafie
nell'emergenza, ma continuiamo a vedere le mafie – e lo abbiamo
fatto per lungo tempo – ancora come un’emergenza, e non come una
presenza purtroppo strutturale del nostro sistema economico e
politico. Ritengo quindi sia molto opportuno riflettere – in questo
periodo difficile – sul rischio mafia, tenendo presente che le
mafie non sono semplici organizzazioni criminali ma sono soggetti che
concorrono a costruire un determinato ordine sociale, influenzando
pesantemente il funzionamento dell’economia, della politica e delle
istituzioni. Le mafie offrono servizi, innanzitutto servizi di
protezione e di intermediazione, e hanno la pretesa di svolgere
funzioni di ordine sociale.
La crisi che abbiamo davanti è una
crisi senza precedenti, non ha paragoni con la crisi finanziaria del
2007-2008 che pure è stata, come sappiamo, devastante dal punto di
vista economico. Non hanno precedenti neanche le misure che il
governo sta mettendo in atto, in termini anche di risorse finanziarie
che saranno immesse nel sistema economico-produttivo. L’allarme
sulle mafie in questa situazione è stato lanciato per primo da
Roberto Saviano e poi ripreso da molti magistrati antimafia, da
diversi procuratori, dal Procuratore nazionale antimafia Cafiero De
Raho, dal capo della Polizia Gabrielli e dalla Ministra dell’Interno
Lamorgese, anche con delle circolari specifiche indirizzate ai
prefetti.
Qualcuno ha detto che forse si fa troppo allarmismo.
Bisogna certamente evitare l’allarmismo perché può provocare
effetti perversi. Bisogna evitare ad esempio di immaginare la mafia
come un attore onnipotente, anzi dobbiamo ricordare che abbiamo un
apparato antimafia (in termini di strumenti e di risorse, anche
umane) molto forte ed efficiente. Bisogna però evitare anche di
sottovalutare il problema. Data la situazione in corso, che come
dicevo non ha precedenti, voglio perciò leggere in modo positivo il
forte richiamo al rischio mafia che è stato sollevato da diversi
osservatori, anche e soprattutto in ambito istituzionale. Più che un
allarme fine a se stesso, a me è parso un invito a non sottovalutare
questo rischio, a non farsi trovare impreparati come è accaduto
purtroppo spesso in passato. In questa ottica può essere visto come
un segnale positivo, un segnale di consapevolezza del rischio mafia,
da tenere presente quando si predispongono piani di intervento
straordinari, come sta accadendo adesso. D’altra parte, a quanto
pare il problema si è già manifestato nella fase dell’emergenza
sanitaria (si ha notizia infatti di inchieste giudiziarie in corso),
ma esso sarà ancora più grave nella fase successiva, in quella
della emergenza economica e sociale, nella fase della cosiddetta
“ricostruzione”.
In che modo la criminalità organizzata potrebbe approfittare di questa crisi?
Nel
dibattito pubblico quasi tutti gli osservatori sottolineano le
potenzialità strategiche delle mafie. Questa capacità strategica
non va assolutamente sottovalutata. Tuttavia, a mio modo di vedere,
il problema più grave non è rappresentato tanto dalla mafia, quanto
piuttosto dalle fragilità del nostro tessuto economico e dalle
fragilità dei nostri assetti istituzionali. Quello che voglio dire è
che c’è molta attenzione - e questa è una cosa di per sé
positiva - sulle mafie, ma secondo me bisognerebbe porre altrettanta
attenzione, se non di più, sul contesto di fragilità in cui le
mafie possono inserirsi, approfittando di questa situazione di crisi
e di emergenza. In modo sintetico, provo a fare degli esempi e a
indicare alcuni fattori che a mio parere sono rilevanti, su cui
dovremmo riflettere e che bisognerebbe approfondire. Il primo punto
problematico è dato dal fatto che nel nostro paese c’è un diffuso
tessuto di piccole e medie imprese, molte delle quali presentavano
già aspetti di debolezza economica, che adesso la crisi potrebbe
aggravare, rendendole più vulnerabili non solo rispetto alla
concorrenza di mercato, ma anche rispetto alle mafie. Un secondo
punto è l’esistenza, come sappiamo, di un ampio settore di
economia sommersa che spesso sconfina nell'economia illegale,
perpetuando così modi di “fare economia” ostili alle regole. Un
terzo punto è che nel nostro paese non abbiamo solo a che fare con
le mafie, ma dobbiamo fare i conti con una efficace e pervasiva
criminalità economica e dei colletti bianchi. Del resto, accanto
alla criminalità organizzata di tipo mafioso troviamo anche la
corruzione. Una corruzione sistemica e organizzata in cui sono attivi
non solo mafiosi ma anche imprenditori, liberi professionisti,
politici, funzionari pubblici, esponenti delle istituzioni. La
corruzione politico-amministrativa, molto radicata ed estesa, può
fare da anello di congiunzione con la criminalità organizzata e può
creare dei varchi proprio per l’ingresso dei gruppi mafiosi, come è
accaduto più volte negli ultimi anni.
E poi non dimentichiamoci
che una parte importante di operatori economici nel nostro paese, per
una serie di ragioni che adesso non ho il tempo qui di analizzare,
inseguono quella che in letteratura viene chiamata la “via bassa”
dello sviluppo: il guadagno facile, immediato e opportunistico per
fronteggiare le difficoltà economiche e le sfide della concorrenza.
Questa parte di operatori economici potrebbe avere forte incentivi
per rivolgersi alla mafia, vale a dire per ottenere i vantaggi che
derivano dall'essere alleati ai gruppi mafiosi. In altri termini, non
è solo la mafia che si muove strategicamente per cogliere le
opportunità dell’emergenza in corso, dobbiamo guardare anche ad
altri soggetti, politici ed economici, che possono rivolgersi alla
mafia per ottenere servizi e risorse finanziare da impiegare per
affrontare la situazione di crisi. Ad esempio, alcuni imprenditori
potrebbero intravedere nella mafia l’ultima possibilità per non
soccombere e cercare di stare sul mercato. L’esperienza storica,
anche recente, ci insegna che questa è una opzione che esercita una
forte attrazione su operatori economici in crisi, soprattutto se si
percepiscono “a fine corsa”.
Rispetto a queste problematiche
del sistema economico-produttivo ci sono poi una serie di fragilità
a livello di assetti istituzionali. Innanzitutto, una debole capacità
regolativa che tradizionalmente caratterizza la nostra politica
rispetto al funzionamento dell’economia. Questo è un punto molto
importante su cui bisognerebbe ragionare e che si accompagna a una
debole credenza nella legalità. Mi riferisco in particolare al fatto
che ci sia un’accettazione sociale di comportamenti opportunistici
e ai limiti della legalità, ampiamente tollerati, anche perché
spesso le norme sociali non contemplano per essi elevati costi
morali. Basti pensare al grossissimo problema dell’evasione e
dell’elusione fiscale, un problema di ampia portata e che
condiziona pesantemente il nostro sistema economico, con effetti
dirompenti per quanto riguarda sia i meccanismi di mercato sia quelli
di allocazione e ridistribuzione delle risorse pubbliche. Tutto
questo mostra che nel nostro paese c’è un problema strutturale di
lunga data che adesso può diventare davvero più acuto. È quello
che nelle mie ricerche ho indicato come processo di ibridazione e
confusione tra lecito e illecito. Questo vuol dire che il problema
non è solo e tanto la presenza di un’estesa area di illegalità,
quanto il fatto che legale e illegale sono spesso confusi,
sovrapposti e intrecciati, difficili da distinguere e separare. È la
problematica - se vogliamo usare un’espressione suggestiva -
dell’area grigia. Nel dibattito pubblico si parla di area grigia
facendo riferimento alla mafia; tuttavia, nell'area grigia i mafiosi
sono solo uno degli attori presenti, insieme a essi troviamo
imprenditori, amministratori, professionisti, ecc. All'interno
dell’area grigia i mafiosi offrono agli altri attori i loro servizi
di protezione e di intermediazione. Non bisogna poi dimenticare che
le mafie - e questo è uno degli elementi di maggior rischio e
pericolosità - dispongono di un’enorme liquidità che possono
offrire a imprese e operatori economici in difficoltà. Come dicevo,
il problema non è quindi soltanto la mafia in sé, quanto il fatto
che i confini tra il lecito e l’illecito sono opachi e porosi, e
possono diventarlo ancora di più in una situazione di crisi e di
emergenza come quella che stiamo attraversando. Quindi serve molta
attenzione non solo sulle mafie e sulle loro capacità strategiche,
ma anche e specialmente sulla problematica relativa all'area grigia,
sui processi di ibridazione fra legale e illegale grazie ai quali
prosperano diverse forme strutturate di criminalità – economica,
politica, mafiosa – sempre più tra loro interconnesse.
Può spiegarci brevemente quali sono i settori più a rischio?
I settori più a rischio sono quelli più esposti alla concorrenza ma anche quelli più legati al territorio. E in più anche quelli maggiormente sottoposti a regolazione pubblica. Per fare degli esempi significativi, possiamo citare l’edilizia e la ristorazione, tutti i settori legati al turismo, compreso quello alberghiero, e poi anche i servizi alle imprese, i settori dei trasporti e della logistica, della distribuzione commerciale e della gestione dei rifiuti. Questi sono quelli, se vogliamo, più esposti e più vulnerabili ai condizionamenti mafiosi, insieme naturalmente a tanti altri. I rischi maggiori riguardano la presenza nell'economia legale o formalmente legale, ma passata la fase dell’emergenza sanitaria alcuni gruppi mafiosi potranno tornare a essere fortemente competitivi anche nei mercati illeciti, in particolare in quelli delle droghe, che per effetto della crisi potrebbero persino diventare più remunerativi di prima. La crisi esercita ovviamente i suoi effetti anche sui traffici illegali: può provocare una contrazione nella prima fase, ma favorire poi assetti oligopolistici, che avvantaggiano i gruppi criminali più strutturati e più forti sul piano finanziario, tra i quali troviamo certamente alcuni clan mafiosi italiani.
Come si potrebbe evitare tutto questo?
Il
problema, come abbiamo visto, è complesso, non c’è un unico
intervento da fare ma serve un piano integrato di azioni.
Innanzitutto aiutare i lavoratori e le imprese sane, questo è
fondamentale, può essere banale dirlo ma è davvero molto
importante. Poi - per rispondere in modo sintetico - incentivare la
trasparenza, i controlli e la responsabilità. Sarebbero importanti
attività non solo di tipo repressivo ma anche di tipo preventivo.
Nel nostro paese c’è un grosso problema che è stato sottolineato
anche da altri osservatori: bisogna trovare un equilibrio tra i
controlli e la semplificazione delle procedure. Semplificare le
procedure è molto importante data la fase di emergenza. Questa
attività di semplificazione dovrebbe riguardare indubbiamente le
amministrazioni pubbliche ma non solo. Penso, ad esempio, anche alle
procedure messe in campo dagli istituti di credito per erogare i
finanziamenti, anche in questo caso sarebbe necessaria una
semplificazione e una diretta assunzione di responsabilità. Non è
facile trovare un equilibrio efficace ed efficiente tra controllo e
semplificazione per gestire il rischio mafia. È questa una delle
sfide più rilevanti da affrontare. Le misure di contrasto possono
avere un impatto molto forte sul funzionamento dell’economia,
servono quindi strumenti differenziati: si devono mettere in campo
modelli di intervento diversi, sia ex ante, di tipo preventivo, sia
ex post, di tipo repressivo. Si dovrebbe ragionare su questi modelli,
selezionando o combinando, a seconda dei casi, interventi di
responsabilizzazione degli attori economici e interventi di tipo
prescrittivo-punitivo. In ogni caso, a mio modo di vedere, è
importante lasciare maggiore spazio a meccanismi di prevenzione, ad
esempio predisponendo la tracciabilità dei finanziamenti erogati e
il monitoraggio di imprese e attività economiche incrociando le
tante banche dati esistenti. Sarebbe poi fondamentale rafforzare
l’Autorità Nazionale Anticorruzione. Ricordiamoci che a oggi non è
ancora stato nominato da parte del governo il nuovo presidente
dell’ANAC, a diversi mesi di distanza dalle dimissioni di
Cantone.
Più in generale, sarebbe utile avere uno sguardo lungo,
non affrontare il rischio mafia in modo emergenziale: come dicevo,
semplificare e sburocratizzare le procedure senza però far venire
meno i controlli, anzi rendendoli più rapidi e più efficaci. Quindi
incentivare il cambiamento e l’innovazione non solo nella pubblica
amministrazione ma anche – ed è importante dirlo – nel mondo
delle imprese.
Un’altra questione di cui si dibatte molto in questi giorni è quella della scarcerazione dei boss. Qual è il suo punto di vista?
Questa
è una questione molto significativa perché nasce nell'emergenza e
rivela nello specifico come sia stata gestita male, generando
paradossalmente altra emergenza. Spesso, infatti, le emergenze si
cumulano e si amplificano a vicenda. Nel caso in questione abbiamo
l’emergenza sanitaria del Coronavirus che in realtà accresce ed
esalta un’altra emergenza, preesistente e di lunga data. Come è
noto, il sistema penitenziario nel nostro paese è in emergenza da
moltissimo tempo e poco si è fatto in passato per affrontare i gravi
problemi che riguardano le carceri e, più in generale, le condizioni
di esecuzione della pena. Questo è il primo punto da tenere presente
se non vogliamo parlare sull'onda dell’emotività.
Il secondo
punto: prima ancora della scarcerazione dei boss, la cosa che a me
impressiona è che, all'inizio di questa vicenda, nelle rivolte che
ci sono state negli istituti di pena, sono morti 13 detenuti. Questo
non bisogna dimenticarlo, è una cosa gravissima. Molto più grave
della stessa scarcerazione dei boss. Una notizia che è stata messa
ai margini della cronaca. Tutta questa situazione è stata gestita
male, ma a mio parere l’indicatore più grave – gravissimo – è
dato dalla morte di ben 13 persone.
È sullo sfondo di questa
triste vicenda che prende forma la questione dei detenuti per reati
di mafia. Molto si è detto e si è scritto, resta ancora parecchio
da chiarire. Pochissimi i detenuti scarcerati che erano in regime di
41bis, più numerosi quelli in regime cosiddetto di alta sicurezza.
Non abbiamo qui il tempo per approfondire la questione, quindi mi
limito a sottolineare alcuni aspetti politici forse poco tematizzati
nel dibattito pubblico. A mio modo di vedere, la polemica tra il
magistrato Di Matteo e il Ministro della Giustizia Bonafede rivela
tensioni e contraddizioni che in realtà covano da tempo dietro il
fronte apparentemente unanime della lotta alla mafia. La lotta alla
mafia registra infatti un larghissimo consenso sul piano delle azioni
di tipo simbolico ed espressivo. A questo livello tutti si dicono
ovviamente contro la mafia! Se si passa però al livello della
politica, e quindi si prendono in esame le politiche da mettere in
atto e gli interventi concreti, emergono opinioni e visioni molto
contrastanti. Controversie ricorrenti riguardano il confronto tra
politici e magistrati, ma divergenze significative sono presenti
anche all'interno della stessa magistratura. Di tutto questo c’è
tuttavia poca traccia nel dibattito pubblico: quasi mai la
discussione riguarda opzioni politiche e valoriali, ovvero diverse
idee e modalità di intendere la lotta alla mafia. Raramente questo
accade, prevale piuttosto una logica di posizionamento finalizzata
spesso a espliciti giochi di potere. Da questo punto di vista, la
vicenda Di Matteo-Bonafede è molto emblematica, investendo peraltro
alti livelli istituzionali. In sintesi, troviamo la lotta alla mafia
concepita come posta in gioco simbolica e politica, che quindi
inevitabilmente concerne assetti ed equilibri di potere. Ad esempio,
rispetto alla polemica in corso, un punto che – a mio parere –
non è stato sufficientemente sottolineato riguarda la figura
delicata del capo del Dipartimento dell’Amministrazione
Penitenziaria, del DAP, un posto di tutto rilievo. Di rilievo
innanzitutto politico: basti pensare che è equiparato – anche per
quanto riguarda la remunerazione – a quello del capo della Polizia,
a quello del Comandante generale dell’Arma dei Carabinieri, al
Comandante generale della Guardia di Finanza. Chi sta a capo del DAP
è membro effettivo del Comitato nazionale per l’ordine e la
sicurezza pubblica, stiamo parlando quindi di un ruolo apicale di
grande responsabilità politica. Questo per dire che la posta in
gioco di tutta questa polemica è variegata e investe in modo pesante
gli assetti istituzionali, e un certo modo di intendere la lotta alla
mafia e di praticarla. Su questo sarebbe auspicabile un dibattito
meno emotivo, al tempo stesso più composto e più approfondito.
Soprattutto sarebbe necessario e urgente ripoliticizzare la questione
della mafia, considerarla cioè una questione politica e non un mero
problema di ordine pubblico. Ed è proprio in quanto questione
politica che essa costituisce un rischio serio per i tempi difficili
che ci attendono. (#unitohomecommunity)
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