Fase 2, gli interessi delle mafie nella ricostruzione

Società | 14 maggio 2020
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Quale sarà il ruolo delle organizzazioni criminali nella crisi economico-sociale che ci attende? Ne abbiamo parlato con Rocco Sciarrone, docente di Sociologia della criminalità organizzata a UniTo

In questi giorni di graduale ripresa delle attività produttive e commerciali si parla molto del ruolo delle mafie nella gestione della crisi economica. Il rischio di infiltrazioni mafiose in questa fase è concreto, per fare chiarezza su questa delicata questione abbiamo contattato telefonicamente Rocco Sciarrone, docente di Sociologia della criminalità organizzata al Dipartimento di Culture, Politica e Società dell’Università di Torino.

Professor Sciarrone, perché si parla molto di mafie nel dibattito pubblico sulla gestione della crisi economico-sociale post emergenza?

Si parla di mafie perché le mafie storicamente sono sempre state molto presenti e attive nelle emergenze, in occasione di terremoti, catastrofi e in tutte le situazioni di crisi. Quando c’è una sospensione dell’ordine sociale le mafie sono in grado di inserirsi in queste situazioni e di trarne profitto. D’altra parte le stesse mafie nel nostro paese sono sempre state affrontate come un problema di emergenza. Questo è un aspetto paradossale: discutiamo di mafie nell'emergenza, ma continuiamo a vedere le mafie – e lo abbiamo fatto per lungo tempo – ancora come un’emergenza, e non come una presenza purtroppo strutturale del nostro sistema economico e politico. Ritengo quindi sia molto opportuno riflettere – in questo periodo difficile – sul rischio mafia, tenendo presente che le mafie non sono semplici organizzazioni criminali ma sono soggetti che concorrono a costruire un determinato ordine sociale, influenzando pesantemente il funzionamento dell’economia, della politica e delle istituzioni. Le mafie offrono servizi, innanzitutto servizi di protezione e di intermediazione, e hanno la pretesa di svolgere funzioni di ordine sociale.
La crisi che abbiamo davanti è una crisi senza precedenti, non ha paragoni con la crisi finanziaria del 2007-2008 che pure è stata, come sappiamo, devastante dal punto di vista economico. Non hanno precedenti neanche le misure che il governo sta mettendo in atto, in termini anche di risorse finanziarie che saranno immesse nel sistema economico-produttivo. L’allarme sulle mafie in questa situazione è stato lanciato per primo da Roberto Saviano e poi ripreso da molti magistrati antimafia, da diversi procuratori, dal Procuratore nazionale antimafia Cafiero De Raho, dal capo della Polizia Gabrielli e dalla Ministra dell’Interno Lamorgese, anche con delle circolari specifiche indirizzate ai prefetti.
Qualcuno ha detto che forse si fa troppo allarmismo. Bisogna certamente evitare l’allarmismo perché può provocare effetti perversi. Bisogna evitare ad esempio di immaginare la mafia come un attore onnipotente, anzi dobbiamo ricordare che abbiamo un apparato antimafia (in termini di strumenti e di risorse, anche umane) molto forte ed efficiente. Bisogna però evitare anche di sottovalutare il problema. Data la situazione in corso, che come dicevo non ha precedenti, voglio perciò leggere in modo positivo il forte richiamo al rischio mafia che è stato sollevato da diversi osservatori, anche e soprattutto in ambito istituzionale. Più che un allarme fine a se stesso, a me è parso un invito a non sottovalutare questo rischio, a non farsi trovare impreparati come è accaduto purtroppo spesso in passato. In questa ottica può essere visto come un segnale positivo, un segnale di consapevolezza del rischio mafia, da tenere presente quando si predispongono piani di intervento straordinari, come sta accadendo adesso. D’altra parte, a quanto pare il problema si è già manifestato nella fase dell’emergenza sanitaria (si ha notizia infatti di inchieste giudiziarie in corso), ma esso sarà ancora più grave nella fase successiva, in quella della emergenza economica e sociale, nella fase della cosiddetta “ricostruzione”.

In che modo la criminalità organizzata potrebbe approfittare di questa crisi?

Nel dibattito pubblico quasi tutti gli osservatori sottolineano le potenzialità strategiche delle mafie. Questa capacità strategica non va assolutamente sottovalutata. Tuttavia, a mio modo di vedere, il problema più grave non è rappresentato tanto dalla mafia, quanto piuttosto dalle fragilità del nostro tessuto economico e dalle fragilità dei nostri assetti istituzionali. Quello che voglio dire è che c’è molta attenzione - e questa è una cosa di per sé positiva - sulle mafie, ma secondo me bisognerebbe porre altrettanta attenzione, se non di più, sul contesto di fragilità in cui le mafie possono inserirsi, approfittando di questa situazione di crisi e di emergenza. In modo sintetico, provo a fare degli esempi e a indicare alcuni fattori che a mio parere sono rilevanti, su cui dovremmo riflettere e che bisognerebbe approfondire. Il primo punto problematico è dato dal fatto che nel nostro paese c’è un diffuso tessuto di piccole e medie imprese, molte delle quali presentavano già aspetti di debolezza economica, che adesso la crisi potrebbe aggravare, rendendole più vulnerabili non solo rispetto alla concorrenza di mercato, ma anche rispetto alle mafie. Un secondo punto è l’esistenza, come sappiamo, di un ampio settore di economia sommersa che spesso sconfina nell'economia illegale, perpetuando così modi di “fare economia” ostili alle regole. Un terzo punto è che nel nostro paese non abbiamo solo a che fare con le mafie, ma dobbiamo fare i conti con una efficace e pervasiva criminalità economica e dei colletti bianchi. Del resto, accanto alla criminalità organizzata di tipo mafioso troviamo anche la corruzione. Una corruzione sistemica e organizzata in cui sono attivi non solo mafiosi ma anche imprenditori, liberi professionisti, politici, funzionari pubblici, esponenti delle istituzioni. La corruzione politico-amministrativa, molto radicata ed estesa, può fare da anello di congiunzione con la criminalità organizzata e può creare dei varchi proprio per l’ingresso dei gruppi mafiosi, come è accaduto più volte negli ultimi anni.
E poi non dimentichiamoci che una parte importante di operatori economici nel nostro paese, per una serie di ragioni che adesso non ho il tempo qui di analizzare, inseguono quella che in letteratura viene chiamata la “via bassa” dello sviluppo: il guadagno facile, immediato e opportunistico per fronteggiare le difficoltà economiche e le sfide della concorrenza. Questa parte di operatori economici potrebbe avere forte incentivi per rivolgersi alla mafia, vale a dire per ottenere i vantaggi che derivano dall'essere alleati ai gruppi mafiosi. In altri termini, non è solo la mafia che si muove strategicamente per cogliere le opportunità dell’emergenza in corso, dobbiamo guardare anche ad altri soggetti, politici ed economici, che possono rivolgersi alla mafia per ottenere servizi e risorse finanziare da impiegare per affrontare la situazione di crisi. Ad esempio, alcuni imprenditori potrebbero intravedere nella mafia l’ultima possibilità per non soccombere e cercare di stare sul mercato. L’esperienza storica, anche recente, ci insegna che questa è una opzione che esercita una forte attrazione su operatori economici in crisi, soprattutto se si percepiscono “a fine corsa”.
Rispetto a queste problematiche del sistema economico-produttivo ci sono poi una serie di fragilità a livello di assetti istituzionali. Innanzitutto, una debole capacità regolativa che tradizionalmente caratterizza la nostra politica rispetto al funzionamento dell’economia. Questo è un punto molto importante su cui bisognerebbe ragionare e che si accompagna a una debole credenza nella legalità. Mi riferisco in particolare al fatto che ci sia un’accettazione sociale di comportamenti opportunistici e ai limiti della legalità, ampiamente tollerati, anche perché spesso le norme sociali non contemplano per essi elevati costi morali. Basti pensare al grossissimo problema dell’evasione e dell’elusione fiscale, un problema di ampia portata e che condiziona pesantemente il nostro sistema economico, con effetti dirompenti per quanto riguarda sia i meccanismi di mercato sia quelli di allocazione e ridistribuzione delle risorse pubbliche. Tutto questo mostra che nel nostro paese c’è un problema strutturale di lunga data che adesso può diventare davvero più acuto. È quello che nelle mie ricerche ho indicato come processo di ibridazione e confusione tra lecito e illecito. Questo vuol dire che il problema non è solo e tanto la presenza di un’estesa area di illegalità, quanto il fatto che legale e illegale sono spesso confusi, sovrapposti e intrecciati, difficili da distinguere e separare. È la problematica - se vogliamo usare un’espressione suggestiva - dell’area grigia. Nel dibattito pubblico si parla di area grigia facendo riferimento alla mafia; tuttavia, nell'area grigia i mafiosi sono solo uno degli attori presenti, insieme a essi troviamo imprenditori, amministratori, professionisti, ecc. All'interno dell’area grigia i mafiosi offrono agli altri attori i loro servizi di protezione e di intermediazione. Non bisogna poi dimenticare che le mafie - e questo è uno degli elementi di maggior rischio e pericolosità - dispongono di un’enorme liquidità che possono offrire a imprese e operatori economici in difficoltà. Come dicevo, il problema non è quindi soltanto la mafia in sé, quanto il fatto che i confini tra il lecito e l’illecito sono opachi e porosi, e possono diventarlo ancora di più in una situazione di crisi e di emergenza come quella che stiamo attraversando. Quindi serve molta attenzione non solo sulle mafie e sulle loro capacità strategiche, ma anche e specialmente sulla problematica relativa all'area grigia, sui processi di ibridazione fra legale e illegale grazie ai quali prosperano diverse forme strutturate di criminalità – economica, politica, mafiosa – sempre più tra loro interconnesse.

Può spiegarci brevemente quali sono i settori più a rischio?

I settori più a rischio sono quelli più esposti alla concorrenza ma anche quelli più legati al territorio. E in più anche quelli maggiormente sottoposti a regolazione pubblica. Per fare degli esempi significativi, possiamo citare l’edilizia e la ristorazione, tutti i settori legati al turismo, compreso quello alberghiero, e poi anche i servizi alle imprese, i settori dei trasporti e della logistica, della distribuzione commerciale e della gestione dei rifiuti. Questi sono quelli, se vogliamo, più esposti e più vulnerabili ai condizionamenti mafiosi, insieme naturalmente a tanti altri. I rischi maggiori riguardano la presenza nell'economia legale o formalmente legale, ma passata la fase dell’emergenza sanitaria alcuni gruppi mafiosi potranno tornare a essere fortemente competitivi anche nei mercati illeciti, in particolare in quelli delle droghe, che per effetto della crisi potrebbero persino diventare più remunerativi di prima. La crisi esercita ovviamente i suoi effetti anche sui traffici illegali: può provocare una contrazione nella prima fase, ma favorire poi assetti oligopolistici, che avvantaggiano i gruppi criminali più strutturati e più forti sul piano finanziario, tra i quali troviamo certamente alcuni clan mafiosi italiani.

Come si potrebbe evitare tutto questo?


Il problema, come abbiamo visto, è complesso, non c’è un unico intervento da fare ma serve un piano integrato di azioni. Innanzitutto aiutare i lavoratori e le imprese sane, questo è fondamentale, può essere banale dirlo ma è davvero molto importante. Poi - per rispondere in modo sintetico - incentivare la trasparenza, i controlli e la responsabilità. Sarebbero importanti attività non solo di tipo repressivo ma anche di tipo preventivo. Nel nostro paese c’è un grosso problema che è stato sottolineato anche da altri osservatori: bisogna trovare un equilibrio tra i controlli e la semplificazione delle procedure. Semplificare le procedure è molto importante data la fase di emergenza. Questa attività di semplificazione dovrebbe riguardare indubbiamente le amministrazioni pubbliche ma non solo. Penso, ad esempio, anche alle procedure messe in campo dagli istituti di credito per erogare i finanziamenti, anche in questo caso sarebbe necessaria una semplificazione e una diretta assunzione di responsabilità. Non è facile trovare un equilibrio efficace ed efficiente tra controllo e semplificazione per gestire il rischio mafia. È questa una delle sfide più rilevanti da affrontare. Le misure di contrasto possono avere un impatto molto forte sul funzionamento dell’economia, servono quindi strumenti differenziati: si devono mettere in campo modelli di intervento diversi, sia ex ante, di tipo preventivo, sia ex post, di tipo repressivo. Si dovrebbe ragionare su questi modelli, selezionando o combinando, a seconda dei casi, interventi di responsabilizzazione degli attori economici e interventi di tipo prescrittivo-punitivo. In ogni caso, a mio modo di vedere, è importante lasciare maggiore spazio a meccanismi di prevenzione, ad esempio predisponendo la tracciabilità dei finanziamenti erogati e il monitoraggio di imprese e attività economiche incrociando le tante banche dati esistenti. Sarebbe poi fondamentale rafforzare l’Autorità Nazionale Anticorruzione. Ricordiamoci che a oggi non è ancora stato nominato da parte del governo il nuovo presidente dell’ANAC, a diversi mesi di distanza dalle dimissioni di Cantone.
Più in generale, sarebbe utile avere uno sguardo lungo, non affrontare il rischio mafia in modo emergenziale: come dicevo, semplificare e sburocratizzare le procedure senza però far venire meno i controlli, anzi rendendoli più rapidi e più efficaci. Quindi incentivare il cambiamento e l’innovazione non solo nella pubblica amministrazione ma anche – ed è importante dirlo – nel mondo delle imprese.

Un’altra questione di cui si dibatte molto in questi giorni è quella della scarcerazione dei boss. Qual è il suo punto di vista?

Questa è una questione molto significativa perché nasce nell'emergenza e rivela nello specifico come sia stata gestita male, generando paradossalmente altra emergenza. Spesso, infatti, le emergenze si cumulano e si amplificano a vicenda. Nel caso in questione abbiamo l’emergenza sanitaria del Coronavirus che in realtà accresce ed esalta un’altra emergenza, preesistente e di lunga data. Come è noto, il sistema penitenziario nel nostro paese è in emergenza da moltissimo tempo e poco si è fatto in passato per affrontare i gravi problemi che riguardano le carceri e, più in generale, le condizioni di esecuzione della pena. Questo è il primo punto da tenere presente se non vogliamo parlare sull'onda dell’emotività.
Il secondo punto: prima ancora della scarcerazione dei boss, la cosa che a me impressiona è che, all'inizio di questa vicenda, nelle rivolte che ci sono state negli istituti di pena, sono morti 13 detenuti. Questo non bisogna dimenticarlo, è una cosa gravissima. Molto più grave della stessa scarcerazione dei boss. Una notizia che è stata messa ai margini della cronaca. Tutta questa situazione è stata gestita male, ma a mio parere l’indicatore più grave – gravissimo – è dato dalla morte di ben 13 persone.
È sullo sfondo di questa triste vicenda che prende forma la questione dei detenuti per reati di mafia. Molto si è detto e si è scritto, resta ancora parecchio da chiarire. Pochissimi i detenuti scarcerati che erano in regime di 41bis, più numerosi quelli in regime cosiddetto di alta sicurezza. Non abbiamo qui il tempo per approfondire la questione, quindi mi limito a sottolineare alcuni aspetti politici forse poco tematizzati nel dibattito pubblico. A mio modo di vedere, la polemica tra il magistrato Di Matteo e il Ministro della Giustizia Bonafede rivela tensioni e contraddizioni che in realtà covano da tempo dietro il fronte apparentemente unanime della lotta alla mafia. La lotta alla mafia registra infatti un larghissimo consenso sul piano delle azioni di tipo simbolico ed espressivo. A questo livello tutti si dicono ovviamente contro la mafia! Se si passa però al livello della politica, e quindi si prendono in esame le politiche da mettere in atto e gli interventi concreti, emergono opinioni e visioni molto contrastanti. Controversie ricorrenti riguardano il confronto tra politici e magistrati, ma divergenze significative sono presenti anche all'interno della stessa magistratura. Di tutto questo c’è tuttavia poca traccia nel dibattito pubblico: quasi mai la discussione riguarda opzioni politiche e valoriali, ovvero diverse idee e modalità di intendere la lotta alla mafia. Raramente questo accade, prevale piuttosto una logica di posizionamento finalizzata spesso a espliciti giochi di potere. Da questo punto di vista, la vicenda Di Matteo-Bonafede è molto emblematica, investendo peraltro alti livelli istituzionali. In sintesi, troviamo la lotta alla mafia concepita come posta in gioco simbolica e politica, che quindi inevitabilmente concerne assetti ed equilibri di potere. Ad esempio, rispetto alla polemica in corso, un punto che – a mio parere – non è stato sufficientemente sottolineato riguarda la figura delicata del capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, del DAP, un posto di tutto rilievo. Di rilievo innanzitutto politico: basti pensare che è equiparato – anche per quanto riguarda la remunerazione – a quello del capo della Polizia, a quello del Comandante generale dell’Arma dei Carabinieri, al Comandante generale della Guardia di Finanza. Chi sta a capo del DAP è membro effettivo del Comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza pubblica, stiamo parlando quindi di un ruolo apicale di grande responsabilità politica. Questo per dire che la posta in gioco di tutta questa polemica è variegata e investe in modo pesante gli assetti istituzionali, e un certo modo di intendere la lotta alla mafia e di praticarla. Su questo sarebbe auspicabile un dibattito meno emotivo, al tempo stesso più composto e più approfondito. Soprattutto sarebbe necessario e urgente ripoliticizzare la questione della mafia, considerarla cioè una questione politica e non un mero problema di ordine pubblico. Ed è proprio in quanto questione politica che essa costituisce un rischio serio per i tempi difficili che ci attendono. (#unitohomecommunity)



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