Eternit, la morte non si prescrive
I giudici della Cassazione sono maestri di diritto. Sapranno quindi spiegare con maestria il percorso tecnico-giuridico che nel caso Eternit li ha portati ad azionare la mannaia della prescrizione. Cancellando con un sol colpo due sentenze di condanna, una del Tribunale e l' altra della Corte d' Appello di Torino (come si dice in gergo, una "doppia conforme"), condanne pronunciate sempre escludendo, esplicitamente, qualunque ipotesi di prescrizione.
In estrema (grossolana) sintesi, l' alternativa era fra due opzioni. Configurare il delitto di disastro ambientale come reato di pericolo cessato con la chiusura delle fabbriche (1986), ancorando a questo fatto la prescrizione. Oppure definire la fattispecie come reato a consumazione prolungata o permanente, considerato che anche dopo la chiusura delle fabbriche permangono gli effetti mortali dell' amianto in esse prodotto, tant' è vero che tali effetti si registrano ancora oggi e continueranno a prodursi in futuro.
I giudici della suprema Corte hanno scelto la prima via e sapranno motivare distillando elaborazioni dottrinali e ragionamenti tecnico-giuridici sofisticati, sostenuti da sapienti sillogismi. Roba da manuale. Ma sarà sempre un prodotto "in vitro". E rimarrà difficile, forse impossibile, liberarsi dalla sensazione che i supremi giudici abbiano deciso rimanendo esclusivamente nel perimetro delle "carte", considerate asetticamente e soppesate con criteri burocratico-formalistici. Senza poter percepire e tenere in conto anche la realtà concreta di vite spezzate o rovinate, di sofferenza e dolore che segna e caratterizza il caso Eternit.
Ricordo bene la lettura del dispositivo di condanna in tribunale. Una lettura
che di solito si esaurisce in un paio di minuti, mentre in quel caso ci vollero
circa tre ore, a causa dell' infinito elenco di persone offese.
TRE ORE in piedi per ascoltare una sequenza interminabile di nomi che da sola
testimoniava le eccezionali dimensioni del dramma che si stava giudicando.
Forse è proprio la mancanza di questo contatto, anche fisico, con la realtà che
ha indirizzato la Cassazione verso una decisione per la quale è legittimo
chiedersi se non valga il brocardo "summum jus, summa iniuria". Vale
a dire che anche l' interpretazione formalmente più corretta può essere
sbagliata sul piano sostanziale della giustizia.
Come già Marco Travaglio, voglio anch' io citare Vladimiro Zagrebelsky, secondo
cui alla nostra Cassazione è "mancata la capacità di affermare un diritto
che non oltraggia la giustizia… e ne soffrirà la fiducia dei cittadini nella
legge".
Perché, quale che sia la motivazione della Cassazione, è comunque difficile
accettare (capire!) come - per effetto di un' interpretazione in punto prescrizione
già respinta due volte dai giudici di merito - si sia, di fatto, potuta operare
la cancellazione di migliaia di morti di cancro e delle relative
responsabilità. Come se il calcolo del tempo trascorso fosse una specie di
"magia" capace di far sparire le peggiori tragedie. Ma il processo
non è "magia", anche se è vero che la parola della Cassazione, l'
ultima, per convenzione è quella "giusta" in quanto non appellabile.
Ma si tratta appunto di convenzione. Si dice che la sentenza ultima "facit
de albo nigrum", ma proprio per questo il diritto, il buon senso e la
giustizia debbono essere quanto più possibile intrecciati e non separati.
Infine, di colpo è tornato di attualità il tema della prescrizione. Siamo un
paese che ama la legislazione del giorno dopo, che interviene solo se qualcosa
di brutto lo sveglia o lo costringe, senza sapere elaborare progetti organici.
DELLA NECESSITÀ di cambiare le norme sulla prescrizione (che solo in Italia non
si interrompe mai) si discute da molto tempo. Senza però fare nulla, anche per
effetto - sembra - di veti partitici incrociati.
Finirla una buona volta con vuote promesse e passare ai fatti, sarebbe una degna maniera di onorare le vittime dell' Eternit. Attenzione nello stesso tempo a non confondere le acque parlando di prescrizione fuori luogo. Per esempio dimenticando che le due sentenze di condanna della magistratura torinese sono state pronunciate nell' arco di soli quattro anni: un tempo record per l' interminabile durata dei processi nel nostro Paese.
Vittime dell’amianto in Fincantieri, confermate le condanne
Confermate dalla IV Sezione Penale della Cassazione le condanne per omicidio colposo a carico di tre ex dirigenti della Fincantieri di Palermo per la morte di 37 operai a causa del tumore per l'amianto. Pene ridotte per alcune prescrizioni. Confermati risarcimenti a vittime, Inail e Fiom. In particolare la IV Sezione penale per prescrizione ha ridotto la condanna per Luciano Lemetti che passa da 4 anni e 2 mesi a 3 anni e 6 mesi, per Giuseppe Cortesi da 3 anni e 5 mesi a 3 anni e 1 mese, e Antonino Cipponeri da due anni e 8 mesi di reclusione a 2 anni, 7 mesi e 10 giorni. A quanto si è appreso si sarebbero prescritti gli omicidi colposi avvenuti tra il 1998 e il 2000. In sostanza esce confermato il verdetto emesso il 6 novembre 2012 dalla Corte di Appello di Palermo. In I grado sono stati liquidati dal giudice con provvisionali circa 5 mln di euro
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