Eco e lo spazio vuoto Anni 90
I l nuovo libro di Umberto Eco (nuovo in molti sensi, come vedremo) comincia prima della prima pagina. L' editore aveva previsto, sul modello americano, una sequenza implacabile. Nella seconda metà di dicembre diffusione di notizie (è un libro relativamente breve, è un libro sul giornalismo, si svolge quasi ai nostri giorni, è un romanzo), Nella prima metà di gennaio le date importanti: conversazione con Eugenio Scalfari (Venerdì di Repubblica) pubblicazione di un capitolo su Repubblica (9 gennaio), appuntamento con Fabio Fazio per il consueto lancio dei grandi libri.
Embargo rigidissimo. Neppure persone fidate erano ammesse a toccare una copia del volume. Non dovrà esserci una riga di recensione prima di Repubblica.
COME nel libro di Eco (Numero Zero, Bompiani) non tutte le trame accuratamente preparate da grandi esperti si realizzano. Già prima del 30 dicembre molte edicole di Roma (in un mondo ormai privo di librerie) si sono attrezzate per avere il libro bene in mostra fra Diabolik e Fabio Volo. E così una fitta prevendita è cominciata sotto buoni auspici. E qualche fondato malumore per lo strano rapporto inaugurato dall' editore con il finto rigore di un finto embargo, una trovata un po' modesta per un autore come Umberto Eco, e un po' spiazzante per chi ha creduto alla parola degli addetti.
Ma lettura preventiva e imprevista di alcune critiche porta qualche vantaggio. Per esempio posso rassicurare i lettori di Libero: non è affatto un insulto ai berlusconiani. Berlusconi non c' è e non c' entra. Eco non perde né una pagina né un paragrafo del suo libro a "massacrare i giornalisti solo se sono di destra", come suggerisce il riassunto (peraltro accurato) di Giuseppe Pollicelli.
Diciamo che il libro non è una esaltazione della professione, non è il famoso grido di Humphrey Bogart al fuori legge finalmente denunciato dal giornalista coraggioso: "È la stampa, bellezza. E tu non puoi farci niente".
Se mai questa frase - a rovescio - è una chiave di lettura del libro, ma riguarda il sistema delle notizie, non i giornalisti di destra. Il critico di Libero dovrebbe sapere che viviamo in tempi di "Patto del Nazareno", tempi in cui la realtà sorpassa di molto la finzione e dunque è inutile (ma anche sbagliato per questo libro) tornare ai militanti Anni Sessanta.
Tutto qui si svolge nel 1992, in un' epoca smagata e senza vessilli dove si stanno smontando avventure ideologiche e si stanno preparando avventure d' affari.
E tutto, in Numero Zero, serve a guidarti nel grande spazio vuoto che è diventata l' Italia degli Anni Novanta, quando i protagonisti della nuova opera italiana erano il mariuolo, il magistrato e il giornalista.
La trovata dell' autore è stata non di seguire i giornalisti (pochi e sempre meno) che, di fronte a rivelazioni enormi non hanno mai smesso di informare (o di tentare di farlo). Ha visto, invece, una delle tante attive e fattive zone d' ombra in cui persone di una certa potenza mobilitavano, senza scoprirsi, persone di una certa abilità e mestiere affinché assoldassero persone adatte nel più tipico dei progetti che si mette in cantiere nelle epoche incerte: il numero zero, molto parlato e mai visto, di una pubblicazione che non esisterà mai, ma serve a studiare persone, scoprire eventi, impadronirsi di fatti non ancora avvenuti ed eventualmente manovrarli.
L' intuizione di Eco però (l' esperienza di quegli anni gli dà ragione) non è di mostrare che il vortice "redazione finta" e "il giornale che non esce" sono gli avamposti di misteriose P2. Semplicemente sono un' idea, che molti della generazione di Eco e mia hanno visto mille volte accadere perché serviva a reclutare, valutare, "fidelizzare" persone spiazzate con qualche talento o propensione, e che (come in effetti hanno mostrato gli eventi) avrebbero poi prestato qualche tipo di servizio utile e fidato.
POSSO DIRE (nel libro non si dice) che qualcuno di quella redazione finta per un giornale finto, immaginata da Eco, è finito persino alla Rai, scalando buone posizioni che non hanno niente a che fare col curriculum? Non sono sicuro se dire che Numero Zero è pura fiction per narrare situazioni vere e fatti veramente accaduti. O se suggerire che fatti veri, che chi era in giro allora ha conosciuto o intravisto, sono materiale prezioso (e qui usato con molta abilità) per affrontare e far toccare con mano situazioni che altrimenti resterebbero astratto materiale di saggistica.
Per esempio, cos' è una notizia? Questo libro affronta il problema su cui le scuole di giornalismo esitano appoggiandosi ancora ai "fatti veri" o alla "obiettività" . Qui la notizia è materia viva estratta dal materiale organico chiamato vita e tagliato e selezionato (dal vero) in modo che significhi la cosa che sto cercando e che voglio passare come evidenza e come prova. Sarà indiscutibile perché dimostrata, benché frutto di una accurata operazione di selezione, separazione, aggregazione. Nel libro, Eco affida ai suoi personaggi un linguaggio semi colto, accurato, niente affatto ridicolo, niente affatto paradossale. Con quel linguaggio e con le enormità che dicono possono andare in televisione quando vogliono e diventare citazione autentica e infinita. Interessante è la formazione del gruppo redazionale, ciascuno affine in un punto (è aggregabile senza il fastidioso scrupolo dei perché) tutti diversi nei personalissimi percorsi di formazione, nessuno eccelso, nessuno in sé (già) spregevole.
Non suscitano simpatia né voglia di conoscerli e di lavorare insieme. Ma che cosa avrà provocato nel cronista di Libero la persuasione che questa sia la descrizione di persone di destra, anzi berlusconiane?
Eco ha visto e trascritto l' intristirsi del tempo (che ha colpito la professione giornalistica più di altre) e la racconta in un testo di fiction storica, più svelta, più agile (più "giornalistica"?) di altri suoi libri, ma in cui ogni citazione del linguaggio dei lontani Anni Novanta è accurata.
Il complotto, importante strumento di broglio e di imbroglio in tutte le storie di Eco, qui si situa come un "a parte" nel senso che è facoltativo seguirlo, ma è obbligatorio sapere che, nella persuasione comune di un Paese che riceve solo notizie alterate, il riferimento al complotto come spiegazione, soluzione o via d' uscita, è indispensabile. Troppi comportamenti appaiono a vuoto (perché nessuno ne darà ragione o spiegazione), troppe decisioni sono stravaganti e inutili e dannose benché prese da persone responsabili, per non essere dettate da ragioni segrete. Sapere che non ci sono tali ragioni sminuirebbe troppo le nostre immagini delle ombre della caverna e ci farebbe sentire più soli. Leggendo ti rendi conto che la narrazione è stata propriamente collocata in un punto obbligato della storia italiana. Subito prima nel giornalismo c' è un fervore che può essere giudicato in molti modi, ma è pieno di autostima e circondato da apprezzamento sociale.
Subito dopo vengono Vespa e Minzolini. E persino la trovata della finta redazione come avamposto di osservazione si sfalda in serate alla Crozza.
IN MEZZO c' è il fenomeno di cui Eco ha personalmente più esperienza ma non gli interessa (non qui) raccontare. È la grande demarcazione fra prima e dopo Internet, fra prima e dopo i social network.
Nel libro, il dopo lo trovate solo nel nome dei personaggi. Sono scelti quasi tutti tra i nomi dei diversi caratteri che potete adottare per la scrittura computeristica. E così come nei film americani girati in studio passa un' auto d' epoca per ricordarti che stai guardando un period movie (anche se il periodo è recente) Eco introduce la battuta sui telefonini che non dureranno perché costano troppo e servono poco.
Ma il prima ci porta al dopo: luccica semprelapietrafalsadellanotiziachenonc' è.
E non basta il cambiamento epocale della grande frontiera informatica.
Questa è la trovata del libro di Eco e la sua credibilità di romanzo (e di testo per le scuole di giornalismo). Ciò che doveva accadere è già accaduto, è accaduto prima.
Non sapevamo, e continuiamo a non sapere. Qualcuno continua a tener d' occhio, a volte con pretesti che sembrano nobili, i nostri disorientamenti e le nostre incertezze, il nostro cercare. (Il Fatto Quotidiano)
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