Dopo 43 anni nuove indagini per fare luce sull'omicidio di Piersanti Mattarella

Società | 6 gennaio 2023
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Un appello affinchè si accendano i fari sulle collusioni mai scoperte, sul contesto politico-istituzionale deviato che volle o favorì il delitto, l’eliminazione di un rappresentante delle istituzioni che si opponeva a un sistema affaristico basato su appalti pilotati e divisi fra imprese vicine alle cosche, con l’avallo della politica inquinata. Un pressante invito a ripartire raccolto, nel tempo, dagli inquirenti, già costretti però ad abbandonare le suggestioni di piste inconsistenti o del tutto vanificate dagli esiti di processi e da sentenze definitive.

VECCHIE PISTE (NERE) E NUOVI ACCERTAMENTI
La pista nera, benchè giudiziariamente sepolta dall’assoluzione definitiva di Giusva Fioravanti, killer nero sul cui ruolo aveva puntato Giovanni Falcone, era stata rispolverata sulla base di elementi vecchissimi ma riemersi negli ultimi anni: si puntava a eventuali complici di Fioravanti ma nessuna certezza è stata raggiunta, a causa della distruzione dei reperti o per la loro naturale consunzione, cosa che aveva reso impossibile, ad esempio, appurare se la pistola Colt Cobra che aveva sparato a Mattarella fosse stata usata anche per uccidere, cinque mesi e mezzo dopo, il 23 giugno 1980, il giudice romano Mario Amato, che indagava sul terrorismo di estrema destra.
Rimangono elementi anch’essi suggestivi, come il riconoscimento di Fioravanti, fatto dalla vedova Mattarella non solo sulla base dell’immagine che le era stata mostrata dell’esponente dei Nar, ma anche su un particolare fisico certo, l’andatura caracollante, a balzelloni, del killer. Un modo di camminare che era tipico anche di Fioravanti.

LA PROCURA AL LAVORO
Il procuratore di Palermo, Maurizio de Lucia, e il suo aggiunto Marzia Sabella hanno oggi in mano il fascicolo contenente i nuovi accertamenti. Per un delitto come quello del 6 gennaio dell’80 non ci sono limiti massimi di tempo: poco meno di due anni fa, ad esempio, Nino Madonia è stato condannato all’ergastolo, in primo grado, per il duplice omicidio, avvenuto il 5 agosto 1989, dell’agente Nino Agostino e della moglie incinta, Ida Castelluccio.
Il giudizio contro Madonia, sul delitto Agostino, venne istruito solo alcuni decenni dopo ed è ancora in corso in appello. Un altro processo partito molti anni dopo la sua commissione è quello per l’omicidio del chirurgo vascolare Sebastiano Bosio (6 novembre 1981), per il quale l’ergastolo inflitto al superkiller è divenuto definitivo solo a settembre 2018.
Su Mattarella già la corte d’assise d’appello aveva evidenziato, nel 1998, nel decidere il processo sugli omicidi politici, la somiglianza fisica tra Nino Madonia e Giusva Fioravanti, oltre al dato - sottolineato da diversi pentiti - relativo alla assoluta incredibilità dello scambio di favori tra mafia e neri, visto che se i neofascisti potevano giovarsi dell’aiuto dei mafiosi, era assai più improbabile il contrario, dato che i killer e i «soldati» pronti a sparare a Cosa nostra non mancavano.

IL FIGLIO DEL PATRIARCA DI RESUTTANA
Madonia è uno dei quattro figli del patriarca di Resuttana, Ciccio Madonia, «competente per territorio» sulla via Libertà, dove venne ucciso Piersanti Mattarella. Tre dei fratelli Madonia commisero ciascuno tanti delitti e almeno uno eccellente: Giuseppe uccise il capitano dei carabinieri Emanuele Basile (4 maggio 1980, quattro mesi dopo Mattarella); Salvino, l’imprenditore Libero Grassi (29 agosto 1991); e Nino era uno degli uomini di punta del gruppo di fuoco che, alleato con i corleonesi, seminò sangue e terrore per tutto l’inizio degli anni '80 (fra le sue vittime principali La Torre e Dalla Chiesa, 1982; Chinnici, 1983; Cassarà, 1985).
Oltre agli elementi di tipo logico-deduttivo, insufficienti per arrivare a un processo, c'è oggi la ricerca di testimonianze, di contributi specifici di pentiti, di dichiarazioni che possano incrociarsi e formare prove.
Un lavoro in fase avanzata, che potrebbe portare presto all’incriminazione ufficiale del killer dallo sguardo glaciale, che sta pagando per tanti omicidi, ma non per quello di un presidente della Regione che aveva deciso di puntare sul rinnovamento, in un momento in cui questi comportamenti, giudicati «eversivi», venivano puniti con la morte dall’organizzazione mafiosa.


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