Ebrei, omosessuali, rom e disabili: lo sterminio nazi-fascista che non si deve dimenticare

Società | 26 gennaio 2022
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Considerate se questo è un uomo/ che lavora nel fango/ che non conosce pace/ che lotta per mezzo pane/ che muore per un si o un no” 

Primo Levi


Quando, nella freddissima giornata del 27 gennaio 1944, le avanguardie della LX Armata sovietica entrarono nel campo di Auschwitz Birkenau trovarono solo 7000 fantasmi al limite della sopravvivenza; prigionieri che le SS tedesche avevano abbandonato perché malati ed incapaci di affrontare il trasferimento. Altri 60.000 il 18 gennaio erano stati evacuati in quella che sarebbe stata conosciuta come la “marcia della morte”: quasi tutti caddero infatti uccisi dalle guardie naziste o per effetto del gelo invernale. Auschwitz Birkenau, la più grande fabbrica di morte che l'uomo sia stato capace di inventare, era in realtà un complesso sistema di campi che svolse un ruolo fondamentale nella “soluzione finale della questione ebraica” che era stata decisa nella cosiddetta Conferenza di Wannsee del 20 gennaio 1942. Wannsee è una ridente località alla periferia sud di Berlino, affacciata su un lago: il nome, passato alla storia con un'incancellabile accezione di orrore, stride in maniera acutissima con la serenità dei luoghi che ne fa una delle zone più tranquille e ridenti della metropoli tedesca, in cui oggi ha sede tra l'altro la scuola di formazione della Confederazione sindacale tedesca, la DGB. 

Lo stesso effetto di mostruosa banalità del male che ad Hanna Arendt provocò la vista, nell'aula del Tribunale di Gerusalemme, di Adolf Eichmann, il tenente colonnello delle SS segretario della Conferenza e principale organizzatore dei “trasporti” cioè dei convogli ferroviari che da tutta Europa conducevano milioni di donne, bambini, uomini al massacro. Non c'era solo Auschwitz: il primo campo, Dachau, vicino a Monaco di Baviera, era stato aperto già nel 1935 e funzionò fino all'aprile del 1945 quando i prigionieri rimasti in vita furono liberati dalle truppe anglo-americane. Chelmno, Belzec, Sobibor, Treblinka, Buchenwald, Mauthausen, Sachsenhausen sono le stazioni di sofferenza e di morte che l'Europa contemporanea non deve dimenticare se non vuol perdere per sempre le proprie radici e la propria civiltà politica e sociale. 

“Non ho mai perdonato e non ho mai dimenticato” ha scritto la senatrice vita Liliana Segre che fu deportata poco più che bambina. Non illudiamo noi stessi dicendo che si trattò solo delle azioni criminose di un gruppo di banditi politici. L'antisemitismo aveva radici profonde, che ancora purtroppo non sono essiccate del tutto, anche in Italia. Nella cultura del fascismo già alle origini esisteva un bacino di credenze antisemite, che assunse via via più forza anche in relazione alla politica antiebraica di Hitler che, dalle leggi razziali di Norimberga del 1935 alla notte dei cristalli tra il 9 e il 10 novembre del 1938, marcò una progressiva escalation. Qualche giorno dopo la Reichskristallnacht, il regio decreto del 17 novembre 1938, a perenne disonore della dinastia sabauda, emanò in Italia i provvedimenti per la difesa della razza. Leggi che erano stati precedute dal Manifesto sulla razza del luglio e dalla campagna promossa dalla rivista La difesa della razza diretta dal siciliano (era nato a Chiaramonte Gulfi in provincia di Ragusa) Telesio Interlandi, fascista intransigente molto legato a Mussolini. Tra i redattori della rivista fu Giorgio Almirante che sarebbe diventato segretario del MSI, il partito neofascista che sarebbe stato fondato nel 1946. Il razzismo perciò è stata una componente presente sia nel fascismo mussoliniano che nell'estrema destra neofascista. 

 Non furono solo gli ebrei con la Shoah (in ebraico “tempesta devastante”) le vittime del nazi-fascismo. Gli omosessuali. costituirono un altro gruppo destinato allo sterminio, come i Rom. Nel Porajmos (letteralmente "grande divoramento") perirono tra le 196.000 e le 300.000 persone. Anche i disabili (ariani compresi) erano visti come una minaccia all'integrità della razza ariana. I programmi di eugenetica implicarono lo sterminio di oltre 250.000 disabili. Russi ed ucraini (tre milioni di prigionieri sovietici morirono nei campi di concentramento), serbi, polacchi, sloveni), considerati subumani, non furono soggetti a programmi di completo sterminio, ma di "riduzione numerica", "pulizia etnica", e vennero sottoposti a forme di sfruttamento coercitivo di lavoro che portavano spesso alla morte. Il nuovo ordine mondiale nazi-fascista imponeva obbedienza cieca e eliminazione di ogni forma di dissenso. Comunisti, socialisti, massoni, testimoni di Geova furono oggetto di repressione, rappresaglia, deportazione nei campi di concentramento. Le vittime appartenenti a questa categoria furono almeno un milione e mezzo. Tra di esse furono circa 30.000 i deportati politici italiani e circa 50.000 gli Internati Militari Italiani che dopo l'8 settembre 1943 trovarono la morte nei campi di lavoro e di concentramento nazisti.

I siciliani (o sicuramente nati in Sicilia) che finirono nel sistema concentrazionario tedesco furono 761. Ad essi vanno aggiunti diverse migliaia di IMI. Quasi il quasi il 50% (366) dei deportati nei campi di sterminio morirono. Si trattava di oppositori politici, detenuti nelle carceri militari e civili, lavoratori civili che si trovavano in Germania, sacerdoti ( come don Paolo Liggeri originario di Augusta), Diversi erano ebrei (come il pantesco Alberto Todros che sarebbe diventato parlamentare del PCI), anche se la presenza ebraica nell'isola era ridotta: dalle stime di epoca fascista pare che la popolazione ebraica nell'isola fosse costituita da appena 202 persone di cui 170 divisi tra Palermo e Catania. Gli ebrei di Sicilia infatti erano stati espulsi nel 1492 dopo l'istituzione dell'Inquisizione di rito spagnolo (la prima vittima dell'Inquisizione in Sicilia è proprio l'ebrea Eulalia Tamarit). C'erano tuttavia personalità eminenti tra cui il biochimico Camillo Artom, il clinico medico Maurizio Ascoli, alcune famiglie di imprenditori. Il più famoso era però il nazionalista (dal 1922 aderente al PNF) ed ex ministro delle Finanze di Mussolini Guido Jung, il quale pur essendosi dissociato da anni dalla comunità israelitica fu allontanato dai suoi incarichi. 

Molti erano militari siciliani in servizio al Nord. Tra i deportati politici la vittima più nota è il professor Carmelo Salanitro, nato ad Adrano, esponente del partito popolare di Sturzo ed insegnante al liceo Cutelli di Catania (che gli verrà cointitolato nella giornata della memoria), arrestato su denuncia del proprio preside. Tra quanti ritornarono, testimonianze importanti hanno lasciato- citiamo solo i più noti- Nunzio Di Francesco (il partigiano Athos) che fu anche presidente dell'ANPI di Catania, il carabiniere di Giarre Antonino Garufi (solo omonimo di chi scrive) che ha raccontato la sua storia di prigioniero di Dachau e poi di Buchenwald nel libro “Diario di un deportato”, Domenico Aronica di Canicattì, professore di italiano e latino, catturato mentre partecipava alla Resistenza sull'altopiano di Asiago.

 di Franco Garufi

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