Estorsioni, in Sicilia siamo tornati all'anno zero: Stato assente e imprenditori in fuga
Ecco l'audizione davanti alla Commissione regionale antimafia dell'avvocato Ettore Barcellona in rappresentanza del Centro Studi ed Iniziative Culturali Pio La Torre sul fenomeno delle estorsioni
E’ noto che il fenomeno estorsivo nel nostro territorio continua a registrare numeri preoccupanti. L’anno scorso a fronte di più di 200 casi evidenziati dalle indagini, si sono registrate denunzie che si possono contare sulle dita di una mano.
Neanche la pandemia e le criticità economiche conseguenti hanno rallentato il fenomeno se non, forse, un ribasso delle richieste, cosa che contribuisce, tra gli altri fattori, a disincentivare le denunzie.
Ma i motivi che determinano la sostanziale assenza di denunzie sono altri e risiedono, anche se non principalmente, in una generalizzata sfiducia nelle istituzioni.
In un panorama dell’agire mafioso che è sicuramente mutato rispetto agli anni passati nel senso di un’attività meno eclatante e, quindi, meno percepibile dalla generalità dell’opinione pubblica, si registra un preoccupante calo di interesse da parte delle istituzioni e, soprattutto, della politica.
Si è detto da più parti che la battaglia contro il racket è morale e culturale e non si deve parlare di “convenienza” della denunzia. Il che è sicuramente vero ma non bisogna perdere di vista che l’imprenditore o il commerciante che la subisce è abituato a ragionare in termini di costi-benefici, valutazione in cui la moralità, purtroppo, entra poco.
All’imprenditore che denunzia si deve prospettare una soluzione al problema efficace e rapida e che sia anche conveniente rispetto ad un limitato esborso periodico richiesto che lo mette “al riparo dai rischi”.
In un ottica di educazione alla legalità, noi del Centro svolgiamo un’attività che ha pochi eguali nel territorio nazionale attraverso i progetti educativi antimafia - che coinvolgono scuole università e anche istituti penitenziari - e le altre molteplici attività del Centro, caratterizzate principalmente da un approccio culturale educativo imprescindibile in una efficace opera di contrasto alle mafie.
Da anni, all’indomani di una operazione antimafia, contattiamo i Sindaci dei Comuni il cui territorio è interessato dai reati di mafia stimolando la Costituzione di parte civile dell’Ente locale e offrendo l’assistenza legale gratuita del Centro (v. per es. l’Operazione Black Cat che ha visto costituirsi parte civile con il Centro La Torre ben 24 Comuni del territorio madonita) e ciò nell’ottica che il primo segnale di contrasto ed estraneità alla mafia lo deve dare proprio l’amministrazione locale più vicina ai bisogni dei cittadini.
Tutto questo si scontra, però, con un sostanziale disinteresse politico al fenomeno: di mafia non si parla più nei programmi politici e vi sono tanti piccoli segnali che sembrano andare nel senso di uno smantellamento della legislazione antimafia (la più evoluta al mondo) anziché registrare interventi di adeguamento alle mutate condizioni del panorama economico mafioso.
Ma uno dei fattori determinanti riguardo l’assenza di denunzie e il netto calo delle istanze di accesso ai fondi di solidarietà previsti dalle leggi 512/99 e 44/99 - come si evince dalle relazioni dei commissari straordinari dei rispettivi comitati - insieme alla eccessiva durata dei processi, risiede nelle lungaggini burocratiche dell’accesso ai benefici previsti per le vittime.
Infatti, proprio in relazione al funzionamento dei fondi di rotazione per le vittime di mafia - che, è bene precisare, costituiscono, unitamente all’azione repressiva delle forze dell’ordine e della magistratura, uno strumento indispensabile per la lotta al racket e alle mafie - registriamo un preoccupante rallentamento, se non addirittura un immobilismo che definirei ormai cronico.
Credo, che sia utile per una maggiore intelligibilità delle questioni che oggi stiamo rassegnando alla Commissione, analizzare, seppur brevemente, alcuni degli aspetti.
La legge 512/1999 individua in 60 giorni il termine per la conclusione del procedimento volto al riconoscimento e/o diniego dei benefici previsti. Ora, siamo ben consapevoli che tale termine - in ragione, soprattutto, della necessaria fase istruttoria nella quale deve essere rigorosamente vagliata la sussistenza di tutti i presupposti e requisiti - sia utopico, ma non può neppure essere considerata ragionevole l’attesa di due, tre e anche 4 anni che intercorre tra il deposito dell’istanza di accesso al fondo per la liquidazione del danno (nella sua interezza o quale provvisionale) ottenuto all’esito del procedimento penale e la successiva delibera del Comitato di solidarietà.
Abbiamo registrato, nel corso degli ultimi anni, un notevole sforzo da parte della Prefettura di Palermo che, nonostante i vari problemi di organico e un ridotto numero di personale preposto all’ufficio, ha sempre esitato le richieste di accesso al fondo in tempi ragionevoli, pur dovendo gestire la parte sicuramente più difficile quale è quella istruttoria, inoltre la Prefettura ha sempre avuto un rapporto collaborativo con le vittime e con i loro difensori mentre, dall’altro lato, registriamo la stasi del procedimento una volta giunto al Comitato di Solidarietà che, peraltro, non collabora minimamente.
Non è ammissibile che siano pendenti innanzi al Comitato richieste di risarcimenti del danno - ripeto, accertato in sede giurisdizionale, in esito a procedimenti penali che hanno già la loro durata e con istruttoria già definita dalle competenti prefetture - e che a distanza di anni non vengono esitate.
Pure la Corte dei Conti, proprio sulle tempistiche di accesso al fondo di rotazione, è intervenuta in più di una occasione.
E, allora, a quell’imprenditore/commerciante che ha denunciato, che si è costituito parte civile nel procedimento penale, che ha atteso, pazientemente, l’esito del processo, cosa diciamo? Cosa raccontiamo?
Cosa raccontiamo, all’imprenditore che attende da anni i benefici previsti dalla legge?
Potremmo continuare con un nutrito elenco di disfunzioni: dal contenzioso che necessariamente deve essere incardinato a seguito di delibere di rigetto anche con riferimento al diniego di provvisionali, alle numerose questioni in ordine a presunte interpretazioni normative e alla tipologia del danno risarcibile (lucro cessante) e finanche alle numerose questioni insorte per il pagamento delle spese legali. Spese legali che vengono corrisposte dopo anni e anni.
Abbiamo istanze di accesso per il pagamento delle spese legali presentate nel 2017 ed ancora inevase.
Anche in questo caso, cosa raccontiamo all’imprenditore/commerciante? Dovremmo chiedere l’onorario direttamente alla persona offesa?
In questo caso, quanti si costituirebbero parte civile? Quanti denunzierebbero?
Ho cercato di rappresentarvi come tutte le situazioni che abbiamo affrontato se pur sommariamente, tradiscano - mi si lasci passare il termine - il “precipuo scopo di alleviare la già precaria condizione personale e patrimoniale delle vittime di un reato di tipo mafioso”.
Considerato che l’attuale situazione disfunzionale potrebbe esporre la vittima all’esborso delle spese di costituzione e di giudizio, alla estenuante attesa per ottenere i benefici previsti, tutto ciò, di conseguenza, potrebbe comportare una inevitabile flessione delle denunce, delle costituzioni in giudizio, e, quindi, potrebbe davvero costituire un vulnus non indifferente alla lotta alla mafia e al principio ispiratore della L. 512/1999.
Incentivare la denuncia passa anche da qui. Dalla credibilità che le istituzioni riescono ad ottenere applicando, con estremo rigore ma al contempo con celerità, la legislazione antimafia che sicuramente rappresenta quanto di meglio esiste nel panorama mondiale.
Perché è vero che la denunzia è un dovere etico-morale ma se non conviene, se la risposta delle Istituzioni non è pronta ed efficace, queste si continueranno a contare sulle dita di una sola mano..
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