Everett racconta tutte le donne di Zach Wells

Cultura | 1 settembre 2021
Condividi su WhatsApp Twitter

 Zack Wells ha un cognome che significa pozzi, cavità e non è  un caso, visto che è un geologo/paleobiologo a caccia  soprattutto di fossili preistorici, la cui catalogazione segna,  ritma le giornate della sua vita, e visto che davanti a momenti  di tensione drammatica finisce per scappare e rifugiarsi appunto  in un caverna del Grand Canyon, prima di finire nel deserto del  New Mexico.

 Nell’isolamento si riappropria di sé e trova la strada da  seguire, come affrontare i problemi non semplici con cui la vita  lo ha costretto all’improvviso a confrontarsi e trovare  soluzioni magari estreme, tragiche e personali, come nel caso  dell’amatissima figlia Sarah, bambina diventata ottima  giocatrice di scacchi e lo provoca, vincendolo costantemente.

 Questa un bel giorno ha una sorta di mancamento e altri curiosi  sintomi che finiranno per farle diagnosticare una malattia  genetica rara e degenerativa. Zack e la moglie Meg sanno quindi  che la figlia morirà e assistono ai mancamenti e le crisi che  aumentano più velocemente del previsto, finché questa non  riconoscerà più nessuno e nella sua totale assenza i genitori si  sentiranno costretti a ricoverarla in una casa di cura per  malati terminali.

 Il vero tema portante del romanzo è questa malattia e come la  vive Zach, mentre la sua vita continua, in casa, con la moglie e  all’università, con colleghi e studenti. Con Meg c'è uno  stringersi forte, abbracciarsi di disperata tenerezza e assieme  un sentirsi soli. Quanto all’università ecco l’impegno per far  aiutare nel lavoro la ricercatrice Hillary Gill, che però è  molto depressa e alla fine si suicida, o il sottrarsi ai  ripetuti e diretti tentativi di sedurlo della bella e giovane  studentessa Rachel, o il tenere a distanza studenti di colore,  come è lui, che gli chiedono di appoggiare una protesta per  l'uccisione di un ragazzo nero da parte della polizia.

 Il racconto di tutte le diverse donne della vita di Zach però  appare come una sorta di divagare, di affrontare altre storie,  di darci un quadro delle inquietudini e incertezze del  protagonista, col rischio che in alcuni momenti si perda la  coerenza e l’intima forza del racconto, che vive anche un’altra  vicenda sostanziale, anche se prima di quagliare viene a lungo  molto diluita. In una camicia che torna dalla lavanderia Zack  scopre un biglietto che in spagnolo chiede aiuto. Un bel giorno,  rimandando a lavarla, vi nasconde una risposta, ma solo quando  la curiosità e la voglia di allontanarsi lo spingeranno a fare  un’indagine personale la vicenda prenderà quota, contrapponendo  alla opprimente vicenda famigliare di morte una rischiosa storia  di salvezza di un gruppo di donne rese schiave dopo essere state  rapite a città Juarez, il celebre luogo in Messico dove le donne  spariscono di continuo.

 Un’impresa che può ridare un senso alla sua vita, ma solo nel  primo, netto finale, visto che Everett per questo romanzo, che  arriva dopo l’intenso e visionario «Quanto blu», ha deciso di  scrivere tre versioni con sostanziali avvenimenti diversi che  riguardano, in un altro caso, la storia della figlia e,  nell’ultimo, la fuga delle donne messicane. Il lettore scoprirà  solo leggendo quale versione ha acquistato, visto che l’editore,  come voluto dall’autore, le ha stampate senza pubblicare  indicazioni o dare alle copie diversi connotati. Sarà il lettore  poi a decidere se si tratta solo di un gioco superfluo, per  alleggerire una storia drammatica, o di un modo pleonastico per  sottolineare ancor più la casualità e imprevedibilità  dell’esistenza.


PERCIVAL EVERETT,  «TELEFONO» 

(LA  NAVE DI TESEO, pp. 286 - 22,00 euro 

Traduzione di Andrea  Silvestri




Ultimi articoli

« Articoli precedenti