Economie e Coronavirus, peggio della bomba al neutrone

Economia | 23 aprile 2020
Condividi su WhatsApp Twitter

Prima di doverci rintanare in casa come topi nei nascondigli, agli inizi di marzo ne avevamo discusso in una conversazione tra amici: “Il coronavirus se obbliga a chiuderci a casa e blocca ogni attività ha gli effetti di una bomba al neutrone”. Un concetto, o con pretesa più modesta, una battuta proferita e lasciata cadere. Come avviene in una conversazione del più e del meno, non a caso però ogni giorno che passava sempre più monopolizzata dal tema coronavirus che schiacciava ogni altro argomento. Ma pochi giorni dopo, l’1 aprile, Limes, autorevole rivista italiana di geopolitica, pubblicava un articolo a firma di Gian Paolo Caselli dal titolo: “Non è una economia di guerra, è una bomba al neutrone”. L’articolo sdoganava quell’argomento “da conversazione” al quale avevamo accennato qualche settimana prima, poi riposto nel cassetto delle tante considerazioni, tesi, idee, persino stupidità spacciate scientificamente per oro colato che hanno riempito le nostre letture e il nostro ascolto in questo tempo di “dittatura del coronavirus”.


Come ti metto in ginocchio le economie di tutto il mondo

Secondo Caselli “la crisi finanziaria ed economica originata dalla pandemia del nuovo coronavirus è diversa dalle due grandi crisi economiche precedenti. Sia quella del 1929 che quella del 2008. Due sono le caratteristiche del tutto nuove: la crisi riguarda tutte le economie del mondo e tutti i settori – agricoltura, industria e terziario, che già sono in uno stato di paralisi generale. Inoltre, evolve in tempi brevissimi. La velocità con cui questa crisi si sta manifestando è impressionante. La perdita di posti di lavoro negli Stati Uniti la scorsa settimana è stata di circa 3 milioni e trecentomila; la borsa di New York ha perso in un mese circa il 35 per cento del suo valore. Tutte le borse mostrano oscillazioni smisurate che riflettono l’isteria e l’incertezza dei mercati finanziari. I tassi di interesse sui titoli spazzatura hanno raggiunto il livello del 2008 e ci sono problemi pure sui mercati creditizi.

Anche nelle due crisi precedenti la borsa di New York era crollata del 50 per cento, la liquidità era venuta meno, il reddito e l’occupazione erano sprofondati. Ma questo processo di disintegrazione dei sistemi economici impiegò tre anni per realizzarsi, mentre ora lo stesso è accaduto in poco più di un mese. In tutti i paesi assistiamo al crollo delle componenti della domanda aggregata, dei consumi, degli investimenti e delle esportazioni. La spesa pubblica rimane l’unica componente della domanda che è destinata a crescere.

Da quando è scoppiata l’epidemia in Cina, gli economisti discutono di come sarebbe stata la recessione e la successiva ripresa. All’inizio della crisi si parlava di ripresa “a V”, cioè con un calo repentino del reddito e dell’occupazione nei primi due trimestri dell’anno seguiti da una altrettanto rapida ripresa nei due successivi trimestri. Un danno economico non certo preoccupante. Successivamente, data l’evidente gravità della situazione, si è parlato di una ripresa “a U” ed ancora dopo di una ripresa “a L”. Gli ultimi dati mettono seriamente in dubbio anche quest’ultima ipotesi. Le recenti previsioni dell’Economist sulla crescita dei vari paesi sono impressionanti: Cina 1%, Italia -7%, Giappone -1,5%, Russia -2%, Arabia Saudita -5%, Regno Unito -5%, Usa -2,8%”.

In realtà più trascorrono settimane con la gente segregata in casa - impossibilitata a lavorare in quasi tutti i settori e con l’intera economia mondiale ferma (e non in senso figurato ma fisicamente bloccata) - più le previsioni si fanno cupe e i numeri negativi dilagano al pari del contagio. Negli Stati Uniti il numero dei disoccupati si approssima ormai a 25 milioni. La previsione di -7 per cento per il Pil italiano calcolata dall’Economist è già stata più che raddoppiata da altri centri di ricerca: un -15 per cento che fa accapponare la pelle. Ed è molto probabile che al tirare delle somme al 31 dicembre 2020 – anno di sventura come pochi altri – si andrà giù di ben oltre il 15 per cento. Numeri da macerie postbelliche.

“Altrettanto impressionante – prosegue infatti Caselli – è come queste previsioni siano profondamente diverse da quelle elaborate neanche un mese fa, il che indica che l’incertezza è talmente forte che l’orizzonte temporale in cui avvengono le decisioni è brevissimo.

Non solo la velocità di questa crisi è diversa dalle crisi precedenti, ma anche il linguaggio adottato per descriverla è cambiato. Si usano espressioni come economia di guerra, struttura sanitaria in prima linea, confinamento delle persone nelle proprie case – un coprifuoco esteso a tutta la giornata. Mario Draghi ha cominciato il suo articolo sul Financial Times scrivendo “We face a war and we must mobilize accordingly”; il cancelliere dello scacchiere Sumak ha affermato che le misure attuali non sono mai state prese in tempo di pace e che mai il governo britannico aveva disposto di chiudere i pub.

La situazione attuale ha alcune somiglianze con una economia di guerra, ma per fortuna ci sono anche grandi differenze. In guerra la produzione aumenta convertendosi alla produzione di armi e diminuendo quella dei beni di consumo. Per non produrre inflazione, normalmente si adottano forme di razionamento e controllo dei prezzi”.


Quello che avviene è più simile all’esplosione di una bomba al neutrone”

E’ a questo punto che l’analista introduce il parallelo con la bomba al neutrone: “Quello che sta avvenendo oggi, usando sempre un linguaggio bellico, è più simile all’esplosione di una bomba al neutrone, che lascia edifici e infrastrutture intatti ma uccide le persone. Nell’attuale situazione le persone non vengono uccise, se non dal virus, ma non possono lavorare per via delle misure prese per contenere la pandemia. La maggior parte di questi lavoratori appartiene al settore terziario, che è immediatamente colpito poiché le misure di distanziamento sociale rendono impossibile la produzione di servizi che richiedono la contemporanea presenza dell’erogatore e del consumatore. Ben il 70 per cento della forza lavoro nelle economie avanzate è impiegata nel settore dei servizi. Crollano in questo modo la domanda interna e quella estera, dato che le imprese manifatturiere diminuiscono produzione e occupazione, rinforzando il processo.

Le risposte delle autorità di politica economica negli Usa e in Europa sono state simili. La prima reazione di fronte all’ibernazione dei sistemi economici è stata quella di fornire liquidità per impedire una crisi di insolvenza con conseguenti fallimenti e chiusura di imprese. Sia la Federal Reserve che la Bce hanno imboccato questa strada, scontando quasi tutti i titoli finanziari salvo le azioni – ma se sarà necessario, avverrà anche questo. Si comincia a parlare della nazionalizzazione di grandi imprese in difficoltà, un tabù fino a qualche settimana fa: in Germania Tui, in Italia Alitalia. Negli Stati Uniti deve essere salvata la Boeing, in Francia Macron ha parlato di nazionalizzare Airbus (di cui Parigi è socio di maggioranza). Il crollo del commercio internazionale e del turismo sta facendo le prime grandi vittime tra le compagnie aeree.

Fornita liquidità immediata per impedire il crollo del sistema economico, rimane il problema di aumentare la domanda. È necessaria quindi una politica fiscale che favorisca investimenti, sussidi e redditi a coloro che non possono lavorare a causa delle misure per combattere la pandemia. Gli Stati Uniti hanno adottato una manovra fiscale pari a due trilioni di dollari (il 10% del reddito nazionale) con conseguente aumento del deficit e del debito statale. Misura che Draghi vorrebbe adottata nell’Unione Europea, ma che si scontra con l’opposizione della Germania, affiancata da alcuni alleati economicamente insignificanti”.

Inevitabili le conclusioni a cui perviene Caselli: “Questa crisi economica non è soltanto diversa da tutte le precedenti: ridefinirà i rapporti politici fra le grandi aree mondiali in un modo che non possiamo ancora prevedere”.


Ma in che modo distrugge una bomba al neutrone?

Così come diventa inevitabile, a questo punto, andare ad approfondire il tema “bomba al neutrone” per capire se – al di là dell’impatto evocativo che il concetto automaticamente alimenta – nella sostanza dell’analisi scientifica e concettuale il parallelo regge. Torniamo così a dibattiti vecchi di parecchi decenni, argomenti discussi negli anni ’80 ma di attualità ormai marginale negli anni più recenti nel dibattito su armamenti e disarmo.

La bomba al neutrone (detta anche bomba N) è un'arma nucleare che affida il suo potenziale distruttivo non ad effetti termici o meccanici (rilevanti in ogni caso), come fanno la bomba atomica o la bomba all’idrogeno, bensì a un intenso flusso di neutroni.

La sua invenzione è attribuita al fisico Samuel Theodore Cohen (1921-2010) del Lawrence Livermore National Laboratory che ne sviluppò l’applicazione nel 1958, in piena Guerra Fredda. Anche se inizialmente il Presidente Kennedy si oppose, i primi test furono autorizzati ed eseguiti nel 1962 in un poligono del Nevada. Il suo sviluppo fu bloccato dal Presidente Carter nel 1978, ma nuovi fondi furono stanziati dal Presidente Reagan nel 1981.

Si pensa che gran parte dell'arsenale nucleare degli USA sia stato smantellato dall'amministrazione del presidente George H. W. Bush. Anche la Francia produsse armi a "radiazione aumentata" nei primi anni ottanta, ma si ritiene che abbia poi distrutto queste sue bombe.

Il Cox Report del 1999 indica che la Cina è in grado di produrre la bomba al neutrone, ma in realtà si ignora se qualche Paese le abbia nel proprio arsenale.

Nella bomba al neutrone l'emissione del fascio di particelle è innescata dall'esplosione di un ordigno termonucleare di potenza relativamente limitata che impiega la maggior parte dell'energia liberata per emettere neutroni. Essendo privi di carica elettrica, riescono ad attraversare la materia con facilità, non causando danni a quella inanimata (ad eccezione dei vulnerabili circuiti integrati dei processori) ma causando mutazioni e rotture del DNA, potenzialmente o invariabilmente letali per la vita organica.

Dopo l'esplosione ad altezze inferiori ai 2 km, gli effetti termici e meccanici dell'ordigno si sviluppano fino a un raggio di 0,6 km, mentre le radiazioni hanno effetto immediato entro un raggio di 1,3 km. I neutroni veloci generati dalla bomba interagiscono poco con l'atmosfera ma, per esempio, quando colpiscono le strutture d'acciaio della torretta di un carro armato interagiscono con i nuclei atomici del ferro della corazza (per l'alta densità di nuclei di ferro presenti, che contengono anche molti neutroni e protoni) e così generano raggi gamma letali per gli esseri umani all'interno.

Al livello del terreno non si produce alcuna nube incandescente di fuoco, né devastanti ondate di vento, e non esiste fallout radioattivo perché soltanto gli strati profondi del suolo assorbono i neutroni, restituendo subito l'energia ricevuta dai neutroni sotto forma di raggi gamma. Questi strati non sono sollevati e quindi non si producono nuvole di polvere radioattiva.

Le caratteristiche fanno della bomba N un'arma ad impiego tattico, adatta soprattutto a colpire esseri viventi dentro strutture metalliche e/o interrate. È efficace, ad esempio, per arrestare un'avanzata di grandi formazioni di mezzi terrestri (carri armati) o per colpire persone asserragliate in ricoveri sotterranei o in massicci edifici cittadini in cemento armato.

Le bombe al neutrone, note in inglese come enhanced radiation bombs (armi ER), sono armi termonucleari relativamente piccole nelle quali il lampo di neutroni liberi generato dalla reazione di fusione nucleare viene lasciato libero di fuggire dalla struttura della bomba (in quei pochi microsecondi in cui l'involucro della bomba ancora esiste). I riflettori interni di raggi X ed il contenitore della bomba sono fatti in cromo o nichel, in modo che ai neutroni sia consentito "sfuggire". Esattamente l'opposto avviene nella bomba al cobalto, nota anche come "bomba ai sali", oppure "ordigno fine del mondo".

Questo intenso lampo di neutroni ad alta energia è il principale meccanismo distruttivo in questa bomba. Il termine "radiazione aumentata" (enhanced radiation) si riferisce soltanto al lampo iniziale di radiazione ionizzante emesso al momento della detonazione, non a un qualche incremento dei residui radioattivi né al fallout nucleare.

Si pensa che tra queste armi a "radiazione aumentata" sia compreso anche un dispositivo ad emissione di "pure radiazioni di neutroni" (come l'ipotetica bomba sovietica al mercurio rosso), in grado di causare danni soltanto ai circuiti elettronici oppure l'uccisione di esseri viventi per irraggiamento.

Focalizziamo adesso l’attenzione sui danni che l’ordigno provoca. L'idea che la bomba al neutrone uccida le persone lasciando intatti gli edifici è inesatta. Nel raggio di 690 m, infatti, lo scoppio di una bomba al neutrone da 1 chilotone causerebbe gravi danni alle strutture civili. La bomba al neutrone è però una bomba "pulita", che non rilascia praticamente radiazioni persistenti, e quindi non provoca fallout radioattivo. È una bomba che colpisce il DNA di ogni essere vivente, liberando una grandissima quantità di neutroni.

Sono ordigni che potrebbero essere utilizzati come armi anti-missili strategici (“ICBM”) oppure come armi tattiche contro colonne di veicoli corazzati e blindati.

Come arma anti-missile le bombe ER furono sviluppate per proteggere i silos missilistici degli Stati Uniti dai missili nucleari dell'Unione Sovietica (dalla potenza di 1-2 megatoni e capaci di distruggere a 1 km di distanza un silos corazzato sotterraneo in cemento armato con anima in acciaio), danneggiandone le componenti elettroniche di guida e di detonazione, senza farne scoppiare la testata. Grazie ad un'alta fluenza neutronica (come nel caso delle bombe al neutrone montate in missili-antimissile iper-veloci come l’americano “Sprint ABM).

Un importante svantaggio dell'arma è che non tutte le truppe prese di mira moriranno o verranno messe fuori combattimento immediatamente. Dopo un breve attacco di nausea, molti dei colpiti di radiazione sperimenteranno un temporaneo recupero che può durare da giorni a settimane. È stato suggerito che queste truppe, sapendo di dover comunque morire presto, potrebbero combattere fanaticamente, senza l'usuale riguardo per la propria integrità.

Secondo Cohen – uno dei tanti scienziati “dottor Stranamore” che hanno popolato nel secolo scorso e nel presente la storia della realizzazione di armamenti di distruzione di massa - una tattica possibile di utilizzo della "vera" bomba al neutrone è quindi quella di lanciarla come arma difensiva contro attacchi corazzati. I civili si riparano in rifugi antiatomici (con rivestimento in piombo e situati molti metri sotto terra) e la bomba viene fatta esplodere 10 km sopra l'attacco corazzato. Si dice che la corazzatura non sia in grado di schermare gli equipaggi di carri armati ed aerei. In un tale circostanza alberi e piante di una città verrebbero distrutti dalle radiazioni ma gli edifici rimarrebbero intatti per il riutilizzo da parte dei civili (che comunque dovrebbero aspettare diversi giorni perché decadano certi isotopi a vita breve). Le bombe al neutrone, infine, sarebbero potenti armi anti-nave, capaci di uccidere i marinai di un'intera squadra navale. Una importante sostenitrice della ricerca di Cohen non a caso fu la U.S. Navy ossia la Marina militare statunitense.


Conclusioni: quel microscopico annientatore che scorrazza nel pianeta

Da una lettura attenta delle caratteristiche tecniche di questa classe di ordigni emergono dunque analogie anche concettualmente non sovrapponibili tra “effetti da coronavirus” ed “effetti da bomba al neutrone”. Gli effetti della bomba N sia in termini di stermino di vite umane che di distruzione di infrastrutture civili sono di gran lunga ridotte rispetto ai cataclismi provocati da bombe all’idrogeno e atomiche. Ma sono comunque molto devastanti. E tuttavia non è un caso che – autonomamente, quasi istintivamente – non solo a chi scrive sia balenata la similitudine “effetti da coronavirus”/”effetti da bomba al neutrone”.

Se abbiamo capito che sul piano fisico siamo al cospetto di un accostamento forzato, è altrettanto vero che ci rimane incancellabile in questa settimane – e per chissà quante altre settimane ancora finché non sperimenteremo un vaccino – la convinzione che a rischio siamo noi esseri umani e non gli edifici, i ponti, i porti, gli aeroporti, le fabbriche, le infrastrutture in genere. Come nei nostri peggiori incubi bellici abbiamo immaginato (magari con più di un errore interpretativo) che diverrebbero i territori, le aree urbane dopo un ipotetico massiccio attacco condotto con bombe al neutrone. Con la differenza che le bombe al neutrone sembrano ormai ferrivecchi. In gran parte distrutte, non più presenti negli arsenali delle potenze atomiche, purtroppo sostituite da ordigni ben più permanentemente devastanti. Mentre l’invisibile, microscopico, nuovo di zecca Covid-19 scorrazza con la sua catastrofica carica annientatrice in ogni angolo della Terra. E uccide individui a centinaia di migliaia, distrugge ogni genere di attività economica, riduce alla povertà centinaia di milioni di persone.

 di Pino Scorciapino

Ultimi articoli

« Articoli precedenti